Il Messaggero, 17 settembre 2025
Caso Kirk, scorte rinforzate per la premier e i suoi vice
Al Viminale hanno preso qualche giorno per valutare. Poi hanno rotto gli indugi. L’onda lunga del caso Kirk raggiunge l’Italia. E può ora cambiare la vita quotidiana delle massime cariche dello Stato. Nei giorni scorsi, riferiscono più fonti qualificate al Messaggero, è stata presa la decisione di aumentare al livello massimo la scorta della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dei due vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini. Sarà alzata al livello “eccezionale": il dispositivo di sicurezza più alto, destinato alle autorità considerate esposte a un “rischio elevato”.
Da manuale, stando alle classificazioni dell’Ucis (Ufficio interforze sicurezza personale), la task force del Viminale che assegna le scorte, il livello “eccezionale” prevede di mettere in campo due o tre auto blindate con tre agenti in ogni vettura. Anche se esistono margini per modulare le scorte a seconda delle esigenze. Fatto sta che l’allerta è massima dopo il proiettile che ha trafitto l’ideologo Maga Charlie Kirk in un campus dello Utah e acceso la miccia della violenza politica nelle grandi città americane. Da giorni Meloni, partendo dal caso Kirk, denuncia il pericolo che quella miccia si accenda anche qui. Accusa le opposizioni di volerla innescare, di «fomentare l’odio». E di rimando viene accusata di fare lo stesso. Uno scontro tutto politico che domina il dibattito alla vigilia di una tornata di elezioni regionali politicamente sensibilissima. Poi c’è il fronte sicurezza. È convinzione delle forze dell’ordine e dell’intelligence italiana che il colpo di fucile di Tyler Robinson abbia cambiato il panorama anche da questo lato dell’oceano. Una circolare di Piantedosi spedita alle prefetture e alle questure nelle ore successive all’attentato americano invitava a valutare una revisione delle scorte per le autorità e metteva in guardia dal rischio «emulazione». Quella valutazione, si apprende ora, è stata presa per le scorte di Meloni, Salvini e Tajani. Saranno sottoposti a un dispositivo “eccezionale”. Lo stesso con cui ha convissuto l’ex premier Silvio Berlusconi. E dopo di lui Mario Draghi, per far fronte alle minacce della galassia no-vax durante la pandemia del Covid-19. Per Meloni è un passaggio inedito, per certi versi sofferto. Già perché, a dispetto di quanto trapelato nei giorni scorsi, le scorte della leader del governo e dei suoi vice non erano già operative al massimo livello. Per una precisa scelta dei diretti interessati, operata all’inizio della legislatura. Vuoi per una questione di sobrietà (e di risparmio di risorse pubbliche) e di immagine di fronte agli elettori, vuoi per non diffondere facili allarmismi, Meloni e i leader del centrodestra avevano optato per una «soluzione meno muscolare», spiegano fonti di Palazzo Chigi sotto anonimato, «cioè una scorta di secondo livello». Soluzione ritenuta ora insufficiente, da parte delle forze dell’ordine e gli apparati di sicurezza dopo gli spari di Kirk. Ieri la premier e i leader di Lega e Forza Italia hanno fatto la prima apparizione in pubblico, su un palco, circondati da un dispositivo di sicurezza visibilmente più robusto del solito. Almeno sei gli agenti della scorta intorno a Meloni. Un settimo con una valigetta nera: al suo interno un telo antiproiettile pronto all’evenienza. Da giorni Meloni punta il dito contro chi «soffia sull’odio». Campagna che intreccia strategia politica e personalissimi timori. «Pensa alle cose di cui sono accusata ogni giorno. L’ultima è che avrei “le mani sporche di sangue di Gaza"», ha confidato di recente a un amico la premier. «Io non ho mai accusato i miei avversari di questo. E con accuse così sconsiderate il rischio che qualcuno passi all’azione è concreto». Timori condivisi dai “tenori” del centrodestra. Prendi Tajani e la sfuriata contro la deputata M5S Maiorino, che in aula lo ha definito un «prezzolato» del governo israeliano. Durissima la reazione del ministro degli Esteri. «Per difendere la mia dignità e integrità», ha detto lui in quella giornata di fuoco a Montecitorio. Per poi sfogarsi con i suoi collaboratori: «Prima o poi qualcuno si fa venire idee pericolose».
Sono insomma settimane di tensione, di qui la revisione delle scorte. Si è alla fine deciso di non attendere oltre. I proiettili in Utah che hanno scosso l’America trumpiana invitano alla massima prudenza. Tanto più mentre si apre una stagione “itinerante” della premier sul territorio italiano, con un tour a tappe nelle Regioni al voto, dalle Marche alla Toscana fino al Veneto conteso da FdI e Lega. L’onda del caso Kirk lambisce i palazzi della politica italiana. Che si attrezza per tempo. L’odio viaggia veloce. E velocemente può passare dalle parole ai fatti.