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 2025  settembre 14 Domenica calendario

Parigi celebra l’ultimo strillone

Ali Akbar passeggia per le strade di Parigi. «Ci siamo, ci siamo». Lo sentiamo prima ancora di vederlo. «Putin sta per andarsene e chiede perdono». La pila di giornali, sottile e composta da copie di Le Monde, poggia sul suo avambraccio sinistro con i titoli rivolti verso l’alto, verso il pubblico, nella veranda del Café de Flore, a Saint-Germain-des-Prés. Ne tiene una copia nella mano destra, che agita con fare ironico. Ali Akbar è l’ultimo venditore di giornali di Parigi: un uomo magro, in polo a righe, pantaloni bianchi e berretto, che non perde tempo in lunghi discorsi pubblicitari. Capisce subito se qualcuno è seduto lì per comprare Le Monde. Lo fa dal 1973. All’epoca, Simone de Beauvoir e Jean- Paul Sartre tenevano un salotto al primo piano del locale.
Ali Akbar si fa strada tra i tavoli, passa davanti a una giovane cameriera con le braccia incrociate che gli sorride, poi esce per raggiungere la terrazza. È un caldo lunedì di fine estate nel VI° arrondissement di Parigi. I camerieri del Café de Flore indossano gilet neri sopra camicie e lunghi grembiuli bianchi. Ali Akbar è pakistano, originario di Rawalpindi, presto compirà 73 anni. Sebbene viva da tutta la vita a Parigi, parli il francese come un madrelingua e i suoi cinque figli siano francesi, la sua richiesta di cittadinanza rimane sospesa. «Lo fanno apposta», dice ridendo, parlando della burocrazia. Ha rinunciato a insistere. La cittadinanza non è più importante per lui, ma tra poche settimane sarà all’Eliseo, dove Emmanuel Macron gli conferirà la Legion d’Onore, la più alta onorificenza della Repubblica. Quando Macron era studente a Sciences Po, comprava il giornale da Ali Akbar e a volte lo invitava a cena o a bere qualcosa. Poi lo studente è diventato presidente. «È pazzesco, no? Io all’Eliseo?» «Ci siamo, ci siamo». L’ultimo banditore di Parigi non grida ma si annuncia con ironia: «È fatta, Marine si sposa con Jordan». Parla della coppia politica Marine Le Pen e Jordan Bardella. Percorrerà quindici chilometri tra un bar e l’altro, finché tutte le copie non saranno esaurite. Quasi nessuno parla francese al Flore o al Deux Magots. Tutti turisti: asiatici, americani, spagnoli, in fila per sedersi in questi caffè mitici, aperti alla fine del XIX secolo. Filosofi, artisti e politici si affollavano qui. Ora, i turisti scattano selfie con le tazze di cioccolata calda, rituale di Instagram, prima di ripartire.
Per Ali i francesi sono terribili brontoloni, mai contenti anche se hanno tutto. Quando era piccolo, invece, lui non aveva nulla. Era il maggiore di dodici o tredici figli. Due o tre sono morti in tenera età. Il sole splende nella sala sul retro del ristorante La Palette dove si siede. Ha ordinato un caffè americano allungato con acqua fredda. Racconta la sua vita. Un cliente lo interrompe vicino alla cassa per una copia di Le Monde. Ali posa il giornale con cura, accanto a qualche moneta. Non conosce la sua data di nascita. «Nelle famiglie povere, la nascita di un bambino non è un evento che si ricorda». Non parla bene di suo padre, nervoso e aggressivo, che manteneva la famiglia con piccoli lavori. Durante la raccolta del mais, Ali grigliava pannocchie da offrire ai passeggeri degli autobus, che allora erano a due piani, eredità della colonia britannica. Da bambino poteva salire nella sezione riservata alle donne, un privilegio. Non aveva forza per andare a scuola, così imparò a leggere e scrivere con un insegnante privato, che si era forse commosso per lui, così gracile alla fermata dell’autobus. Il professore gli insegnò anche l’inglese.
A sedici anni si procurò un passaporto pakistano, voleva andare lontano. Aveva in mente la Torre Eiffel e i tulipani olandesi. A diciotto anni partì per la Grecia via terra, passando per Afghanistan, Iran e Turchia. Nel 1973 arrivò a Parigi. Dormiva nelle cantine, sotto i ponti, mangiava all’Esercito della Salvezza, a volte anche in un tempio Hare Krishna. Trovare lavoro era difficile. Un giorno incontrò uno studente argentino che vendeva giornali nel Quartiere Latino, vicino alla Sorbona. Hara-Kiri e
Charlie Hebdo, con copertine grottesche, erano per lui come pornografia. Il venditore gli spiegò la satira e l’anarchia. Qualche giorno dopo Ali vendeva gli stessi giornali per strada. Allora il suo francese era ancora fragile, ma il suo gusto per gli slogan satirici cresceva. Da molti anni vende Le Monde. Alle 13:00 il giornale arriva in edicola, una pila viene consegnata a Saint- Germain-des-Prés, che lui ritira. Ha un accordo con la casa editrice: il 50% di commissione su ogni copia venduta, il conteggio a fine mese.
Se vende quaranta o cinquanta copie al giorno, guadagna 80-90 euro, 2500 euro al mese. Versa 1000 euro alla cassa pensione, restano 1500 euro per vivere. «Sono parsimonioso», dice. Ha imparato ad esserlo. Molte persone simpatiche del quartiere lo aiutano, lo invitano. Qualche anno fa una ricca vedova gli ha offerto uno dei suoi appartamenti in centro, ma lui ha rifiutato. «Ho paura della fortuna», non si fida. Non è a suo agio con la Legion d’Onore. Nelle ultime settimane sette emittenti pakistane lo hanno contattato. «I miei figli mi aiutano con la tecnologia». Ora è una star in Pakistan. Alle 17 la pila di giornali è ancora alta. Ancora un giro tra Flore, Deux Magots, Brasserie Lipp, Le Bonaparte, fino a tarda notte. «Ci siamo, ci siamo». Quasi nessuno compra più igiornali cartacei, soprattutto gli studenti. Tutti sui cellulari. Per non perdere clienti, scambia copie con Le Figaro, New York Times o il Financial Times per i turisti. Tutto è diventato più complicato. La Parigi di un tempo non c’è più. La nuova Parigi è più verde, bella e tranquilla, ma non più affascinante. Il turismo ha trasformato la città, modificandone la quotidianità e il carattere. Molte librerie antiche ora espongono libri di moda, e molte case editrici sono andate via per gli affitti troppo cari. Gallimard è rimasta, ma gli altri? Davanti a un bar in rue Jacob, Ali strofina una moneta su un gratta e vinci. «Forse diventerò milionario». Poi offre un giornale. È abituato ai rifiuti. Anche gli intellettuali non sono più quelli di una volta. «Molti sono idioti», dice ridendo. Poi se ne va, come su una nuvola. «Ci siamo, ci siamo».