repubblica.it, 12 settembre 2025
La battaglia sulla messa in latino, Leone autorizza una celebrazione a San Pietro con Burke
La battaglia si svolge tra i profumi degli incensi e i fruscii delle vesti liturgiche ma non è per questo meno cruenta. È il conflitto che nella Chiesa cattolica si combatte da tempo sulla messa in latino, il messale in uso prima del Concilio vaticano II, e sta già investendo il nuovo Papa a poco più di quattro mesi dal Conclave.
Il campo tradizionalista ha appena segnato un punto. Il prossimo 25 ottobre, infatti, il cardinale Raymond Leo Burke potrà celebrare messa in latino a San Pietro in occasione dell’annuale pellegrinaggio Summorum Pontificum, e potrà farlo perché glielo ha concesso papa Leone XIV in persona. Negli ultimi due anni questa messa era stata vietata (non il pellegrinaggio) da papa Francesco. Per la International Una Voce Federation, nota associazione della galassia tradizionalista che ha dato la notizia, “questa è la prima indicazione concreta dell’atteggiamento di Papa Leone XIV nei confronti della Messa Tradizionale”. E, dal punto di vista dei suoi estimatori, fa ben sperare.
La decisione è probabilmente il frutto dell’udienza che Robert Francis Prevost ha concesso al cardinale Burke solo poco tempo fa, il 22 agosto. Quali erano le sue idee, del resto, Burke lo aveva detto chiaramente ad una recente riunione della Latin Mass Society a Londra. Il porporato statunitense, trumpiano di ferro che non disegna la cappa magna con strascico rosso di qualche metro, già lì infatti espresse pubblicamente il desiderio che il Pontefice nato a Chicago “ponga fine alla persecuzione” dei fedeli affezionati al rito antico: “Ho certamente avuto già l’occasione di esprimere questo auspicio al Santo Padre”, ha detto Burke, “e spero che, non appena sarà ragionevolmente possibile, intraprenda lo studio della questione”.
Al Conclave il cardinale, come il suo confratello guineano Robert Sarah, avrebbe votato con convinzione, se non dal primo scrutinio piuttosto presto, il cardinale Robert Francis Prevost e ora pretende di andare all’incasso? Sulla stessa linea di Burke, nelle ultime settimane, si sono espressi sia il cardinale svizzero Kurt Koch, prefetto del dicastero per l’ecumenismo (“Papa Francesco ha scelto un approccio molto restrittivo a questo proposito. Sarebbe certamente auspicabile riaprire la porta ora chiusa”). Sia, curiosamente, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente sovranista polacco Karol Nawrocki, Slawomir Cenckiewicz, il quale ha riferito di aver sollevato, durante la recente udienza concessa al Papa, “la questione della tradizionale cattolica e le ingiustizie di Traditionis Custodes”.
Apparentemente questione di lana caprina, la diatriba sul messale pre-conciliare è in realtà materia eminentemente politica, di politica ecclesiale beninteso. Ed è esplosa quando, con il motu proprio Summorum Pontificum del 2007, Benedetto XVI decise di liberalizzare il messale antico. Era stato Paolo VI, dopo il Concilio vaticano II, a varare una riforma liturgica che aveva tra l’altro introdotto le lingue volgari nella celebrazione della messa. Ratzinger era orripilato dalle derive liturgiche, che ci sono state, trasandatezza nel celebrare messa, schitarrate, perdita di senso del sacro. Garantì ai fedeli tradizionalisti pieno diritto di cittadinanza con una mossa che, però, ha rischiato di creare “non semplicemente due liturgie parallele ma due Chiesa parallele”, spiega Andrea Grillo, professore di Teologia dei sacramenti al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Perché lex orandi, lex credendi, come si dice in latino: il modo in cui si prega rispecchia il tipo di fede.
La riforma di Paolo VI recepiva nella liturgia le novità del Concilio, dal dialogo con l’ebraismo all’idea di una Chiesa non piramidale, dalla lettura storico-critica delle sacre scritture al coinvolgimento del popolo di Dio, mentre “il rito pre-conciliare è adeguato ad una Chiesa solo gerarchica, solo clericale, una Chiesa che avversa il mondo moderno”, spiega il professore. Ratzinger ha aperto una porta ai lefebvriani e agli altri tradizionalisti che, però, mettono in questione il Concilio vaticano II tutto. Motivo per il quale nel 2021 papa Francesco ha corretto la rotta con un altro motu proprio, Traditionis Custodes, col quale ha ridotto al lumicino il margine di manovra dei settori ultraconservatori della Chiesa. Che, pur essendo una piccola minoranza, sono agguerriti e fragorosi, e non hanno mai smesso di attaccare Bergoglio. E, ora, vanno in pressing su Leone, Papa dal tono più tradizionale.
Una giornalista conservatrice statunitense, Diane Montagna, ha tirato fuori nelle scorse settimane un documento che proverebbe che nel 2020 la maggioranza dei vescovi consultati dal Vaticano esprimeva dubbi sulla prospettiva della riforma bergogliana. Il portavoce vaticano Matteo Bruni ha replicato che il testo “riguarda presumibilmente parte di uno dei documenti sui quali si è fondata la decisione” di Francesco, “e come tale alimenta una ricostruzione molto parziale e incompleta del processo decisionale”. Andrea Grillo taglia corto: “Ha preso dal cestino un documento che era stato appunto cestinato”. Ora, ha commentato il giornalista Robert Mickens, il Papa “deve resistere alle tattiche di ricatto dei cattolici di rito antico”.
Secondo Andrea Grillo, “poiché Leone è uomo fine teologicamente, si rende conto che un cedimento sul piano della liturgia parallela non è, come qualcuno dice, fare la pace, ma mettere semi di guerra”. I tradizionalisti si sono senz’altro entusiasmati a vedere il nuovo Papa indossare, sin dalla prima apparizione dal loggione di San Pietro, quella mozzetta rossa che Francesco, presentandosi in semplice talare bianca, aveva voluto abbandonare per dare un segnale di normalità e di riforma del papato. Leone “ha un modo più classico di interpretare le vesti papali”, commenta il professore del Sant’Anselmo, “ma non caricherei di carattere simbolico quella che mi sembra una scelta funzionale che rientra, comunque, dentro un cliché papale moderno”. Così vestivano, per dire, anche Giovanni XXIII e Paolo VI, i due Papi del Concilio.
Quanto alla liturgia, secondo Grillo bisogna evitare il “principio di dissoluzione dell’unità ecclesiale”, ossia “ridurre la liturgia al supermercato dove scegli quello che preferisci”. Anziché ammettere due riti paralleli, è infatti possibile fare maggiore spazio, all’interno del messale post-conciliare, ad aspetti, “che forse abbiamo poco valorizzato”, dal forte valore estetico ed affettivo, come il canto, il silenzio, tutta la comunicazione non verbale durante la messa. Il professor Grillo ricorda come, ad esempio, anche seguendo il messale riformato la messa si può celebrare tutta in latino: “Non c’è bisogno di andare al rito vecchio per trovare la bellezza della liturgia che può colpire i cuori, le menti, i sentimenti”. Che sia questa la via che intraprenderà Leone per disinnescare la guerra liturgica in corso in Vaticano?