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 2025  settembre 13 Sabato calendario

Con la destra porte aperte ai migranti più che con la sinistra

Porte aperte, anzi spalancate agli immigrati: il governo Meloni è nella hit della generosità. Ci servono braccia e dobbiamo far presto. Prenderne quanti più possibile, del Nord e del Sud, bianchi dell’Est, sfollati dalle guerre d’Oriente, ma anche dell’Ovest lontano, di quello affamato sudamericano. Musulmani e indù, asiatici e salafiti. Neri del Sudan per esempio, o del Senegal, dell’Etiopia a noi cara (bell’abissinaaaa!) e della Somalia. Chiamarli a frotte in Italia e poi dopo l’ingresso – per quasi la metà di essi – trasformarli in clandestini: senza diritti e senza casa, magari espellerli oppure arrestarli.
Giorgia Meloni li cerca in tutto l’orbe terracqueo e senza voler svuotare le celle libiche dove quelli come il generale Almasri li tengono ammassati: carne umana all’asta. Il nostro governo, dopo aver autorizzato quest’anno l’arrivo di 181 mila lavoratori, ne cerca nel prossimo triennio altri 497 mila per soddisfare le richieste delle imprese, grandi e piccole, degli artigiani, quelli del Nord e del Sud, degli imprenditori agricoli. Tutti costoro sono la base elettorale del centrodestra, il cuore pulsante leghista.
Il principio del paradosso è dunque dentro la distanza che misura le parole della politica quando è in televisione dai decreti che sforna quando invece è al governo. Per dire, esiste un Salvini di diritto e uno di rovescio. Quando è vicepremier, nelle ore che lo impegnano in Consiglio dei ministri, è intento ad approvare i vari decreti Flussi. Con Giorgia Meloni ne ha dovuti sfornare tre: nel 2023 li porta a 136 mila. L’anno scorso sale a 151 mila, Quest’anno ancora un po’ di più: 181 mila ingressi. E nel triennio ’26/’28 Giorgia rompe il tetto di cristallo affermandosi come la donna politica più aperta e disponibile a soddisfare i bisogni del mondo: 497 mila ingressi. Totale meloniano: 965 mila lavoratori, un soffio e si arriva al milione di coloro che hanno avuto diritto a entrare nel nostro Paese secondo le stime sottoscritte dalla leader di Fratelli d’Italia.
Il centrosinistra al confronto resta indietro di decine di lunghezze. I due esecutivi presieduti da Giuseppe Conte stupiscono per la refrattarietà a qualunque segno di accoglienza. Con Salvini alle calcagna, e siamo al cosiddetto governo gialloverde, il premier 5 Stelle fissa un monte ingressi pari a 30.850 unità, numero sei volte più modesto di quello meloniano. Stessa cifra nella versione giallorosa del Conte-2.
La sinistra, invece, e a sorpresa, fa strage di immigrati. Paolo Gentiloni, premier nel 2018, lascia tutti a bocca asciutta: solo 30.850 ingressi. Nei tre anni di decreti Flussi firmati da Matteo Renzi (2014/2016) l’avarizia fatta persona: 32.850 (2014) che divengono 13 mila nel 2015 e di nuovo 30.850 nel 2016. Enrico Letta nel 2013 ne sforna solo 17.850.
Il paragone diviene impossibile al cospetto del decennio berlusconiano.
Negli anni Duemila, re Silvio monopolizza la politica, entrando e uscendo da Palazzo Chigi. Nel 2002 vara l’attuale legge che regola l’immigrazione, la cosiddetta Bossi-Fini. Anche qui siamo di fronte a crisi di personalità. Berlusconi prima e Fini poi illustrano la rivoluzione copernicana: la stesura di un vero e proprio contratto di lavoro con il quale l’immigrato accede in Italia. Se ce l’ha, ok. Altrimenti smamma.
Nel rovescio della medaglia, il Berlusconi ardito con Bossi, intransigente e feroce, si trasformano in pecorelle e regolarizzano, come buoni cristiani, 642 mila clandestini a spasso per l’Italia, di quelli che avrebbero fatto la fortuna dei talk show di Mediaset in voga in questi tempi. Negli anni che seguiranno (2004, 2005, 2006) i numeri dei nuovi arrivi si gonfieranno come la pancia della rana. Da 115.500 a 179 mila e poi a 340 mila.
C’è ragione dentro questo paradosso dei paradossi?
“Hai voglia se c’è una ragione”, risponde Marco Omizzolo, docente di Sociologia delle migrazioni alla Sapienza, e osservatore e denunciante puntuale della pratica dello sfruttamento dei lavoratori extracomunitari, della mafia che coltiva questo business, della politica che lo agevola. “La destra è alla disperata ricerca di braccia, perché deve fare i conti con le richieste della propria base elettorale fatta di imprenditori e artigiani. Il numero di questi nostri utili invasori si dimezza – quando c’è da fare un contratto secondo legge – rispetto al numero delle braccia richieste. L’idea eversiva, sulla quale la sinistra non avanza un’opposizione decente, è che le braccia servano solo se spogliate di qualunque diritto. La clandestinità è l’abito perfetto per ridurre ogni possibile pretesa dell’immigrato”.
Ogni dieci ingressi almeno la metà, secondo le valutazioni degli osservatori più accreditati, sono organizzate dai professionisti delle tratte. L’imprenditore bussa alla porta di questi professionisti della moderna schiavitù e illustra il numero richiesto di lavoratori. L’offerta di lavoro, dietro compenso, viene smistata verso i territori di partenza dei disperati. “Diecimila euro costa in media un lavoro offerto in Italia”, spiega Omizzolo. L’extracomunitario giunge avendo così una montagna di debiti da ripagare. “Accettano di tutto questi nuovi schiavi, anche 3 euro l’ora pur di far fronte all’urgenza di ripianare il debito”.
Ogni dieci arrivi, cinque si trasformano spesso nel volto di altrettanti clandestini e di questi la quasi totalità viene impegnata in lavori in cui naturalmente i diritti spesso si perdono per strada: rider, manovali in edilizia, badanti per i nostri vecchi.
Tutto torna.