La Stampa, 15 settembre 2025
Il Calcio ai fondi
Il calcio europeo cambia proprietario: fondi di investimento, creditori privati e persino società di promozione delle criptovalute – House of Doge ha appena rilevato la Triestina – riscrivono le regole del gioco. Il modello ormai consolidato è quello del private capital. Un esempio su tutti: Apollo Global Management, che ha erogato un prestito da 80 milioni di sterline al Nottingham Forest con un tasso di interesse dell’8,75% annuo, garantito da asset strategici come lo stadio del club. Due le principali modalità di investimento dei fondi: l’equity tradizionale prevede l’acquisizione di quote societarie con l’obiettivo di gestire direttamente il club, come nel caso del Milan con RedBird. Il private debt si concentra sul finanziamento attraverso prestiti quasi sempre ad alto interesse, spesso utilizzando come garanzia asset strategici (dai diritti tv agli stadi). In una variante più sofisticata, quest’ultimo strumento può utilizzare come collaterale le plusvalenze generate dalle sessioni di mercato.
Il modello ricorrente oggi vede grandi gruppi di capitali privati offrire prestiti a club bisognosi di liquidità. «I fondi ora stanno investendo soprattutto sul finanziare il debito perché le società sportive sono molto indebitate – spiega Dino Ruta, docente di Sport&Events Business all’Università Bocconi –. Il meccanismo è chiaro: il club che difficilmente genera liquidità sufficiente per ripagare i debiti finisce per essere acquisito dai creditori».
In Italia, secondo l’Associazione italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt (Aifi), le squadre di Serie A con investitori di private equity sono passate da tre a sei negli ultimi due anni. Ora, con partecipazioni di maggioranza o minoranza sono: Hellas Verona, Inter, Milan, Udinese, Genoa, Atalanta (attraverso un club deal, cioè un consorzio di investitori provenienti dal mondo del private equity).
Non sempre la squadra cresce con l’ingresso dei fondi. «L’investimento funziona quando il fondo si integra con un management o investitori già in grado di lavorare in questo sistema, caso scuola è l’Atalanta, in cui la famiglia Percassi è socia con ruolo attivo», dice Ruta. La presenza dei fondi ridisegna così anche il percorso in campo. «L’avanzare della finanza sofisticata rischia di far diventare il calcio qualcosa di diverso da quello che conosciamo – spiega Vincenzo Imperatore, per 20 anni manager di Unicredit e oggi consulente di direzione aziendale ed esperto di finanza calcistica -. Se le società non riescono a rimborsare i debiti, il prestito erogato dai fondi diventa capitale azionario di controllo: è quello che è avvenuto con Oaktree, aveva prestato i soldi all’Inter, e ne è diventato proprietario dopo che l’Inter non è riuscita a restituirli». Altro esempio viene dal Milan. Elliott management aveva rilevato la proprietà cinese nel 2018 dopo che questa non era riuscita a restituire il prestito nei tempi stabiliti diventando così azionista di maggioranza. Nel 2022 un altro fondo, Redbird, ha rilevato il club per 1,2 miliardi pagando una parte con risorse proprie e finanziando circa 500 milioni con un prestito emesso dallo stesso fondo Elliott, il venditore, al compratore, con un tasso di interesse nell’ordine del 7%. Infine il Genoa. Nel 2021 il fondo americano 777 Partners l’ha rilevato assumendo i debiti contratti dalla precedente proprietà Preziosi ma l’importo si è rivelato troppo oneroso. Dopo un accordo con l’Agenzia dell’Entrate per la ristrutturazione e un periodo difficile per la società, ora 777 Partners è azionista di minoranza e il club è passato sotto il controllo dell’imprenditore Dan Șucu.
A cambiare sono anche gli asset in cui si investe. In molti casi si punta a sviluppare beni tradizionali, come sta facendo Apollo, in trattativa con l’Atletico Madrid, supportando un progetto immobiliare da 800 milioni di euro accanto al suo stadio. In altri casi, ci si attende un ritorno da due asset meno concreti: fama e debito. «Il vantaggio assicurato è quello di diventare molto più visibili, creare relazioni – osserva Ruta -. Il calcio oggi è l’unico sport che consente di acquisire velocità di reputazione, riconoscibilità immediata». Ecco perché interessa soprattutto a chi non fa parte di questo mercato. «Sta emergendo un forte interesse del Medio Oriente negli investimenti – spiega Alessia Muzio, capo ufficio studi di Aifi –. È una scelta legata anche all’immagine, alla volontà di questi Paesi di farsi vedere nel calcio europeo». Ma c’è anche chi investe in modo nuovo nel debito. I top club europei di calcio stanno creando un mercato del debito utilizzando le commissioni di trasferimento dei giocatori da una squadra all’altra come garanzia collaterale. Un fenomeno di dimensioni tali da attirare i più grandi nomi del credito privato mondiale, tra cui Blackstone.
Come ricostruito da Bloomberg, tra maggio e settembre, quando i club possono acquistare e vendere giocatori, il totale delle transazioni ha raggiunto i 5 miliardi di dollari nelle sei principali leghe europee, con commissioni individuali che spesso superano i 100 milioni per singolo giocatore di punta. Funziona così: quando un club vende un giocatore, raramente riceve l’intero importo nell’immediato. I pagamenti sono spesso in rate da uno a cinque anni. Si creano così “crediti da trasferimento” che rappresentano denaro futuro garantito. Questi flussi di cassa programmati possono essere utilizzati come garanzia per ottenere prestiti immediati, permettendo ai club di monetizzare subito le vendite future. «È una vera e propria cartolarizzazione, come un mutuo, solo che adesso sono i giocatori gli asset cartolarizzabili – spiega Imperatore -. Il cartellino dell’atleta diventa la garanzia del debito, un prodotto finanziario derivato». Il pericolo? «In un mercato come quello italiano – dice – il rischio è che i club modifichino artificialmente l’indice di liquidità, sfuggendo così ai controlli di Uefa e Fifa, che anzi, sono i garanti di questo debito». Fuori dal private capital tradizionale cresce l’interesse dalle criptovalute. Il 12 settembre House of Doge, società di promozione del dogecoin (memecoin sostenuta da Elon Musk), è diventata primo azionista della Triestina tramite Dogecoin Ventures. «È il primo passo per portare lo spirito di Dogecoin nel cuore del gioco più popolare al mondo», ha detto Marco Margiotta, ceo di House of Doge. «Riteniamo lo sport una delle piattaforme più potenti per accelerare l’adozione di Dogecoin – scrive nella stessa nota la società -. Diventando il principale azionista, House of Doge prepara il terreno per integrare Dogecoin nella vita quotidiana: dai pagamenti alle partnership, alle esperienze globali dei tifosi». La matematica è la stessa: il calcio genera passioni, e le passioni muovono capitali. Resta da capire se l’equazione funziona anche al contrario.