Specchio, 14 settembre 2025
Se si comportassero come le donne saremmo tutti più ricchi
Dal branco che compie uno stupro di gruppo, al manager che architetta una frode finanziaria, dal tifoso che vandalizza lo stadio, all’automobilista che provoca un incidente mortale per eccesso di velocità, il filo conduttore è sempre lo stesso. La criminalità ha un sesso, ed è (quasi) sempre maschile.
Il problema della violenza (e più in generale, della delittuosità) maschile è forse il problema più occulto, pericoloso e soprattutto costoso delle nostre società. Non tanto per i profili giuridici, morali e persino estetici del problema, ma proprio per i costi economici che la società (noi tutti, noi tutte) deve sopportare per la prevalenza di modelli tossici di mascolinità.
Parliamo di decine di miliardi di euro che ogni anno lo Stato spende per riparare le conseguenze di comportamenti violenti e criminali riconducibili in larghissima parte agli uomini.
Qui il tema non è se il patriarcato esista o meno, non si tratta di una questione ideologica, né tanto meno semantica, qui parliamo di dati, tabelle statistiche. E queste statistiche non lasciano grandi margini di interpretazione.
Nel 2024, le donne in carcere rappresentavano circa il 4,3% della popolazione detenuta totale, mentre gli uomini erano il 95, 8%.
Nel 2021 le donne arrestate o denunciate sono state 151.860, quindi il 18,3% del totale, mentre gli uomini sono stati 679.277, rappresentando quindi l’81,7% del totale dei soggetti perseguiti nell’anno in esame.
Le donne non solo delinquono meno, ma vengono anche condannate a pene più brevi e meno gravi. Un dato che dovrebbe far riflettere, se non altro per ragioni pragmatiche.
Quando si parla di omicidi, la forbice si trasforma in baratro: il 93,9% dei denunciati è uomo, e il 93% delle persone uccise dal partner nel 2023 era donna. Gli stupri? Quasi esclusivamente maschili: il 98,1% degli autori sono uomini. Solo i reati stradali mostrano una parità di genere, con differenze intorno all’1%, mentre in crimini contro il patrimonio – come i furti con scasso – le donne salgono al 20,2%, ma restano comunque minoranza. E non si tratta solo di reati violenti, ma anche di crimini economici, politici, informatici. I casi sono due: o le donne sono più brave a non farsi prendere, o siamo di fronte a un problema gigantesco.
A tutto questo si affianca poi una forma di violenza meno evidente, ma altrettanto pervasiva: quella che si manifesta nel linguaggio, nelle relazioni quotidiane, nelle forme ritualizzate dell’aggressività, nella partigianeria ossessiva, nei modi di occupare simbolicamente (e fisicamente) lo spazio sociale.
Questi dati non sono neutri. Significano che gran parte della spesa pubblica in ambiti come giustizia, sicurezza, carceri e misure di prevenzione è indirizzata a contenere gli effetti della violenza e della devianza maschili. Quanto costa tutto ciò? Secondo le stime, la criminalità pesa sull’Italia per circa 60 miliardi di euro all’anno, tra costi diretti e indiretti. Se almeno tre quarti dei reati sono compiuti da uomini, come suggeriscono i dati, il “gender gap criminale” vale da solo 45 miliardi. Una montagna di denaro pubblico bruciato per gestire conseguenze che potrebbero essere in gran parte evitate. E in questo conto non rientrano nemmeno i costi a lungo termine: perdita di produttività, assistenza psicologica, danni sanitari, vite spezzate.
C’è poi un’asimmetria ulteriore, che raramente viene presa in considerazione. Mentre spendiamo miliardi per contenere la violenza maschile, ignoriamo quasi del tutto il valore del lavoro invisibile di cura, svolto in grandissima parte dalle donne. In Italia, secondo l’ILO, le donne dedicano in media oltre cinque ore al giorno ad attività non retribuite di assistenza e cura, contro un’ora e 48 minuti degli uomini. Un impegno essenziale al funzionamento della società, che non entra nel PIL e non viene riconosciuto, se non come “vocazione naturale”.
Eppure, nel discorso politico, il genere resta il grande assente. Alcuni partiti si accaniscono sull’origine etnica dei delinquenti, mentre nessuno osa sottolineare il dato più evidente, e cioè che la stragrande maggioranza dei criminali è di sesso maschile.
Riconoscere questo non significa criminalizzare un genere, ma rendere più efficaci le politiche pubbliche. Ridurre anche solo del 10% la criminalità maschile significherebbe risparmiare miliardi l’anno, liberando risorse per la prevenzione, la scuola, la sanità.
Il punto non è “rieducare gli uomini”, ma immaginare un altro modo di stare nel mondo. Una grammatica relazionale diversa, fondata sulla complessità, sulla cura, sull’ascolto, sulla forza intesa non come imposizione, ma come capacità di sostenere relazioni non gerarchiche.
Forse è il momento di ribaltare la prospettiva: smettere di domandarci come rendere gli uomini più forti, ma quanto risparmieremmo se gli uomini si comportassero come le donne.