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 2025  settembre 17 Mercoledì calendario

Dalle gaffe di Carter alle proteste per Bush e Trump: storia dei presidenti Usa a Londra

Il bacio di Jimmy Carter che raggela la regina madre, la cavalcata di Ronald Reagan insieme a Elisabetta II, la gaffe di Michelle Obama che cinge le spalle della sovrana, il rifiuto della principessa Anna di salutare Donald Trump. Sono alcuni degli aneddoti che hanno accompagnato le visite dei presidenti americani a Londra, tra gaffe, momenti di bonomia e violazioni del protocollo. Fanno parte dei secolari rapporti fra Stati Uniti e Gran Bretagna, una storia lunga 250 anni, segnata dapprima da conflitti, poi da rivalità, infine dalla cosiddetta “relazione speciale” che in particolare dalla Seconda guerra mondiale in poi ha visto i due Paesi diventare stretti alleati.
Adesso tocca di nuovo a Trump, unico capo della Casa Bianca ad avere ricevuto l’onore di due visite di Stato, contraddistinte da un cerimoniale in pompa magna: un’idea condivisa dal primo ministro britannico Keir Starmer con re Carlo, apparentemente per conquistare i favori del tycoon e ottenere un miglior trattamento nella “guerra dei dazi” attraverso l’Atlantico, ma ora contestata dalla sinistra inglese come una mossa eccessivamente acquiescente nei confronti di un leader che sta sconvolgendo l’America e il mondo. In attesa di proteste e possibili incidenti, ecco una cronistoria dei precedenti.
La guerra d’indipendenza americana del 1766 vede la prima vittoria al mondo di una colonia contro il suo colonizzatore: l’Impero britannico viene sconfitto, nascono gli Stati Uniti d’America. Una seconda guerra fra americani e inglesi scoppia nel 1812, concludendosi senza che nessuno dei due prevalga, negli Usa è celebrata come una “seconda guerra d’indipendenza”, mentre Londra sta celebrando la ben più cruciale vittoria su Napoleone a Waterloo, per cui non presta attenzione al “pareggio” in quella con l’America.
Tra il 1880 e il 1990, durante la “Gilded Age” (l’Età dell’Oro americana), l’economia degli Stati Uniti vive un prodigioso sviluppo e supera quella del Regno Unito, che in virtù del British Empire, l’impero più grande della storia, dopo avere sconfitto la Francia di Bonaparte era stato la superpotenza dominante del diciannovesimo secolo. Negli anni Venti del secolo ventesimo, a sottolineare il sorpasso, anche Wall Street supera la City di Londra come primo centro finanziario mondiale. A dispetto della rivalità creata da questa sorta di passaggio di testimone, dal “secolo britannico” al “secolo americano”, tra il 1885 e il 1915 inizia il “Great Rapprochement”, il Grande Riavvicinamento fra le due nazioni guida dell’Occidente e, in quella fase, dell’intero pianeta: una convergenza di interessi e obiettivi, favorita dalla stessa lingua, da simili tradizioni e dal medesimo sistema democratico, che porterà a vederle combattere una a fianco all’altra la Prima guerra mondiale.
È l’inizio di una lunga alleanza, che culmina nella Seconda guerra mondiale, quando l’intervento americano, propiziato dal primo ministro britannico Winston Churchill, dà un contributo decisivo alla sconfitta del nazifascismo. Nasce così la “relazione speciale”, un’alleanza politica, militare e di intelligence senza eguali, perlomeno in ambito occidentale, nonostante qualche crepa, come nella “crisi di Suez” del 1956, quando l’America richiama all’ordine il Regno Unito, che insieme a Israele e Francia ha invaso l’Egitto, e Londra obbedisce, ritirando le sue truppe. Il segnale, se c’erano ancora dubbi, che il mondo ha un nuovo padrone.
Nel frattempo, nel dicembre 1918, poche settimane dopo la fine del primo conflitto mondiale, c’è la prima visita di un presidente degli Stati Uniti in Gran Bretagna: Woodrow Wilson attraversa l’Atlantico su una nave militare, fa visita a re Giorgio V a Londra, accolto da una folla di migliaia di persone, fino a Buckingham Palace, dove Wilson e il re appaiono insieme dal balcone. Passano tuttavia tre decenni prima di una seconda visita presidenziale: il 2 agosto 1945 (quattro giorni prima della bomba atomica su Hiroshima), Harry Truman incontra informalmente Giorgio VI. Nel 1951 Truman dà il benvenuto a Washington alla primogenita del re, la giovane principessa Elisabetta: è il primo presidente americano a incontrarla. Quando diventa regina, le visite si fanno più frequenti.
Nel 1959, sette anni dopo essere salita al trono, la regina Elisabetta accoglie al castello di Balmoral, sua residenza reale estiva in Scozia, l’ex comandante in capo delle forze americane durante la Seconda guerra mondiale, eletto presidente nel 1953: Ike Eisenhower. Nel 1961, Elisabetta riceve John Kennedy, presidente da appena sei mesi, insieme alla first lady Jacqueline (due anni dopo Kennedy verrà assassinato a Dallas): la regina dà un banchetto in loro onore a a Buckingham Palace, un evento pieno di glamour, riprodotto molti anni dopo nella serie televisiva The Crown. Richard Nixon fa soltanto una breve visita informale alla sovrana, nel 1970. Il suo successore Gerald Ford, dopo le dimissioni di Nixon per lo scandalo Watergate, non va a Londra, ma riceve Elisabetta a Washington nel 1976, con una cena di gala seguita da un ballo, offuscato però da una gaffe dell’orchestra: quando il presidente e la regina aprono le danze, parte la musica di The lady is a tramp, famoso brano interpretato da grandi cantanti, da Frank Sinatra a Ella Fitzgerald, senonché la traduzione letterale del titolo è “la signora è una sgualdrina”.
Jimmy Carter visita Londra per un summit internazionale nel 1977 e incontra anche lui Elisabetta, a Buckingham Palace, commettendo tuttavia una imperdonabile violazione del protocollo: quando la sovrana gli presenta la propria madre, Carter le sfiora le labbra con un bacio. “Ho fatto un passo indietro”, dirà in seguito la Regina Madre, con tipico senso dell’umorismo anglosassone, “ma non sono indietreggiata abbastanza”. Il successivo presidente, Ronald Reagan, riceve un’accoglienza eccezionale, anche per il legame ideologico che stabilisce con la premier britannica dell’epoca, Margaret Thatcher: nel 1982 pronuncia un discorso al parlamento di Westminster e in tutto incontra la regina ben tre volte. Il momento più memorabile è quando Elisabetta e il presidente, entrambi appassionati di equitazione, escono insieme a cavallo nel parco del castello di Windsor.
Bush padre e figlio non hanno molta fortuna nei loro incontri con la regina. George senior le fa visita a Londra nel 1989, ma quando lei lo contraccambia, a Washington, l’anno dopo, lo staff della Casa Bianca predispone un podio all’altezza giusta per il presidente, decisamente troppo alto per Elisabetta, che finisce per essere completamente sovrastata dai microfoni nelle foto dell’evento. Più tardi lui riferisce che la regina ci ha riso sopra.
George junior, nel 2003, viene accolto a Londra da un’oceanica manifestazione di protesta contro la guerra in Iraq, con i dimostranti che calpestano una sua immagine gigante. Tra i due Bush repubblicani, anche il democratico Bill Clinton visita più volte Elisabetta a Londra, pronunciando come Reagan un discorso in parlamento, in virtù della comunanza (la Terza Via ovvero il riformismo che porta al potere i progressisti in molti Paesi) con il premier laburista Tony Blair. Quando arriva il suo turno, Barack Obama incontra tre volte la regina a Londra: nella prima visita, nel 2009, è la first lady Michelle a compiere una gaffe, così almeno scrive la stampa inglese, cingendo le spalle di Elisabetta, molto più piccola di lei. Secondo il protocollo, è severamente vietato toccare Sua Maestà, ma quello di Michelle è un gesto di affetto e non pare che irriti la sovrana. Facendo un passo avanti di un decennio, quando Joe Biden visita la regina nel 2021 è il primo presidente americano a incontrarla dopo la morte del marito Filippo.
Prima della visita di Biden, i tabloid londinesi rimproverano qualche incidente di protocollo anche a Donald Trump, quando la regina lo riceve a Windsor nel 2019, in occasione del 75esimo anniversario dello sbarco delle truppe alleate in Normandia: in particolare perché il presidente cammina davanti a lei passando in rassegna le guardie schierate nel cortile del castello (ma è normale che la sovrana ceda il passo all’ospite, spiegheranno poi i biografi).
In compenso, come era capitato a Bush figlio, nel 2019 pure Trump è accolto da una grande manifestazione di protesta, incluso un pallone gonfiabile che lo ritrae come un bebè capriccioso. E quello era il Trump del primo mandato, non ancora il Trump che calpesta la democrazia e sconvolge il pianeta, come quello della sua seconda presidenza. Ma l’incidente più clamoroso della prima visita di stato di Trump avviene durante il banchetto a Buckingham Palace, quando la regina gli presenta uno a uno i suoi familiari: sulla porta si affaccia la figlia Anna, ma non accenna a muoversi. Elisabetta la esorta ad avvicinarsi con un cenno imperioso della mano, ma la principessa scuote la testa, segnalando che non ci pensa nemmeno. Fortunatamente (dal punto di vista protocollare), The Donald non se ne accorge. Vedremo se, e con quale calore, Anna lo saluterà questa volta.