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 2025  settembre 11 Giovedì calendario

L’11 settembre continua a uccidere: quasi settemila morti per le polveri delle Torri

Quasi un quarto di secolo dopo, il crollo delle Torri Gemelle, si prende ancora il suo tributo di vite. Quelle dei soccorritori che in quel tragico giorno di settembre e nelle settimane successive accorsero a dare una mano. Negli ultimi 24 anni, ben 127.567 delle circa 400mila persone esposte a quell’aria cattiva, hanno denunciato problemi di salute: iscrivendosi al World Trade Center Health Program, un programma sanitario creato specificamente per chi in quei giorni si era ritrovato nei dintorni di Ground Zero. Di questi, 82mila erano volontari, poliziotti, vigili del fuoco, medici e paramedici: e negli anni 6781 sono già morti, compresi 360 vigili del fuoco. Numero decisamente più elevato di quello delle persone perite durante gli attacchi. Negli ultimi cinque anni, poi, l’avanzare dell’età insieme alle tossine respirate a Ground Zero ha fatto aumentare esponenzialmente il numero di coloro cui è stato diagnosticato un tumore riconducibile a quella tragica esperienza (tiroide, reni, polmoni, vescica). Addirittura salito del 143 per cento, con 48.579 casi. Altri soffrono di melanoma, linfoma, leucemia. E pure di malattie rare come la sarcoidosi – noduli formati da cellule infiammatorie – pure riconducibili a quell’aria cattiva e satura di morte.
Fra i tanti c’è pure Elizabeth Cascio, che all’epoca lavorava come infermiera al pronto soccorso del Dipartimento dei Vigili del Fuoco di New York e passò due mesi a setacciare macerie in cerca di resti umani sul campo: «Sapevamo che l’aria era tossica. La percepivamo al punto di trattenere spesso il respiro. Ricordo che nonostante le mascherine sentivo le particelle entrarmi nel naso e nella bocca e pensavo: “Non è cosa buona”». Nel 2019 le è stato diagnosticato un tumore cervicale invasivo, attribuito proprio al periodo trascorso a Ground Zero. Diventata Capo di Stato dei Vigili del Fuoco di New York è andata in pensione nel 2023. Ora ha 62 anni ed è ancora sotto cura, una vita segnata da mal di testa micidiali, come racconta lei stessa alla Bbc. D’altronde, tutti ricordano le prime immagini della tragedia, coi sopravvissuti coperti da uno strato di polvere e fuliggine che per giorni penetrarono ovunque, prima che la pioggia ne pulisse via una buona parte.
La qualità dell’aria rimase tossica per mesi. Ma le autorità, compresa l’Epa, Agenzia per la Protezione Ambientale e l’allora sindaco di New York, Rudy Giuliani, presi da ben altri problemi, rassicurarono i newyorchesi: l’aria era respirabile, disse. Così, nonostante le raccomandazioni, pochi soccorritori indossarono indumenti protettivi e mascherine monouso limitandosi a fazzoletti di tela sul naso. Mentre chi viveva e lavorava in zona continuò la propria vita respirando aria inquinata. Anni dopo, si è stabilito che quei tentativi di rassicurare la gente sulla qualità dell’aria furono micidiali. Studi successivi hanno dimostrato che la polvere sollevata dal crollo delle torri gemelle conteneva amianto, metalli pesanti, piombo e sostanze chimiche tossiche come idrocarburi policiclici aromatici. Insieme ad enormi quantità di gesso e calcite – minerali comunemente usati nei materiali da costruzione – che notoriamente irritano occhi e polmoni. Il fumo che si elevava dal sito e che durò settimane, poi, conteneva particelle altrettanto micidiali: pregno di fuliggine ultrafine, carburante per aerei, plastica. Tutti materiali che hanno provocato effetti a lungo termine sulle persone coinvolte nella catastrofe.
«Sotto i riflettori ci chiamavano gli eroi dell’11 settembre. Ma per il resto del tempo i politici hanno cercato di ignorarci» ha raccontato a Repubblica John Feal, 58 anni, di Nesconset, Long Island, qualche tempo fa. Esperto di demolizioni che arrivò già la prima notte mischiandosi alla legione di volontari e poi diventato il leader dei “first responder” – appunto i soccorritori che lavorando sulle macerie tossiche del World Trade Center si sono ammalati. E infatti ha fondato la FealGood Foundation che di loro si occupa. È lui che ha rotto il muro dell’indifferenza battendosi per ottenere le leggi che oggi garantiscono risarcimenti e assistenza. Un lavoro straordinario che la community dell’11 settembre ha voluto riconoscergli: la giacca che indossava quando una lastra di metallo da quattro tonnellate gli piombò su un piede una settimana dopo l’attacco, nel 2016 è entrata a far parte della collezione del 9/11 Memorial Museum. «Siamo stati tutti esposti a una zuppa tossica che nessuno aveva mai visto prima».