il Fatto Quotidiano, 17 settembre 2025
Estetica imperiale. Cercasi mascella volitiva: hanno la faccia come il Maga
Non c’è solo estremismo e violenza nell’America di Trump, ci sono molte altre cose, apparentemente meno gravi, che caratterizzano una sudditanza umana, culturale, estetica, al nuovo modello Maga. Atteggiamenti, comportamenti, parole, certo, ma anche facce. Sì proprio le facce, modificate, standardizzate, plasmate, costruite su un ideale estetico che è quello della nuova classe dirigente americana alla corte di re Donald. Se ne sono occupati per ora sociologi e psicologi, osservatori e cronisti del settore della chirurgia estetica, per descrivere la voglia pazza della classe dirigente trumpiana di somigliare a un ideale estetico molto preciso, gradito al capo. Tanto che per parlare del fenomeno si è diffuso un neologismo sempre più usato: Mar-a-Lago-Face (faccia di Mar-a-Lago). Scrive per esempio Politico, intervistando una famosa chirurga estetica di Washington, che gli interventi di modifica dei connotati tra gli uomini di potere nella Capitale americana sono più che raddoppiati. Il più gettonato: protesi di silicone o titanio per rinforzare il contorno della mascella. Il profilo scolpito, il mento volitivo, la mandibola possente, sono diventati simboli da ostentare, sinonimi di potere e durezza. Il trumpista che non deve chiedere mai, insomma, il mascellone assertivo e decisionista, un sistema di valori rafforzato da botox, punture, protesi.
Vale lo stesso, forse di più, per l’universo Maga femminile, con una sua specifica estetica un po’ caricaturale: zigomi gonfiati come canotti, labbra espanse, denti ceramicati, occhi tirati, eccetera eccetera (il servizio completo, sempre nei laboratori medici di Washington, costa “appena” 90.000 dollari). Il modello, in questo caso, sarebbe forse Melania Trump, ma altri prototipi hanno preso piede rapidamente, prima tra tutte Kristi Noem, segretaria per la Sicurezza interna, che aggiunge alla sua Mar-a-Lago Face accessori e dettagli ben studiati (cappellino da baseball e armi in bella vista). Così rappresentativa dell’estetica Maga che Trump la volle sui manifesti e sugli annunci dei rastrellamenti di lavoratori stranieri (“Voglio la tua faccia nelle pubblicità”), e che lei non lesina fotografie posate, preferibilmente con alle spalle deportati e prigionieri in catene, o in cella. Immagini che declinano repressione e deportazione con codici vagamente sadomaso, e del resto Noem è famosa per aver sparato al cane che non ubbidiva, scelta come volto della guerra ai poveracci di Donald Trump. Immagini che ricordano vecchie foto del colonialismo ottocentesco: il bianco dominante, il “diverso” in catene, tipo certe foto dei belgi in Congo, o del Sudafrica segregazionista.
C’è qualcosa di immensamente tragico (e quindi anche un po’ ridicolo) in questo rifarsi i connotati per aderire a un disegno ideologico. Come nota giustamente Christian Salmon su Libération siamo al confine con il realismo socialista, quei volti granitici e duri dei lavoratori sovietici all’epoca di Stakanov, oppure alle forme ipervirili da dio greco della mitologia estetica nazista. La faccia, insomma, come ultima frontiera dell’emulazione e del servilismo. Facce estreme, facce disegnate, un’iperfemminilità botoxata per le donne, una virilità spigolosa, aggressiva, a colpi di scalpello per gli uomini, come se l’era Trump avesse privatizzato in qualche modo persino i tratti somatici della nazione. Bianchi, duri, volitivi, implacabili, con la faccia rimodellata in primo piano, una specie di tessera di iscrizione, la faccia come il Maga.