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 2025  settembre 16 Martedì calendario

Braccio di ferro sul basmati Ue stretta tra India e Pakistan

Il profumo del basmati è sottile, persistente. Nelle cucine dell’India si allunga in chicchi bianchi e soffici sotto a un curry di pollo speziato al cardamomo; in Pakistan accompagna un biryani che esplode di colori, tra zafferano e cipolle caramellate. È un riso che non nutre solo lo stomaco, ma anche l’orgoglio nazionale. Peccato che questo piatto profumato rischi di diventare amarissimo per Bruxelles, stretta tra due rivali che non smettono di combattersi: India e Pakistan.
Il motivo del contendere è un acronimo burocratico che vale miliardi: Igp, indicazione geografica protetta, etichetta che permette di alzare i prezzi e blindare il mercato. Da sette anni l’India chiede alla Uedi riconoscerle l’uso esclusivo del termine “basmati”. Il Pakistan, che non intende rinunciare alla sua fetta di gloria (e di export), ha risposto nel 2023 con una domanda rivale, includendo fra le aree a Igp persino distretti del Kashmir da lui amministrati. Un gesto che per New Delhi equivale a una provocazione territoriale considerato il conflitto decennale tra i due Paesi in questa regione dell’Himalaya.
Nel frattempo, le piogge torrenziali e le alluvioni quest’anno hanno devastato i raccolti su entrambi i lati del confine, facendo impennare i prezzi del riso sui mercati internazionali. Europa compresa. Ma per Bruxelles la posta è politica prima ancora che economica. Se accettasse la versione pachistana, significherebbe di fatto riconoscere la sua sovranità su parti del Kashmir. Se desse ragione all’India, rischierebbe di chiudere i rubinetti commerciali con Islamabad.
Il braccio di ferro ha anche un sapore storico. Nei primi anni Duemila, i due Paesi avevano unito le forze per fermare la texana RiceTec, accusata di “biopirateria” per aver brevettato il basmati. Sembrava l’inizio di una collaborazione almeno sul terreno agricolo. Poi arrivarono gli attacchi di Mumbai del 2008 (195 morti), le accuse di complicità ai servizi pachistani, la frattura insanabile. Da allora, ogni chicco è una pallottola diplomatica.
Oggi la “guerra del riso” assume dunque una dimensione globale: se la Ue decidesse di dare ragione al Pakistan sarebbe un colpo durissimo per New Delhi, che vede nel riso non solo un mercato da miliardi (il basmati costa fino a 300 dollari in più a tonnellata rispetto ai risi comuni), ma anche un tassello identitario della sua cucina e del suo soft power. Per Islamabad, si tratterebbe di consacrare il riso come bandiera nazionale, oltre che come volano per un’industria da 4 miliardi di dollari di export, in una fase in cui l’economia pachistana sta soffrendo.
La Ue temporeggia, discutendo di denominazioni e clausole legali, mentre nei mercati di Lahore e di Delhi si continua a vendere riso al profumo di cardamomo e chiodi di garofano: lì, tra i sacchi di juta e il vapore dei banchetti, nessuno ha dubbi: il basmati è loro. Per l’Europa, il dilemma è indigesto: come cucinare un accordo commerciale senza che la pentola del basmati, tra India e Pakistan, gli scoppi in faccia?