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 2025  settembre 16 Martedì calendario

La disfida su Gesù nell’Italia neonata

Nell’agosto del 1863 Emilio Treves pubblicò in una rubrica del suo settimanale «Museo di famiglia» la notizia di un grande scandalo provocato a Parigi dal libro di Ernest Renan, Vie de Jésus. Libro che – come scrive Roberto Pertici in Il caso Renan. La prima guerra culturale dell’Italia unita in uscita venerdì 19 per i tipi de il Mulino – si sarebbe rivelato come uno dei maggiori successi editoriali del XIX secolo. E «un avvenimento insieme religioso, politico e letterario». Di «livello europeo». Anche in Italia si aprì in quell’occasione «la prima discussione pubblica su questioni religiose». Discussione pubblica che investì come un tornado la società italiana all’indomani dell’unità. E, per i suoi risvolti politici, fu il primo dibattito di quel genere nella storia degli ultimi secoli.
Perché tanto scandalo? Il libro di Renan dava per scontato che Gesù di Nazareth fosse un uomo realmente esistito. Ma «un uomo e nient’altro che un uomo». E considerava frutto di leggenda i caratteri sovrannaturali che la tradizione cristiana gli aveva attribuito. Il tutto però «in un tono ammirativo, lontano dalla critica beffarda dell’illuminismo radicale». Con ciò Renan non intendeva offendere le coscienze, anzi voleva farsi leggere da tutti. E riuscì nell’intento. Pubblicato in Italia, subito dopo l’uscita dell’articolo di Treves, il libro vendette nel giro di pochi mesi settantamila copie.
A difesa di Renan scese in campo Alexandre Dumas (che pure non aveva rapporti con Renan), i cui celebri libri erano stati da poco messi all’Indice. Ma contro la pubblicazione del libro si verificò il «primo caso di mobilitazione del mondo cattolico nella società post-unitaria». Mobilitazione «che andò ben oltre il ristretto pubblico dei potenziali lettori». E «assunse caratteri di massa». Lo notò Guido Verucci in L’Italia laica prima e dopo l’Unità 1848-1876 (Laterza). Un fenomeno analogo, del resto, si era verificato in Francia, anche lì su istigazione di Pio IX. Perché il libro sulla vita di Gesù, si è domandato Emmanuel Carrère in Il Regno (Adelphi), provocò quell’«enorme scandalo» e Renan divenne in un breve lasso di tempo «uno degli uomini più odiati della sua epoca»?
Renan, racconta Carrère, era un piccolo bretone cresciuto in ambiente molto cattolico, naturalmente destinato a diventare sacerdote. Poi la sua fede vacillò e decise di affrontare da storico il tema della vita di Gesù. E «il dovere di uno storico», scrive giustamente Carrère, «non è, e non può essere, quello di dire che Gesù è risorto ed era figlio di Dio, ma solo che un gruppo di persone, in un certo momento, in circostanze che meritano di essere raccontate nei particolari, si sono messe in testa che Gesù era risorto, era figlio di Dio». E «sono persino riuscite a convincerne altre». Renan «si rifiuta di credere alla resurrezione e più in generale ai miracoli». E «quando narra la vita di Gesù cerca di sapere ciò che è potuto realmente, storicamente, accadere e che i primi racconti hanno alterato in funzione del loro credo». Bastò questo – è la conclusione a cui giunge Carrère – per far nascere un putiferio.
Ma in Italia accadde qualcosa di più. Perché? I cattolici «militanti» nel 1863 confidavano che il nuovo regno nato appena due anni prima non durasse. Speravano che una guerra europea, la perdita del Mezzogiorno in seguito a una restaurazione borbonica dovuta alla vittoria del brigantaggio, l’isolamento internazionale, mandassero a monte l’impianto unitario dei Savoia. La mobilitazione contro Renan, scrive Pertici, «fu dunque anche una prova di forza contro le istituzioni del nuovo Stato». Si può sostenere, secondo lo studioso, «che la campagna antirenanista sia stata una specie di insorgenza “legale” il cui braccio armato fu appunto il brigantaggio». Non a caso Napoli fu uno dei centri principali di quella vasta mobilitazione.
A questa mobilitazione si contrappose un movimento a favore di Renan altrettanto motivato. Incoraggiato, questo movimento, dalla comparsa in libreria di un’altra Vita di Gesù di Eugène Sue pubblicata a Milano verso la fine di quello stesso 1863 dall’editore Levino Robecchi. Robecchi pretese di dargli quel titolo proprio per sfruttare il successo di Renan. Il milieu che tradusse, stampò, recensì, sostenne la Vita di Gesù (il libro vero, quello di Renan) appartenne prevalentemente alla Sinistra che si rifaceva a Cattaneo e a Garibaldi, «anche se magari molti suoi esponenti avrebbero avuto da ridire su questo o quell’aspetto del libro». Assai meno «renanisti» furono i mazziniani e gli appartenenti alla Destra liberale. La cultura della Sinistra di cui si è detto, quella dei traduttori, lo concepì invece «come uno dei maggiori prodotti della gigantesca rivoluzione culturale che stava scuotendo il XIX secolo». E come un «colpo fatale alla superstizione». Il colpo finale «sarebbe stato l’abbattimento del potere temporale, da cui si sperava iniziasse l’agonia del cattolicesimo». O quantomeno «l’allontanamento del suo centro da Roma».
Lo scontro tra i due mondi fu accesissimo e il libro di Renan funzionò, secondo Pertici, da detonatore. La Vita di Gesù, come si è detto, divenne subito un bestseller. La notizia che a Parigi era apparso un «libro infame» contro cui era necessaria una capillare mobilitazione fu diffusa dal principale quotidiano dell’intransigentismo cattolico italiano «L’Armonia della religione colla civiltà» pubblicato a Torino sotto la direzione di un teologo agguerrito e infaticabile, don Giacomo Margotti. Fu Margotti che – secondo Giorgio Candeloro in Il movimento cattolico in Italia (Edizioni Rinascita) – avviò la polemica che precedette la pubblicazione del libro in Italia. In un clima generale di diffidenza qualcuno, in ambiente cattolico, sospettò che don Margotti avesse peccato di eccesso di zelo. O peggio. Secondo quel che scrisse il giornale liberale «L’Opinione» il 4 settembre 1863, alcuni ultras clericali non perdonavano a Margotti «di aver resa pubblica l’opera del Renan, riportandone tanti squarci» sul suo giornale. Squarci che «sarebbero rimasti ignoti alle popolazioni dello Stato pontificio senza pubblicazione». Ovviamente, avverte Pertici, «L’Opinione» è «una fonte da trattare con cautela su questi problemi». Ma «queste notizie non sono del tutto trascurabili». In alcuni ambienti romani si sospettò che Margotti conducesse una sorta di doppio gioco dal momento che le sue polemiche erano così smodate che finivano per fare un favore agli avversari. Anche la campagna preventiva contro Renan «invece di bloccare la circolazione dell’opera, aveva reso popolare il suo autore e suscitato la curiosità di tanti che non l’avrebbero mai letta». E così ne aveva assicurato il successo. Anche in Italia.
Fra il 1863 e il 1865, in ogni caso, la risposta cattolica a Renan (a cui si aggiunsero quelle di evangelici ed ebrei) produsse una settantina di volumi e opuscoli antirenaniani. A cui si devono aggiungere le pastorali di un gran numero di vescovi e la traduzione delle più celebri opere tradizionaliste pubblicate in Francia. Insomma, scrive Pertici, sulla scia del successo di Renan, Gesù divenne un autentico caso editoriale. Intorno al figlio di Giuseppe e Maria fiorì una letteratura di vario livello, dal dramma teatrale al romanzo d’appendice, alla fiction storico-religiosa, a una serie di biografie apologetiche.
Oltre la fede
La mobilitazione contro Renan fu anche una prova di forza contro le istituzioni del nuovo Stato italiano da parte dei cattolici militanti
Uno scandalo a parte suscitarono le pagine di Renan dedicate a Giuda di Kerioth. Renan, infatti non si accodava alla millenaria damnatio memoriae del traditore e «sostanzialmente», scrive Pertici, «sembrava alleggerirne le responsabilità». La memoria di orrore, scriveva Renan, «che la sciocchezza o la tristizia di quest’uomo lasciò nella tradizione cristiana ha dovuto introdurvi qualche esagerazione». Giuda, secondo Renan, era stato un discepolo pari agli altri, «anzi possedeva il titolo d’apostolo, aveva fatto miracoli e cacciato demoni». La leggenda «che non vuole che colori spiccati» non poté ammettere nel cenacolo «che undici santi e un reprobo». Ma «la realtà non procede per categorie così assolute». Come movente del tradimento, Renan preferiva credere a «qualche sentimento di gelosia, a qualche dissapore interno». Forse la carica di amministratore della piccola comunità lo aveva indurito «e il tesoriere era prevalso sull’apostolo»: Forse «il meschino aveva suscitato altri malumori tra i suoi compagni». Senza negare che Giuda avesse contribuito all’arresto del maestro, Renan sosteneva che le «maledizioni avventate contro di lui» avessero «qualche cosa di ingiusto». Forse «egli fu più che malvagio, imprudente».
Un carico da novanta – sempre a proposito dell’apostolo che tradì Gesù – lo aggiunse qualche anno dopo un autore all’epoca assai noto, Ferdinando Petruccelli della Gattina, che pubblicò prima in francese poi in italiano le Memorie di Giuda (Treves). Il Giuda di Petruccelli è un patriota giudeo che partecipa ad una congiura di tutte le sette ebraiche per la liberazione della Palestina dai Romani. I congiurati, riassume Pertici, cercano un capo che sappia parlare alle masse e trascinarle, magari grazie alla sua fama di taumaturgo. Lo individuano «nel giovane rabbi di Nazareth di cui da un po’ di tempo si vocifera in tutta la Giudea».
Della congiura è al corrente anche Claudia, la figlia di Tiberio nonché moglie di Pilato, «in un doppio gioco estremamente ambiguo, perché non è ben chiaro se la romana punti a eliminare il marito da cui non si sente amata o ad offrirgli, grazie a una repressione esemplare, un successo che ne acceleri la carriera». Giuda entra nella cerchia di Gesù, gli espone il piano, «lo esorta ad abbandonare la parte di moralista e di umanitario da lui scelta e di seguire l’istinto della nazione che domanda un capo politico». Il suo posto non è la Galilea ma Gerusalemme «che divora i profeti piagnucolosi, ma è disposta a seguire un condottiero». Gesù, però, dopo qualche incertezza oppone un rifiuto perché «insegue una chimera tutta religiosa, non politica». E questo rifiuto ne segna il destino.
L’intransigentismo cattolico si mosse immediatamente contro Renan come ricostruisce Maurizio Tagliaferri in L’Unità cattolica. Studio di una mentalità (Editrice Pontificia Università Gregoriana).
La rivista dei gesuiti, «Civiltà cattolica», stroncò immediatamente la Vita di Gesù sia pure con un articolo assai stringato. Il mondo cattolico venne massicciamente mobilitato e a contrastare l’autore francese furono promosse anche processioni. Pio IX incoraggiò alcuni scrittori a che scrivessero «controbiografie» di Gesù (rigorosamente ortodosse). Si cimentarono nell’impresa Alfonso Capecelatro (1868), l’abate pugliese Vito Fornari (1869) e Luigi Biraghi (1871). Si diffuse la leggenda che il libro del Fornari «incutesse paura» a Renan. Ma Benedetto Croce scrisse che questa leggenda era priva di alcun fondamento e, anzi, aveva un «sapore comico».
Tra i cattolici liberali e più avveduti, Massimo D’Azeglio, che si era procurato l’edizione francese del libro e lo aveva letto nell’estate di quello stesso 1863 mentre stava passando le acque a Evian, sul lago di Ginevra, l’aveva trovato ben scritto (anche se qua e là, secondo lui, affiorava «un po’ d’impazienza irritante»). Al termine di quell’estate aveva suggerito a sé stesso e agli amici di non occuparsene. Ma gli infervorati seguaci di papa Mastai non gli diedero retta.
La contro offensiva fu guidata dalla «Gazzetta del popolo», fondata a Torino nel 1848 da Giovanni Battista Bottero e Felice Govean. Per la penna di Alessandro Borella il quale scrisse: «Se non fosse già vecchia sarebbe una bella commedia quella che si rappresenta ora dai preti contro la Vie de Jésus di Ernesto Renan; contro un libro, contro argomenti storici, contro fatti, essi adoperano carmi, epigrammi latini e italiani, rosari d’ingiurie, tridui, novene, l’Indice ed altre simili storie come se il pubblico del secolo XIX fosse ancora quello dei secoli scorsi e stesse ciecamente e macchinalmente a detta dei preti». Un giornale satirico, «Lo Spirito Folletto», importò dalla Francia il neologismo «Renanofobia» (inventato dallo scrittore Pierre Véron) e il napoletano «Arlecchino» pubblicò una finta lettera di Renan a Pio IX in cui lo scrittore lo ringraziava per avergli fatto vendere migliaia di copie. In effetti le cose erano andate proprio così come in tutte le polemiche culturali dei decenni e dei secoli successivi: invettive e insulti, anziché scoraggiare l’acquisto di un libro – come è nelle intenzioni di chi muove all’attacco – ne determinano il successo. Spesso clamoroso.