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 2025  settembre 13 Sabato calendario

Le fabbriche delle truffe nel sud-est asiatico scoppiano: in 100mila costretti a ingannare persone in tutto il mondo

Le famigerate fabbriche delle truffe sono in espansione. Una in particolare, il KK Park di cui abbiamo già parlato in passato, è oggetto di nuove costruzioni. Il Guardian lo scorso agosto è tornato nei pressi di quella che è una struttura strettamente sorvegliata e custodita da guardie armate. Il luogo, situato al confine tra Myanmar e Thailandia, si estende su 210 ettari in un’area in cui c’era solo deserto.
Nell’impianto, dove le persone perlopiù sono trattenute contro la loro volontà, si trovano ristoranti, ospedali e persino banche. Stando al racconto del Guardian, sembra più un campus di un’azienda tecnologica che un’industria multimiliardaria criminale dove si compiono violenze e traffico di esseri umani. Non manca proprio nulla in queste scam city; in uno è stato creato addirittura un molo galleggiante per facilitare gli approvvigionamenti dalla Thailandia. Ci sono anche servizi per il personale più longevo e persino per i visitatori. Non mancano  appartamenti di lusso per i «dirigenti» delle strutture e alloggi per i prigionieri. Il cuore delle strutture sono i call center dove i lavoranti, praticamente schiavi, passano intere giornate ad aggirare con l’inganno vittime in tutto il mondo per sottrarre loro denaro con la scusa di investimenti in realtà inesistenti.
Le immagini scattate dai droni mostrano anche ricevitori satellitari di Starlink per la connessione ad Internet, diventati strategici dopo che il governo della Thailandia ha interrotto le forniture delle connessioni online, nel tentativo di colpire le bande criminali.
Gli scam center aumentano di anno in anno. Secondo i dati forniti dall’Australian Strategic Policy Institute (Aspi) e cioè un think tank sulla difesa e la cui sede si trova a Canberra, in totale sono 27 e la superficie aumenta in media di 5,5 ettari ogni mese. A capo delle scam-city, dal 2021 vi è l’esercito birmano, impegnato nella progressiva espansione del perimetro. Di recente sono state inflitte sanzioni da parte degli Stati Uniti, per via dei numerosi cittadini americani colpiti dalle truffe elaborate da queste «fabbriche».
C’è chi è anche riuscito a fuggire da queste strutture, come abbiamo raccontato in passato. E arrivano racconti agghiaccianti sulla vita condotta tra quelle mura. Violenze, torture, punizioni. In totale sarebbero 7.000 le persone liberate dai complessi solo quest’anno, ma i numeri totali sono inquietanti.
I dati della polizia thailandese condivisi dal Guardian sono infatti choccanti. Sarebbero 100mila le persone trattenute nei centri in Myanmar. Secondo la Civil Society Network for Victim Assistance in Human Trafficking, ci sono almeno 90 vittime della tratta umana, la cui provenienza sarebbe da almeno 11 Paesi tra Asia e Africa.
Alcuni di questi hanno subito mutilazioni, hanno perso la vista o sono stati resi disabili per via degli abusi commessi dai criminali.
Le vittime che si ritrovano costrette a mettere in atto truffe vengono più o meno tutte attratte con la promessa di un lavoro pagato bene, legittimo, come ad esempio addetto al servizio clienti. Non è raro che queste persone lascino i propri Paesi e poi le loro famiglie debbano sobbarcarsi spese elevate per restituire loro la libertà. Come ad esempio era successo al diciassettenne Louis, o come il quarantenne Billy. Anche il filippino Mateo ha subito le stesse torture per non aver raggiunto l’obiettivo di guadagno prefissato. Le truffe sono le stesse che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni. Scrivono su WhatsApp, agganciano la vittima e dopo aver raggiunto una certa confidenza, parte il raggiro. Tra le truffe più di successo la macellazione del maiale e il money muling. 
Un amico di Mateo, liberato con lui, ha affermato che per i criminali che lavorano in quelle strutture, «il denaro è più importante della vita umana. Non gli importa di calpestare gli altri: ciò che conta per loro sono i soldi. E conclude: «Sembra che tutto il male del mondo sia qui». Non dissimile dal commento di un’altra vittima liberata, che lo descrisse come un «inferno in Terra»