repubblica.it, 15 settembre 2025
India-Pakistan, la guerra sul riso basmati imbarazza la Ue
l profumo del basmati è sottile, persistente, quasi musicale. Nelle cucine dell’India si allunga in chicchi bianchi e soffici sotto a un curry di pollo speziato al cardamomo; in Pakistan accompagna un biryani che esplode di colori, tra zafferano e cipolle caramellate. È un riso che non nutre solo lo stomaco, ma anche l’orgoglio nazionale. Peccato che questo piatto profumato rischi di diventare amarissimo per Bruxelles, stretta tra due rivali che non smettono di combattersi: India e Pakistan.
Il motivo del contendere è un acronimo burocratico che vale miliardi: IGP, indicazione geografica protetta, etichetta che permette di alzare i prezzi e blindare il mercato. Da sette anni l’India chiede all’Unione europea di riconoscerle l’uso esclusivo del termine “basmati”. Il Pakistan, che non intende rinunciare alla sua fetta di gloria (e di export), ha risposto nel 2023 con una domanda rivale, includendo persino distretti del Kashmir da lui amministrati. Un gesto che per New Delhi equivale a una provocazione territoriale considerato il conflitto decennale tra i due Paesi in questa bellissima e sfortunata regione dell’Himalaya.
Nel frattempo, le piogge torrenziali e le alluvioni quest’anno hanno devastato i raccolti su entrambi i lati del confine, facendo impennare i prezzi del basmati sui mercati internazionali. In Europa, dove il riso profumato è ormai ingrediente di scaffale, molto richiesto non solo dai tanti immigrati del sud-est asiatico ma anche dagli europei, ciò significa prezzi più alti.
Per Bruxelles la posta è politica prima ancora che economica. Se accettasse la versione pachistana, significherebbe di fatto riconoscere la sua sovranità su parti del Kashmir. Se desse ragione all’India, rischierebbe di chiudere i rubinetti commerciali con Islamabad.
Il braccio di ferro ha anche un sapore storico. Nei primi anni Duemila, i due Paesi avevano unito le forze per fermare la texana RiceTec, accusata di “biopirateria” per aver brevettato il basmati. Sembrava l’inizio di una collaborazione almeno sul terreno agricolo. Poi arrivarono gli attacchi di Mumbai del 2008, le accuse di complicità ai servizi pachistani, la frattura insanabile. Da allora, ogni chicco è una pallottola diplomatica.
Oggi la “guerra del riso” assume dunque una dimensione globale, se la Ue decidesse di dare ragione al Pakistan sarebbe un colpo durissimo per New Delhi, che vede nel riso non solo un mercato da miliardi (il basmati costa fino a 300 dollari in più a tonnellata rispetto ai risi comuni), ma anche un tassello identitario della sua cucina e del suo soft power. Per Islamabad, si tratterebbe di consacrare il riso come bandiera nazionale, oltre che come volano per un’industria da 4 miliardi di dollari di export, in una fase in cui l’economia pachistana sta soffrendo.
I negoziatori europei temporeggiano, consapevoli che qualunque scelta rischia di trasformare un pranzo di gala in una rissa di vicinato. Così, mentre a Bruxelles si discute di denominazioni e clausole legali, nei mercati di Lahore e di Delhi si continua a vendere riso al profumo di cardamomo e chiodi di garofano. Lì, tra i sacchi di juta e il vapore dei banchetti, nessuno ha dubbi: il basmati è loro. Solo che anche quel chicco lungo, nato nel Punjab diviso, oggi è diventato l’ennesimo confine da pattugliare.In fondo, resta l’ironia di un riso nato per accompagnare il cibo e unirlo ai profumi delle spezie che ora rischia di diventare l’ingrediente di una disputa che divide. Per l’Europa, il dilemma è semplice e indigesto: come cucinare un accordo commerciale senza che la pentola del basmati, tra India e Pakistan, gli scoppi in faccia?