Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 13 Sabato calendario

Gino & Michele: “Il nostro Zelig da 40 anni casa dei comici. Quella volta che salvammo Elio”

Dal 1986 Zelig non è solo un film di Woody Allen, ma anche un locale milanese che negli anni ha lanciato Paolo Rossi, Claudio Bisio, Aldo Giovanni e Giacomo, Checco Zalone e un’infinità di altri comici. Ora iniziano le celebrazioni per il quarantesimo. In questi giorni esce una biografia, per così dire: Zelig Republic (Aliberti, pagg. 256, euro 18,90), di Giangilberto Monti. Noi rievochiamo quei tempi con uno dei fondatori, Michele Mozzati, del duo di autori Gino & Michele, che parla anche a nome di Gino Vignali.
Sciogliamo l’enigma del nome del locale.
«Fu Enzo Gentile, giornalista e musicologo, a proporre il titolo del film, che racconta di un uomo camaleonte, che si trasforma in chi ha accanto. Perfetto per l’idea originaria: un palcoscenico per diversi generi di spettacolo.
Cabaret, jazz, rock, teatro. Ora si può dire che facciamo diversi generi di comicità».
Ed eccovi in viale Monza 140, storico indirizzo, e sede di un Circolo cooperativo di unità proletaria. La politica, altra vostra passione, fu una spinta?
«A metà anni Ottanta certe idee rivoluzionarie si erano affievolite, se non spente. E noi ridimensionammo gli obiettivi, dedicandoci a cose fattibili, ad esempio abbellire Milano, renderla più viva, partecipata. Ed ecco ilcinema Anteo, la Smemoranda. E Zelig».
Che nacque il 14 maggio 1986, poco prima aveva chiuso il Derby, il mitico Derby. Un’ideale staffetta.
«Casuale. Ma ci favorì, ci permise di colmare un vuoto e fece arrivare comici che lavoravano lì. Però eravamo diversi. Lì c’era sì gente spiazzante come Cochi e Renato, ma poi Amalia Rodrigues, la regina del fado, stava lì un mese. E loro tiravano fino alle 4 di notte, tra il pubblico c’erano criminali, spacciatori, prostitute, uomini d’affari. Noi volevamo essere estremamente normali, un posto dove mogli e fidanzate potessero stare da sole senza rischio, anche solo consumando al bar. Il biglietto costava poco e non siamo mai stati un locale notturno».
Ma poi facevate tardi lo stesso, se è vera la leggenda del calciobalilla dietro le quinte.
«Vera? Parla con uno che vinceva quasi sempre. Ma solo perché ero in coppia con Laura Zagordi, ora alla Civica scuola di cinema a Milano, mai visto qualcuno più forte. I veri assatanati erano Aldo e Giovanni. Il nostro socio e co-fondatore Giancarlo Bozzo invece cercava sempre di unirsi al più bravo, ma molti erano pippe, li riconoscevi perché rullavano».
Ha parlato di Bozzo, forse la vera anima dello Zelig.
«Tolga il forse. Giancarlo ha fondato il locale e da sempre ne segue la quotidianità. Una persona imprescindibile per la quantità e laqualità del lavoro, un grande amico. Io e Gino siamo famosi e si parla sempre di noi due, ma non ci sarebbe stato nulla senza lui. Potete vedere le sue gambe su un disco di Elio e le Storie Tese che contiene la canzone dedicata al locale, Zelig, la cunesiùn del pulpacc».
Altra vostra scoperta: Elio e le storie tese.
«Accoglievano il pubblico dell’Elfo all’entrata e all’uscita. Una sera cantarono la loro “Sei pelosa, sei scontrosa” a una platea di femministe, e l’inno dell’Inter in un periodo in cui la curva era particolarmente di destra, ci chiesero asilo artistico».
Una scoperta clamorosa, delle molte?
«I Fichi d’india. Basici, di una comicità diretta, popolare, scorretta, con una carica e un’energia spaventosa. Ti mettevano nella situazione in cui ridi come un pazzo, ti vergogni e a quel punto ridi ancor di più”».
Come trovavate i comici?
«Con un provino, una volta al mese alle 10 di mattina. Arrivavano giovani, belli, assonnati dal viaggio, tesissimi. Noi gli davamo un caffè, a qualcuno anche 5-6. Se in uno vedevamo del potenziale spesso lo facevamo tornare dopo che si era esibito nelle birrerie, dove devi essere bravo a catturare l’attenzione. Poi chiedevamo ai birrai, che erano orgogliosi di dare il loro parere: eravamo un po’ la Nazionale del cabaret».
Forse cambiò qualcosa con lo sbarco di Zelig in tv.
«Cambiò qualcosa per Bozzo, che dovette sobbarcarsi più lavoro. Di certo, meglio ribadirlo, lavorando per Berlusconi non abbiamo mai avuto il minimo problema di censura, o anche solo di richiesta di cambiare qualcosa. Per il resto fu la fine di tutto per chi ci voleva duri e puri, ma è un altro discorso».
Avete superato anche problemi economici. Ci sono cause in corso e non ne parliamo. Però può dire se è vero che lo Zelig a un certo punto andò avanti perché voi ci mettevate i soldi di persona?
«Un modo legale per andare avanti lo si trova sempre, certo facendo il passo ben più corto di prima. Ma il percorso non si interrompe mai. Noi non abbiamo intenzione di smettere, lo Zelig ci dà ancora l’entusiasmo di svegliarci la mattina. E abbiamo appena iniziato la nuova stagione. Mentre su Mediaset usciranno trasmissioni su giovani comici cercati in tutta Italia, ovviamente da Bozzo».
A proposito di giovani, chi vi ha folgorato di più in questi 40 anni?
«Ne dico due. Uno Maurizio Milani, che si era iscritto al provino col suo vero nome, Carlo Barcellesi. Poi salì sul palco e disse: “Salve, mi chiamo Maurizio Milani. Sono il cognato di Barcellesi che non poteva venire e ha mandato me”. Preso al volo. L’altro è Luca Medici, detto Checco Zalone, che alla fine del provino vide l’ordine in cui i comici si sarebbero esibiti la sera al locale e si lamentò con la madre: era l’ultimo, quindi il peggiore. Invece era l’ultimo proprio perché era il migliore. Ma aggiungo anche uno che all’inizio non capimmo: Enrico Bertolino. Gino gli disse: “Lei fa il bancario, no? Ecco, continui”. Per fortuna ha continuato, ma con noi».