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 2025  settembre 12 Venerdì calendario

Montezemolo e il film «Luca: Seeing Red»: «Senna a casa mia tre giorni prima di morire, a Pavarotti feci avere una F40 per convincerlo a cantare, quando ho preso la Ferrari era in crisi»

«Ho visto le immagini bellissime dei tifosi a Monza, e ho visto anche una squadra che dopo tanti annunci non ha vinto neanche una gara. E anche se l’avesse vinta, la Ferrari, dopo tanti anni, dovrebbe vincere il Mondiale». Così Luca di Montezemolo, ex presidente del Cavallino alla  presentazione del film a lui dedicato: «Sono tanti anni che la Ferrari non arriva nemmeno a giocarsi il titolo all’ultima gara; io ho passato momenti terribili per molto meno. Mi auguro che le cose cambino, prima di tutto per quelle persone che continuano ad avere una fede incrollabile. La Ferrari di oggi ha ancora più responsabilità nei loro confronti: mancano anima e leadership».
Alle telecamere ci è abituato da sempre, ma stavolta è diverso: l’emozione di raccontarsi e di essere raccontato sul grande schermo è più intensa, e si percepisce sul palco del teatro Litta dove in sala «ci sono gli amici di una vita», dove la voce s’incrina per l’emozione. 
Senza spoilerare troppo i passaggi di «Luca: Seeing Red», il film ispirato alla vita di Luca di Montezemolo che a Milano ha aperto l’11ª edizione del Festival Internazionale del Documentario «Visioni dal Mondo» (fino a domenica), basta vedere chi ci ha lavorato per capire la profondità dell’opera. La doppia regia è affidata a Christopher M. Armstrong e a Manish Pandey, già navigati nlle storie di passione e di corse. Pandey, oltre a «Lucky» (la serie su Bernie Ecclestone), ha collaborato a «Senna». «Vedo rosso»: una filosofia di vita, una dichiarazione d’amore, un filo conduttore lungo più di mezzo secolo sciolto in un lunga confessione a Chris Harris ex conduttore di Top Gear che lo aveva conosciuto davanti un piattino di caramelle al Salone dell’auto di Ginevra: «Mi guardò, ne prese alcune e disse: “Fantastico!» per poi andare via».  Oltre al leader industriale, emerge il lato più intimo di Montezemolo, l’aspetto umano di «chi ci ha sempre messo la faccia e il sentimento, nei momenti più belli ma anche in quelli più difficili».  La tenuta sui colli bolognesi, gli allevamenti, i cinque figli che ricorrono spesso nel racconto, Lupo il più piccolo che si prende cura degli animali negli allevamenti. 
Dai primi incarichi al fianco di Enzo Ferrari come assistente, quando la squadra corse era in difficoltà e Montezemolo, insieme all’ingegner Forghieri piantò i semi per un rilancio che portò al successo con Niki Lauda: «Un amico, che mi manca tanto, ricordo l’ultima chiamata quattro giorni prima che se ne andasse. Aveva una voce flebile ma era lucidissimo». La Ferrari come missione, ma non solo, scatenato a bordo pista mostrano le vecchie riprese. Pure troppo, una volta fu travolto da Ronnie Peterson.  Bellissime le immagini d’epoca che raccontano di Azzurra («Mia madre mi chiamava di primo mattino per chiedermi com’era andata con la barca..., avevamo conquistato tutta l’Italia con la vela»), del rapporto con Gianni Agnelli. 
E ancora l’organizzazione dei Mondiali di Italia 90, il concerto dei tre tenori a Caracalla («Fu semplice convincere Pavarotti a cantare con Placido Domingo e José Carreras nel concerto dei tre tenori, stava cercando una F40 e gliela feci avere in tempo breve...non credo che ci sia mai salito»). Fino al ritorno in Ferrari dopo la morte del fondatore, la «situazione era disastrosa: provai la 348, una macchina che la Ferrari non avrebbe mai dovuto costruire, faceva schifo». Di qui la rinascita della parte industriale e della Gestione Sportiva, con un retroscena raccontato nel salotto di casa a Bologna: «Ayrton Senna venne a casa mia tre giorni prima di morire a Imola, non era contento di dove stava alla Williams». 
E ancora i nuovi modelli, e il ciclo d’oro in pista con Schumacher e Todt, un lungo cammino pieno di difficoltà. «C’era chi mi chiedeva di licenziare Jean, scrissi ad Agnelli che non lo avrei mai fatto, che potevano cacciare me...». Un’epopea che attraversa decenni, passando per i due mandati da presidente della Fiat, fino ad arrivare al momento più traumatico, quello della separazione. «Tanti collezionisti ancora mi chiamano... per fortuna per loro esisto ancora». Cento minuti che scorrono veloci fra accelerazioni e ripartenze, un po’ come una gara di F1. 
Dalla sintonia iniziale con Sergio Marchionne, «l’uomo dei conti che aveva iniziato ad innamorarsi della Ferrari» fino allo scontro e all’addio nel 2014. Con la quotazione del Cavallino in Borsa a multipli dei brand di lusso, «meno di trent’anni prima l’azienda rischiava di chiudere, avevamo auto invendute e mandavamo operai a casa. Dopo la mia famiglia la Ferrari è stata la cosa più importante della mia vita». 
L’unica emozione paragonabile ai trionfi in rosso? «Il primo viaggio di Italo, non sapevo nulla di treni se non di quelli dei plastici di cui ero appassionato da bambimo, quando proposi a Della Valle l’idea mi disse: “Luca, cosa hai bevuto ieri sera?"». Cinquant’anni fa a Monza, Montezemolo festeggiava il trionfo di Niki Lauda; ieri a Milano si è goduto il suo red carpet. Vedo rosso.