Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 15 Lunedì calendario

Javier Milei ha perso le sue prime elezioni: vi spieghiamo perché

Il tonfo elettorale rimediato da Javier Milei domenica scorsa in provincia di Buenos Aires segna la prima vera battuta d’arresto per il presidente libertario. Se si tratti solo di una frenata temporanea nel suo cammino verso il consolidamento del potere o del primo chiodo sulla bara politica del suo progetto lo diranno le elezioni di medio termine del 26 ottobre. Per ora, il vento di destra nella politica argentina pare essersi preso una pausa. La batosta, maturata in una regione storicamente peronista che vale il 40% dell’elettorato, non è arrivata del tutto inattesa. Prima è scoppiato lo scandalo della criptovaluta $Libra, promossa da Milei e diventata una trappola per migliaia di risparmiatori. Poi è arrivata la bufera sulla sorella Karina Milei, segretaria generale della Presidenza e considerata da molti il vero potere dietro il trono: accuse di corruzione che hanno incrinato la narrazione dell’uomo nuovo, incorruttibile e fuori dagli intrallazzi kirchneristi.
Non sono, però, solo gli scandali a pesare sul consenso politico di Milei: l’economia stenta ancora a riprendersi dopo la cura da cavallo somministratale nei primi mesi di mandato. Se quest’anno la crescita arriverà intorno al 5% e l’inflazione viaggia ormai stabilmente intorno al 2% mensile (ancora elevata, ma decisamente ridotta rispetto ai trimestri precedenti all’arrivo di Milei alla Casa Rosada), molti indicatori segnalano che la strada per recuperare quanto perso è ancora lunga. Solo nel primo trimestre di quest’anno l’attività economica è tornata ai livelli del 2023 ma, complici anche le turbolenze finanziarie dell’ultimo mese, ci si attende un rallentamento del passo. La disoccupazione, al 7,9%, rimane più alta rispetto a due anni fa. I salari reali, in lieve ripresa, restano sotto i livelli pre-Milei. I dipendenti pubblici guadagnano in media oltre il 10% in meno rispetto alla fine del 2023.
Note dolenti che si sommano a quelle riguardanti i conti con l’estero, il vero tallone d’Achille dell’economia argentina. Se nel dicembre 2023 le riserve valutarie erano sostanzialmente esaurite, con importazioni contingentate e capitali bloccati nel Paese, nell’aprile di quest’anno la situazione non era molto diversa. La lotta all’inflazione è stata condotta da un lato con la riduzione della domanda interna e dall’altro con il trucchetto valutario di vendere riserve valutarie in dollari per comprare pesos e così contenere il deprezzamento della valuta ed evitare di importare inflazione dall’estero. Questa manipolazione del cambio (criticata anche da sostenitori di Milei come l’ex ministro delle finanze Domingo Cavallo) ha fatto perdere competitività all’economia argentina e riportato in deficit il saldo degli scambi con l’estero, nonostante un contesto eccezionalmente favorevole, con esportazioni agricole e di petrolio e gas ai massimi degli ultimi 20 anni.
All’inizio dell’anno era già chiaro che le riserve valutarie residue non sarebbero bastate per ripagare i debiti esteri in scadenza nel 2025. Il rischio di un nuovo default era più che concreto. Milei aveva solo due opzioni: o procedeva con una nuova stretta fiscale comprimendo l’import o anticipava il ricorso al Fondo Monetario, col quale erano già in corso colloqui per un nuovo piano di aiuti, inizialmente previsto dopo le elezioni di ottobre. Per non interrompere la fase di ripresa, la scelta è stata obbligata: circa 22 miliardi di dollari sono arrivati dal Fmi tra aprile e luglio, insieme però a un nuovo programma macroeconomico, che ha imposto come condizione principale l’eliminazione della manipolazione del cambio. L’obiettivo è permettere all’economia argentina di abbassare il proprio rischio Paese e tornare a emettere titoli sui mercati internazionali, così da poter ripagare i debiti in scadenza e rimborsare i nuovi prestiti erogati dal Fondo. Per fare ciò, è stata posta massima attenzione al saldo con l’estero e sono stati fissati obiettivi precisi di ricostituzione delle riserve valutarie, che non devono più essere utilizzate per sostenere il cambio (salvo in casi specifici). Target che, però, non sono stati rispettati, tanto che già a luglio il Fmi ha dovuto rivederli.
In questa situazione di marcata fragilità è piombato il risultato elettorale di domenica scorsa, che ha riacceso la speculazione: la Borsa è crollata del 20% in un giorno, il dollaro è salito oltre i 1.400 pesos (una svalutazione del 25% in due mesi) e il rischio Paese ha superato i 1.100 punti base. Il Tesoro ha annunciato che interverrà vendendo riserve valutarie per contenere la svalutazione, mentre i tassi d’interesse hanno continuato a salire. Il Fmi ha espresso preoccupazione. Ma a questi tassi d’interesse, circa doppi rispetto a quelli su cui si ipotizzava che l’Argentina potesse raccogliere 15 miliardi di dollari in tre anni, e con riserve valutarie che non crescono, il piano economico accettato solo quattro mesi fa è già completamente fuori dai binari.
Le elezioni di ottobre, su cui Milei ha puntato per rafforzare la propria posizione e affrancarsi dall’alleato Macri, diventano ora un passaggio chiave. Un’altra sconfitta potrebbe far saltare tutto il disegno politico. Il presidente, però, ostenta sicurezza: minimizza il voto e accusa i peronisti di attacchi strumentali contro lui e la sorella. Il progetto ultraliberista non si ferma. Ma secondo l’ultimo sondaggio de La Nación, il 57% degli argentini è insoddisfatto del governo, e ancor di più dello stato dell’economia. Oggi verrà presentato il budget per il 2026 ma nessuno si aspetta aperture di portafoglio. Milei, intanto, dice di poter andare avanti senza intoppi. Vedremo se anche gli elettori saranno d’accordo.