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 2025  settembre 14 Domenica calendario

Turchia, Ungheria e Slovacchia i migliori clienti del Cremlino

Tutti i Paesi della Nato devono dire addio al petrolio russo. È una delle condizioni (insieme a quella sui dazi alla Cina) fissate da Donald Trump affinché gli Stati Uniti possano imporre «sanzioni importanti» al Paese di Vladimir Putin, nella speranza di imprimere un’accelerazione alla chiusura del conflitto in Ucraina.
Gli Usa si muoveranno in questo senso, ha scritto il presidente americano sul suo social Truth annunciando di avere anche già inviato una lettera a tutti gli alleati, soltanto «quando tutte le nazioni della Nato smetteranno di acquistare petrolio dalla Russia». A detta di Trump, l’acquisto di greggio da Mosca da parte di alcuni componenti dell’Alleanza atlantica «è stato scioccante!» e ciò «indebolisce notevolmente la posizione negoziale» della Nato oltre che il suo potere contrattuale con la Russia.
Tra i Paesi che acquistano petrolio russo in grandi quantità, svetta la Turchia, che fa appunto parte dell’Alleanza. Secondo il think tank finlandese Centre for Research on Energy and Clean Air, Ankara nel 2023, cioè dopo l’imposizione delle sanzioni dell’Ue, è balzata dal quattordicesimo al terzo posto nella classifica dei maggiori acquirenti di petrolio russo, andandosi così a collocare alle spalle di Cina e India. Lo stesso think tank ha avanzato l’ipotesi che buona parte degli acquisti turchi potesse poi essere ridestinata, dopo un processo di raffinazione, ai Paesi europei in forma di prodotto petrolifero, di fatto quindi aggirando le sanzioni. «Soltanto nei primi sei mesi del 2025 fa notare Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – la Turchia ha comprato greggio e prodotti petroliferi dalla Russia per 15,6 milioni di tonnellate».
In maniera analoga si sono mossi anche tre Stati dell’Ue, seppure per quantità molto inferiori: la Slovacchia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca che, nel primo semestre e anche in virtù di alcune deroghe ottenute nel quadro sanzionatorio europeo, hanno acquistato petrolio e prodotti derivati rispettivamente per 3 milioni di tonnellate, 2,2 milioni e mezzo milione. «In base al prezzo medio del greggio – stima Tabarelli – questi quattro Paesi hanno finanziato la Russia per circa 10 miliardi di euro nei primi sei mesi dell’anno». A partire da aprile, però, la Repubblica Ceca ha annunciato di avere reciso lo storico legame petrolifero con il Paese di Putin, dopo una dipendenza durata 60 anni. L’Ungheria di Viktor Orbán e la Slovacchia sono pertanto gli unici due Paesi europei che continuano a ricevere greggio russo in forma diretta, attraverso l’oleodotto Druzhba.
L’esperto di Nomisma invita poi a considerare anche un’altra modalità, oltre a quella turca, con la quale il greggio di Putin rientra dalla finestra in Europa: gli acquisti dall’India di cherosene per l’aviazione, realizzato proprio grazie al petrolio russo. «Solo l’Italia – dice Tabarelli – nei primi sei mesi, ha comprato jet fuel per 220 mila tonnellate, cioè per circa 144 milioni di euro. A livello di Ue, si sale a 2,2 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi dal Paese asiatico e si arriva a 2,4 considerando anche la Turchia. Si può quindi stimare che Ue e Turchia abbiano pagato all’India, nel primo semestre, circa 1,5 miliardi di euro per prodotti originati per due terzi dalla Russia». Insomma, contando anche il gas, il legame tra Europa e Paesi della Nato con gli idrocarburi di Mosca è duro a morire. Non a caso, anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha invitato l’Ue a «sbarazzarsi della sporca energia russa il prima possibile».