la Repubblica, 16 settembre 2025
Intervista a Tony Gentile
Diciassette scatti, uno dopo l’altro, frazioni di secondo scolpite nella storia. Il “frame” numero 15 di quella sequenza, in particolare, finito sulle copertine dei giornali di tutto il mondo quando i due protagonisti vennero massacrati dalla furia stragista di Cosa nostra. Tony Gentile, 61 anni, palermitano, ha passato una vita intera a fermare il tempo nelle sue foto, editoriali per immagini che ha raccolto in libri e mostre e che raccontano tre decenni in prima linea per conto della Reuters, l’agenzia più importante del pianeta. Poi, un giorno, si è fermato: «È cambiato tutto, l’informazione è diventata più rapida, non c’è nemmeno il tempo di andare su un posto e progettare un servizio. E allora ho capito che poteva bastare così.
Tanto io un sogno nel cassetto ce l’avevo fin da bambino e adesso, finalmente, l’ho realizzato assieme a mio figlio Roberto che fa lo chef e ha lavorato con Alain Ducasse, il cuoco monegasco che vanta addirittura 18 stelle Michelin».
Già, la second life di Tony Gentile, il fotografo di Falcone e Borsellino, ma anche dell’incontro alla Casa Bianca tra Obama e papa Francesco, l’unico reporter che riuscì a “pizzicare” il celebre morso di Suarez a Chiellini ai mondiali di calcio in Brasile, è un ristorante siciliano appena aperto a Roma in zona Monte Sacro. Dove potrà finalmente cucinare la sua mitica pasta con l’anciova e la muddica atturrata, un sugo di acciughe, pomodorini e pan grattato, autentico must della cucina palermitana. «In realtà i fornelli li lascio a Roberto, lo aiuterò in sala, ma immagino che ogni tanto qualche piatto lo cucinerò anch’io. Del resto, sono un cuoco prestato alla fotografia, mica il contrario».
Da ragazzo voleva fare l’Alberghiero.
«Sì, avevo una passione sfrenata per i polli allo spiedo e i fritti tipici della mia città. Le panelle, le crocchè, i broccoli con la pastella. Poi ho preso un’altra strada, ma a casa ho sempre cucinato. Smanettare tra forni e padelle mi rilassa: quando c’è da preparare un buon piatto di pasta della tradizione siciliana, mi riconcilio con me stesso».
E quando era inviato di Reuters per eventi internazionali, mondiali, Olimpiadi, come faceva? In certi posti l’unica salvezza erano le scatolette…
«Per mesi interi dividevo le stanze dei residence con colleghi americani, giapponesi, russi. Loro facevano incetta di robaccia, io la mattina andavo per mercati, sceglievo quello che mi convinceva e la sera cucinavo per tutti. Ricordo che a Vancouver, in Canada, durante i Giochi invernali, il mio alloggio era diventato praticamente un ristorante. Altro che scatolette, quelli si presentavano ogni sera e mangiavano di gusto».
Lei non è l’unico fotografo con questa passione...
«Sa chi cucina da dio? Ferdinando Scianna. Chissà, magari c’è un legame tra cucina e fotografia. Forse il fatto che sia dietro a un obiettivo che davanti ai fornelli ogni giorno è sempre diverso dagli altri. Diffidate dai cuochi “seriali”, un piatto può cambiare tra una cottura e l’altra. Lo chef deve fare in modo che il cliente lo apprezzi o non se ne accorga nemmeno. E così, tra uno scatto e l’altro, ci potrà essere un dettaglio in più o in meno, ma è quello che fa la differenza».
Come l’immagine 15 di quella sequenza a un dibattito, poche settimane prima che Falcone fosse ucciso insieme alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti di scorta. La sua foto perfetta.
«Ma no, la foto perfetta non esiste. Pensi che il giornale che mi aveva inviato quella sera, poi pubblicò un’altra immagine di quella serie. Soltanto il giorno dopo la strage di via D’Amelio qualcuno si rese conto che lo scatto migliore era un altro. Reuters lo mandò in circuito e me lo ritrovai in prima pagina su diversi quotidiani. Fu una stagione devastante, ma credo che quell’immagine di vita che racconta la morte ci abbia aiutato a reagire».
E Chiellini? Come mai nessuno, tranne lei, si accorse del morso di Suarez?
«Perché l’attaccante dell’Uruguay che aveva appena addentato la spalla del nostro difensore, si era buttato a terra fingendo di essere stato colpito. I colleghi puntarono la camera verso di lui, io puntai invece sull’azzurro. Qualche ora dopo, in sala stampa, mi fecero tutti i complimenti: quella foto apriva i siti di tutto il mondo».
C’è un aneddoto dietro ogni foto. Anche quella volta che entrò nella sala ovale della Casa Bianca.
«Sì, ero l’unico accreditato per Reuters, Ansa e altre agenzie al seguito di papa Francesco. Mi concessero un minuto in tutto per immortalare l’incontro tra Obama e il Pontefice. Mi concentrai solo su quello, quando uscii mi resi conto di non aver nemmeno visto il tavolo del presidente americano sul quale si decidono i destini del mondo…».
Ci sarà un aneddoto anche dietro ogni piatto, allora. Da voi cosa preparerete?
«Primi, caponata, salumi e formaggi tipici, dolci della tradizione. È emozionante che nel locale ci siano i fiori dipinti da mio padre Totò, che ha 96 anni, e in sala lavori Valeria, la compagna di mio figlio. L’idea è quella di andare a mangiare a casa di amici, ce la metteremo tutta. Ah, ai muri ho appeso anche un po’ di mie foto. No, non quella di Falcone e Borsellino, per me è molto intima anche se ormai è diventata di tutti. E se qualche cliente sarà curioso, proverò a raccontargli cosa c’è dietro ogni scatto. Perché da oggi la mia vita è in cucina, ma la fotografia rimarrà sempre un grande amore».