Corriere della Sera, 14 settembre 2025
Organoidi: che cosa sono e a che cosa servono
Immaginate di avere su un vetrino un pezzetto di intestino, di polmone o di cuore in miniatura. Non un modellino di plastica, ma un tessuto vivo, fatto di cellule umane che si organizzano da sole, crescono in 3D e si comportano in modo sorprendentemente simile all’organo vero. Sono gli organoidi, piccoli «laboratori tascabili» che aiutano i ricercatori a capire le malattie e i medici a scegliere cure più adatte ai pazienti.
Grazie all’evoluzione delle tecniche di manipolazione delle cellule staminali (come le cellule staminali pluripotenti indotte – iPSC) e all’introduzione di nuove tecnologie (come la stampa 3D), oggi la ricerca ha a disposizione diversi modelli di organi umani: tra cui fegato, intestino, stomaco, reni, pancreas, cuore, tiroide, retina, ghiandole mammarie, ovaio e, infine, cervello.
Nell’ultimo decennio lo sviluppo di questi organoidi ha allargato gli orizzonti di studio, sia per quanto riguarda la ricerca di base sui processi fondamentali della biologia sia per quello che concerne la possibilità di capire meglio diverse patologie e trovare una terapia efficace. Gli organoidi sono stati utilizzati per lo studio delle malattie cardiovascolari, del cancro ma anche, ad esempio, per lo studio delle conseguenze delle infezioni virali sui polmoni: inutile ricordare l’impatto che ha avuto il Sars-CoV-2 su questo organo.
Ma cosa sono gli organoidi? «Sono dei mini organi, delle “pallette” (a volte piene, a volte cave) di cellule che contengono una mini popolazione di cellule specializzate e staminali simili in proporzioni all’organo in questione. Le dimensioni partono dai 300 micron (un milionesimo di metro) e possono crescere fino a qualche millimetro anche se con la crescita si ha il problema della mancanza di vascolarizzazione che li può rendere con un nucleo centrale necrotico», risponde Lorenzo Moroni, direttore del Merln Institute for Technology-Inspired Regenerative Medicine, professore di Biofabrication for Regenerative Medicine, Complex Tissue Regeneration Department, Università di Maastricht.
Per sgombrare il campo dagli equivoci, occorre sottolineare che gli organoidi non sono organi in provetta. «Vanno bene per studiare comportamenti biologici in fase di sviluppo di un dato organo, ma non possono replicare un organo adulto», spiega Moroni. Gli organoidi hanno diverse funzioni: «Servono a studiare fasi di sviluppo di un certo organo, possibili inizi di una data malattia o condizione genetica, meccanismi biologici che ne stanno alla base, ed eventuali possibili target terapeutici».
E hanno anche un processo di «assemblaggio» particolare. «Tramite condizioni in cui le cellule non sono in aderenza alla piastra di coltura e quindi iniziano ad aderire tra di loro facendo un self-assembly e creando le “pallette”. A seconda dei segnali biochimici mescolati nel terreno di coltura si indirizzano in uno specifico tipo o altro. Sono regolati dai segnali biochimici, nel mezzo di coltura. Da stimoli meccanici e stimoli elettrici in alcuni casi specifici ( neuro o cardio, ad es.)».
Quali sono i vantaggi di questa tecnologia? «A differenza di quanto avviene con l’uso delle di cellule staminali embrionali, vi sono questioni etiche di minore entità. Inoltre, le iPSC possono essere prodotte a partire da cellule di ogni singolo individuo, situazione ideale sia per la terapia, perché così non provocano rigetto, sia per lo studio di come si generano le malattie cardiache. Questo è vero soprattutto per quelle che hanno una base genetica, perché è possibile ottenere cardiomiociti che hanno lo stesso patrimonio genetico del paziente da studiare», spiega Massimiliano Gnecchi, professore di Cardiologia presso l’Università di Pavia e direttore della Cardiologia Traslazionale dell’Irccs Policlinico San Matteo.
Nell’ultimo decennio, gli organoidi sono diventati un obiettivo importante nella ricerca biomedica. Questi organi semplificati, coltivati in laboratorio, possono imitare aspetti importanti della biologia umana, fungendo da strumento accessibile e potente per studiare malattie e testare farmaci.
Tuttavia, replicare le complesse disposizioni e reti di vasi sanguigni presenti negli organi reali rimane un ostacolo importante. Così come quello della loro innervazione. Ma sul fronte della ricerca si stanno raggiungendo risultati notevoli e tre studi pubblicati a giugno su Nature Biomedical Engineering, Cell e Nature hanno descritto la creazione di organoidi epatici, polmonari e cardiaci con autentici vasi sanguigni.
E non è finita. Il 20 agosto scorso, su Nature Communications, il team di scienziati statunitensi del Sanford Stem Cell Institute del professor Alysson Muotri (UC San Diego) ha ottenuto un risultato sbalorditivo: un robot a quattro zampe è stato guidato grazie a mini-cervelli coltivati in laboratorio e stimolati con la luce attraverso il grafene.
Gli organoidi collegati al sistema ricevevano segnali dal robot, ogni volta che questo incontrava un ostacolo. Nel giro di meno di 50 millisecondi, gli organoidi generavano una risposta elettrica che portava il robot a cambiare direzione.
Fu proprio il gruppo di Muotri nel 2019, a pubblicare su Stem Cells un articolo che riportava la prima creazione di organoidi la cui attività elettrica cerebrale era paragonabile a quella di un feto tra le 12 e le 13 settimane di età.
Un risultato che ha evidenziato l’urgenza di affrontare il tema, anche sotto l’aspetto etico.