Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 18 Giovedì calendario

Il mio canto per Pavarotti

Angela Gheorghiu è l’ultima diva del canto. Il 30 partecipa all’evento dall’Arena di Verona (in differita su Canale 5) per i 90 anni che avrebbe compiuto Luciano Pavarotti.
Quando lo conobbe?
«La prima volta mi diede il Brit Award per il mio cd di La Rondine. Abbiamo cantato in concerto a Modena ma non in un’opera, perché lui finiva la carriera e io la cominciavo. Lo incontrai al Met di New York, mi chiese come va, risposi: piano piano. E lui, ma quale piano piano: pianoforte! A Petra, per un evento in suo onore, duettai con Sting Là ci darem la mano. Venne preparatissimo, mi fece sentire come la professoressa con l’allievo».
Anche lei festeggia qualcosa di importante.
«Il 7 settembre ho compiuto 60 anni, e 35 di carriera. Adjud, Romania. Non voglio che mi si guardi con pietà. Penso agli ultimi concerti di Maria Callas, un’artista costruita sul rigore non doveva accettarli. È difficile dire basta, però in tanti, da Renata Tebaldi a Corelli, hanno lasciato al momento giusto».
Angela, il momento più bello della sua carriera?
«Sono tanti, ti direi le nuove produzioni concepite sulla mia voce, i miei debutti filmati e registrati. Ricordo la mia prima Traviata, da Londra con Solti sul podio, in diretta tv in prime time sulla BBC».
E il momento più difficile?
«Sono i tradimenti. Dopo che incisi Butterfly per aiutare l’Orchestra di Santa Cecilia e Pappano, la casa discografica mi disse: ci vediamo alla prossima opera, Aida. Ho saputo dai giornali che il soprano non ero più io. Mi sono sentita tradita, da Pappano, e da Jonas Kaufmann che faceva Radames. Perché l’hanno fatto? Ah, dovresti chiederlo a loro. Ma io non sono una che porta rancore, canterei anche con Roberto (Alagna, il suo ex marito, ndr), gli voglio bene».
Eravate Bonnie e Clyde.
«Non avevo visto il film e non capivo. E non ho rapinato banche! I colleghi commentarono: brava, ora sei arrivata».
La chiamavano Draculina.
Ride: «Perché sono romena. Anche Celibidache, Enescu e il filosofo Cioran erano passionali, come voi italiani. Sul mio conto la mattina a colazione chiedevo alla mia assistente, avanti, dimmi cosa hanno inventato su di me».
Lei ha sempre rivendicato il diritto a essere diva.
«Nei miei contratti faccio mettere solo il mio nome, il titolo dell’opera e il nome del compositore. I veri protagonisti della lirica sono i cantanti, Verdi e Puccini hanno scritto per i personaggi, le voci, non per i direttori, tantomeno per i registi, che oggi stravolgono tutto. Siamo noi che diamo vita allo spartito. Gli amici e i familiari mi chiamano Gina, il soprannome che mi diedero i miei. Sul palco Gina è con Angela, sono la stessa persona».
Che significa essere diva?
«Significa essere fuori dal comune sul palco, e lo sono anche fuori. Una personalità non si scinde. Ma a casa vesto in jeans, sono una donna di oggi. Poi ci sono le emozioni, quante recite ho fatto per i non vedenti o per i sordi, che seguono l’opera col linguaggio dei segni».
Chi è stata la sua rivale?
«Cantavo in esclusiva per la Decca, che mi chiese se avessi nulla in contrario nell’avere Renée Fleming nella stessa casa discografica. Dissi di sì, ha un altro stile, e la mia voce non peggiora né migliora se siamo in due».
Lei è una bella donna, le hanno mai chiesto di spogliarsi in scena?
«Tutti i teatri del mondo mi hanno chiesto di fare Salome. Ma è meglio lasciar sognare».
E il cinema?
«Cantai nel 2009 a un evento a Washington davanti a De Niro, Springsteen e Meryl Streep, che dopo la mia aria disse: voglio essere come te. Hanno due tecniche diverse, lirica e cinema. Forse oggi con l’IA potrei dire, fate di me ciò che volete. Tra i tanti film opera, mi offrirono La dama di Picche, il personaggio dell’anziana doveva farlo Tina Turner. Il progetto saltò».
L’infanzia in Romania?
«Mamma era sarta, papà meccanico dei treni. Non avevamo lo stereo, la musica la sentivo alla radio o in tv. Sotto il comunismo, con le mie amichette di notte mi mettevo in coda per comprare il pane, le uova. E lo zucchero: per sentirmi sazia, lo mettevo sopra la verza. Uno schifo».
L’eroina che le somiglia?
«Tosca, perché è una cantante e una donna che si accende. La prima tosca, Hariclea Darclée, era romena, fu lei a chiedere un’aria femminile a Puccini. Così nacque Vissi d’arte vissi d’amore, l’inno dei soprani».
È una donna libera, come il ruolo che l’ha resa celebre, Traviata. Ha un compagno di 22 anni più giovane.

«Dal 2013. Mihai Ciortea, che è dentista. Lo conobbi sul palco, era un mio fan accanito. I primi mesi furono difficili, ma vedevo che era la persona giusta per me. Con Roberto era una lotta. Non si tratta di gelosia, era malato di me, diceva che non avevo diritto a prendere gli applausi da sola, senza di lui. Ora sono una donna felice».