Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 13 Sabato calendario

«Un’amnistia per Marine». Il piano dei lepenisti (che spingono per il voto subito)

Nelle forze di opposizione più dura al nascente governo del premier Sébastien Lecornu, se Jean-Luc Mélenchon della sinistra radicale sostiene il movimento «blocchiamo tutto», e invoca la mobilitazione dei francesi anche per i prossimi appuntamenti di piazza, per esempio lo sciopero del 18 settembre, Marine Le Pen insiste invece sulle elezioni anticipate, a suo dire unica vera possibilità di risolvere l’instabilità politica e sociale francese.
«L’uscita dalla crisi si farà attraverso le urne e non con questa strategia di insurrezione permanente e di legittimazione del caos, che sono le sole parole d’ordine dell’estrema sinistra», ha scritto su X. È una posizione coerente con l’immagine che lei da anni cerca di dare al Rassemblement national, quella di un partito pronto a governare, responsabile, anzi, secondo la sua propaganda, ormai l’ultima risorsa della Repubblica prima che il caos prenda il sopravvento.
La leader del Rassemblement national invoca le elezioni «per ridare la parola ai francesi» e ristabilire una democrazia a suo dire confiscata da Emmanuel Macron, ma molti sospettano che ci sia anche un altro motivo, più personale, ovvero la questione della sua ineleggibilità.
Il 31 marzo scorso il tribunale penale di Parigi ha condannato Marine Le Pen a quattro anni di reclusione, a 100 mila euro di multa e, soprattutto, a cinque anni di ineleggibilità con esecuzione immediata, al termine del processo di primo grado per le malversazioni nella gestione degli assistenti parlamentari europei. L’appello si terrà a Parigi dal 13 gennaio al 12 febbraio 2026, e le prove a suo carico sono così pesanti che secondo la maggior parte degli osservatori un’assoluzione è molto improbabile.
Questo in teoria, e finora anche in pratica, impedisce alla leader del Rassemblement national di candidarsi alle prossime elezioni legislative e anche alle presidenziali, alla loro scadenza naturale nel 2027 o prima.
E allora perché Le Pen insiste così tanto nell’andare alle urne? Forse solo per il bene del Paese, forse anche per un calcolo politico. Le elezioni anticipate per l’Assemblea nazionale potrebbero offrirle la possibilità di candidarsi comunque, e chiedere l’intervento del Consiglio costituzionale, che potrebbe anche darle ragione e rinviare l’esecuzione della pena accessoria dell’ineleggibilità. A quel punto, Marine Le Pen potrebbe puntare per la quarta volta all’Eliseo, come desidera.
Oppure, se la strada del Consiglio costituzionale si chiudesse, ci sarebbe un’altra via. Le elezioni anticipate potrebbero dare altri deputati al Rassemblement national, che adesso è già il primo partito dell’Assemblée con 123 seggi su 577. Se i sondaggi fossero confermati, e se il Rn registrasse un’ulteriore avanzata, il definitivo crollo dei «cordoni sanitari anti estrema destra» e l’alleanza con i gollisti potrebbe consentirgli di formare una coalizione di maggioranza, e a quel punto magari fare passare una legge di amnistia.
La via legislativa è già battuta da tempo, mesi fa Eric Ciotti, il primo dei transfughi gollisti verso l’alleanza delle destre, aveva già messo a punto un testo da presentare all’Assemblea. Alcuni dirigenti del Rassemblement national, per esempio il vicepresidente Sébastien Chenu, hanno confermato che lo scenario è preso in considerazione, anche se Marine Le Pen in tv lo ha frettolosamente bollato come «elucubrazioni, ci sono ben altre urgenze». Aggiungendo però subito dopo: «Resto la candidata del Rassemblement National per le future elezioni presidenziali. Sono combattiva, proverò la mia innocenza e userò tutti i mezzi a mia disposizione per difendere la libertà dei francesi di poter scegliere il proprio candidato».
Contro di lei gioca il fatto non secondario che la situazione giudiziaria è oggettivamente difficile. A favore, invece, il clima politico: dopo mesi in cui si parla di democrazia bloccata, di volontà popolare disprezzata dalle élite, di un Macron asserragliato nel suo palazzo, è impegnativo negare la possibilità di candidarsi alla leader del primo partito, e in ulteriore ascesa. C’è sempre il piano B, la sostituzione con Jordan Bardella, ma non sarebbe la stessa cosa.