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 2025  settembre 14 Domenica calendario

La prima donna del Nepal

A riportare Kathmandu sulla via della quiete è stata una donna. Nella tarda notte di venerdì, Sushila Karki, ex ministra della Giustizia, è stata nominata primo ministro ad interim, la prima donna nella storia del Paese. E arriva dopo l’ondata di rabbia giovanile della Generazione Z, nota come Nepo Kids, che ha scosso il cuore della capitale nepalese. La protesta, scatenata dalla corruzione dirompente del governo di Khagda Prasad Oli, ha raggiunto dimensioni mastodontiche in pochissimo tempo. Fino a risultare del tutto fuori controllo. Quarantotto ore sono state sufficienti per far scoppiare il finimondo. Manifestazioni, iniziate con un intento pacifico e poi degenerate a causa degli interventi feroci della polizia, che hanno causato 51 morti accertate e 1.300 feriti.
I maestosi palazzi governativi dati alle fiamme, le nobili case della classe politica distrutte e l’occupazione delle stazioni di polizia hanno costretto il governo a dimettersi in blocco. Così come la polizia ad arrendersi e l’apparato militare a prendere in mano la gestione politica del Paese. L’unico modo per rasserenare la popolazione giovanile. Ishwor, uno dei leader della protesta, lo spiega con parole nette: «La polizia è affiliata ai partiti, alla classe politica, all’influenza di persone che non vogliono il bene di questo paese. L’esercito no, è un organo indipendente capace di occuparsi, anche temporaneamente, delle nostre necessità». Ora tocca a una donna prendere in mano la guida di un Paese in cui tutto dev’essere ricostruito, a partire dalle fondamenta. Karki ha ricevuto la benedizione da tutti. Nata nel 1952, dopo un’intera carriera in magistratura, è arrivata ad essere prima capo della Corte suprema e poi ministra della Giustizia, sempre ricoprendo le vesti di prima donna ad aver raggiunto questo traguardo.
Nel corso delle trattative con gli studenti e le altre parti, il suo era l’unico nome gradito a tutti come candidata. Quasi tutte le manifestazioni studentesche l’hanno sostenuta sin da subito. Vista come una donna dal viso pulito, l’idea è che sia la persona giusta per gestire la transizione di un Paese alle prese con una ripartenza. Lo racconta Aarav, mentre cammina con la sorella per dirigersi al pronto soccorso a donare cibo: «Karki è la donna giusta al momento giusto. Basta con la classe politica del passato, basta con i partiti tradizionali, è tempo di persone indipendenti, capaci di servire realmente un Paese come il nostro».In apparenza, il pretesto delle rivolte è stato il decreto – una strategia totalitaria dissimulata come misura di sicurezza – che ha messo al bando 26 social network, tra cui Instagram, Facebook e X.
Ma la causa effettiva è stata la corruzione che ha lentamente divorato il Paese. Il caso dei fondi stanziati a seguito del terremoto avvenuto nel 2015 è stato eclatante. Paese devastato, case distrutte. Gli aiuti internazionali. L’arrivo di fondi ad hoc per ricostruirli. Una gestione molto discussa, con numerose accuse di corruzione a riguardo. «Gran parte di quei soldi sono finiti nelle tasche di politici e funzionari», racconta una giovane contestatrice, mentre sta protestando davanti al parlamento in fiamme: «I politici hanno deciso di rubare il nostro futuro, lasciando me, la mia famiglia e tante delle persone che si trovano in questa piazza oggi in miseria». La polizia, dopo l’affidamento dell’incarico a Karki, sta passo dopo passo riprendendo il controllo del Paese. Fino a venerdì notte, qualsiasi caso relativo alla sicurezza e all’ordine pubblico era sotto il controllo dell’esercito. Che, nonostante tutto, continua a rimanere all’erta.
Con la caduta del governo, per 24 ore, tutti i corpi statali – compresi i vigili del fuoco – non hanno lavorato, lasciando le fiamme avanzare imperterrite per un giorno intero. Sono tornati operativi mercoledì, spegnendo le reliquie degli incendi che hanno straziato la città per ore. Anche ambulanze e ospedali hanno vissuto un incubo tra problemi logistici, attrezzature medicali inadeguate e sovraffollamento delle sale d’attesa. Soltanto adesso la situazione si sta stabilizzando. Le code sono state smaltite e i pazienti sono stati presi in carico. Tra i superstiti portati in corsia c’è anche Kamal, che giace su un lettino: «Mi hanno sparato a entrambe le ginocchia. Ero in prima linea, a lottare, quando hanno iniziato a colpirmi senza preavviso a entrambe le gambe. Non so se, e quando, riuscirò a rimettermi in piedi. Però, sono fiera di aver partecipato alla rivoluzione di casa mia».
Molti i volontari in piazza. I ragazzi, con senso civico, sono accorsi in massa per eliminare le scorie di un evento che ha segnato la storia di questo remoto territorio. Mentre raccolgono i rifiuti, due ragazzi – Gita e Hari – riallacciano le fila: «Ieri eravamo in piazza. Abbiamo dato fuoco a tutto, distruggendo questa città. Ma oggi siamo qui perché sta a noi ricostruirla. Se non ci pensiamo noi, chi lo farà? Il sistema in cui siamo cresciuti ci ha dissanguato, andava rasato al suolo, adesso sta a noi pianificare il futuro». E, intanto, Kathmandu si riflette tra due specchi: da una parte, i palazzi bruciati da scenario post apocalittico; dall’altra, la nuova generazione di nepalesi che chiede soltanto un futuro solido.