Il Messaggero, 16 settembre 2025
Un tabellone con il planisfero. Una serie di pedine poi nel nostro Paese sostituite...
Un tabellone con il planisfero. Una serie di pedine poi nel nostro Paese sostituite dagli iconici mini cingolati in colori pop per occupare gli spazi, ossia nazioni e continenti. Un unico obiettivo: conquistare il mondo. È il 1954 quando il regista francese Albert Lamorisse brevetta il gioco da tavolo La Conquête du Monde, “papà” di Risiko!. Classe 1922, Lamorisse lo ha inventato quando era adolescente. Il principio è semplice: è in quel “giocare alla guerra” che nei secoli ha visto più generazioni di bambini armarsi progressivamente di spade di legno, pistole di plastica, poi joypad e quant’altro, per sentirsi “grandi”, nel significato più profondo del termine. Lamorisse, però, sposta il gioco dall’azione all’aria aperta allo spazio “chiuso” di un tabellone, lasciando che a correre sia la mente, attraverso la strategia.
Dopo qualche accorgimento e un cambio di nome – Risk, ritenuto meno “drammatico"- nel 1957 il gioco viene prodotto e diventa un successo. Nel 1968 arriva in Italia con il nome di Risiko! Sono passati decenni e l’intuizione di Lamorisse si rivela quantomai attuale. A Milano, dopo mesi di sfide, si è tenuta la finalissima del Torneo nazionale di RisiKo! 2025, organizzato da Spin Master-Editrice Giochi, che ha incoronato campione Andrea Forno, 35 anni, residente a Brandizzo, nel torinese. Un titolo conteso da sfidanti giunti da tutta Italia, a riprova della passione per il gioco che pare non conoscere limiti di età o genere – l’anno scorso, la campionessa è stata Rosa Giordani, casalinga romana, prima donna a vincere il torneo – e soprattutto non vede battute d’arresto. Anzi, è in costante crescita. Secondo Spin Master, «nell’ultimo periodo, le vendite stanno aumentando: anno dopo anno».
Questione di divertimento, storia e attualità. Sempre ai primi posti nelle vendite dei giocattoli tanto da essere ritenuto un “classico”, Risiko! pare affascinare ancora di più in periodi in cui la guerra quella vera è effettiva, vicina, e il gioco permette una sorta di catarsi. «La competizione fa parte della natura umana – spiega Andrea Angiolino, esperto e autore di giochi – giocando si sfoga anche quell’aggressività che non si mostra nella vita quotidiana e poi si torna più buoni di prima». E si può sperimentare perfino la guerra. «L’uomo ha sempre giocato alla guerra. Si pensi agli scacchi e al loro antesignano, in India, il Chaturanga. O a una pratica simile, diffusa tra i vichinghi, con scacchi in cui le pedine accerchiano il re. Poi ci sono giochi per simulare le guerre e via dicendo. Lamorisse non rappresenta una sola battaglia, porta sulla mappa l’evoluzione degli scontri. Risiko! riflette le due guerre mondiali che lo hanno preceduto e apre un filone, dimostrando che i giochi non sono solo per ragazzi ma anche per adulti».
Dagli Anni Settanta a oggi sono stati oltre dieci milioni gli italiani di ogni età che hanno tentato di conquistare il mondo, appunto, sull’iconico tabellone. E centinaia sono stati i tornei regionali e nazionali dagli Anni Ottanta a oggi. Senza trascurare più di 2,5 milioni di partite disputate nella versione digital. Per Assogiocattoli, i giochi da tavola sono il settore di punta, sul podio delle vendite, e rappresentano il 18% del fatturato del comparto. Giochi di strategia e classici, ovviamente, sono un fortissimo traino. «Risiko! rappresenta una semplificazione della dinamica di conflitto, addomestica la guerra e in un certo senso, ne fa spettacolo rendendola accettabile, assolvendo in tal modo a una funzione catartica», spiega Nicola Ferrigni, sociologo dell’Università degli studi della Tuscia. «In momenti difficili come quello che stiamo vivendo, il gioco diventa anche un modo per cercare di comprendere la guerra, senza viverne il trauma. Ci si può fingere generali, si può provare il fascino del potere, accettando però anche la fragilità rappresentata dai dadi, dunque dal caso». Insomma, sul tabellone si cerca quell’ordine che nella realtà, a volte, sembra mancare. «Il conflitto immaginario allontana quello reale – prosegue Ferrigni – giocare alla guerra, mentre in alcuni Paesi è davvero in corso, può sembrare un cortocircuito ma si fa rituale: una partita dura una notte e finisce con una risata, senza tragedia».
Muovere sul tabellone i piccoli tank – «Sono una peculiarità italiana: furono introdotti nel 1968», sottolinea Angiolino – è anche un modo per “studiare” i conflitti. «Conoscere la guerra è fondamentale anche per evitarla – spiega l’esperto di giochi – sul tabellone si vedono più chiare cause e prospettive di un conflitto. I giochi di guerra riflettono l’evoluzione dei conflitti reali». Il punto di forza di Risiko! è «l’equilibrio tra strategia, ossia potere, e casualità, rappresentata dal lancio dei dadi – continua – Un campione deve studiare strategie, anche alternative, e può fare calcoli di probabilità, ma se con i dadi va male, c’è poco da fare. Il giocatore occasionale si sente bravo se vince, ma può accusare la sfortuna se perde». Lo sanno bene gli appassionati. E i campioni. «Ho scoperto il tabellone a casa quando ero piccolo e ho iniziato a giocare in modo intenso intorno ai 10 anni. A 26 ho scoperto l’esistenza di club e tornei dedicati», racconta Andrea Forno. «Risiko! è uno specchio della vita e del mondo. Non vince solo il più forte, conta la componente psicologica. Un amico dice che se tutti ci sapessero giocare, il colloquio di lavoro andrebbe fatto con una partita. Si vede il vero carattere di una persona».
L’ALLENAMENTO
Giocare permette anche di allenarsi a perdere. «È una lezione di vita, la morale è che si può sempre ritentare», dice Angiolino. Così la guerra, fatta a colpi di pedine s’intende, diventa perfino educativa. «Il 28 e il 29 settembre, a Bracciano, organizzeremo un torneo di Wings of Glory, gioco di guerra con le carte – aggiunge – le sfide si disputeranno tra aerei della prima e della seconda guerra mondiale. All’inizio i discendenti dei piloti erano perplessi, poi hanno capito che forse questo è l’unico modo per fare capire cosa sono stati davvero quei conflitti, facendoli uscire dai libri».
Umberto Eco, nel 1963, in Lettera a mio figlio, scriveva: «Figlio mio, ti regalerò fucili. Perché un fucile non è un gioco. È lo spunto di un gioco. (...) Ti ripulirai di rabbie e compressioni, e sarai pronto ad accogliere altri messaggi, che non contemplano né morte né distruzione; sarà importante, anzi, che morte e distruzione ti appaiano per sempre dati di fantasia». Perché giocare alla guerra, forse, insegna il valore – e le regole – della pace.