la Repubblica, 11 settembre 2025
Santa Caterina del Sinai, dove il silenzio della storia è minacciato da un resort
Se il progetto andrà davvero in porto, uno dei pochi luoghi preservati dal turismo di massa, silenzioso custode di un’antichità senza tempo, luogo sacro per le tre religioni di Abramo, vedrà le folle vocianti in shorts e infradito sulle balze di una venerabile altura che sfuma nel mito: il monte Sinai, Gebel Musa (ovvero Mosè) per gli arabi. Vero che già ora esiste un programma di viaggio che parte da Sharm el Sheik arriva al monastero di Santa Caterina, prevede la salita fin quasi in vetta e ritorno. È però rimasta cosa per pochi, faticosa, scoraggiante. Il progetto egiziano prevede invece la costruzione di un vasto resort compresa ogni comodità e il dovuto chiasso. Il progetto sembra al momento non definitivo, ma già il fatto che se ne parli con insistenza qualche preoccupazione la dà. Quando si comincia a dire di una brutta cosa, in genere succede davvero. Ci riferiamo a un complesso formato dal monte e dal sottostante monastero di Santa Caterina, unico al mondo per la sua storia secolare. Qualche tempo fa vi ho soggiornato.
Al visitatore il monastero si presenta quasi all’improvviso nel mezzo di un deserto di sabbia e di pietre, alture granitiche arrossate dal sole, piste carovaniere, villaggi ancora abitati dalle originarie tribù beduine. Il monastero è un insieme fitto di costruzioni, recinto da un giro di mura poderose che nei secoli hanno resistito a vari tentativi di attacco. Unico ingresso uno stretto pertugio che lascia a stento spazio per una persona che proceda china sotto la bassa volta. Una volta dentro si va indietro in una vera macchina del tempo: cappelle, celle monacali, edifici di servizio, una straordinaria biblioteca, una chiesa (greco-ortodossa) di enorme suggestione e maestà, accanto una moschea, il campanile e il minareto si ergono affiancati.
Il nome attuale del monastero richiama Caterina, una pia fanciulla nata ad Alessandria, alla fine III secolo, da una ricca famiglia romana. Convertita al Dio dei cristiani, rifiutò di sacrificare ad altre divinità, condannata per questo al supplizio della ruota dentata. Durante l’esecuzione però la ruota si ruppe (così la ritrae Michelangelo nella Sistina), il governatore ordinò allora che venisse decapitata. Dice la leggenda che il suo corpo scomparve, gli angeli lo trasportarono sulla vetta del monte dove, tre secoli più tardi, alcuni monaci lo scoprirono.
Leggende ovviamente che però in luoghi come questo acquistano una loro paradossale credibilità perché qui ogni passaggio, ogni recesso arriva al visitatore filtrato attraverso un passato vertiginoso. A Mosè, che aveva lasciato l’Egitto alla testa del suo popolo, Dio si rivelò qui con il miracolo del roveto ardente. Lì ha ricevuto i dieci comandamenti scritti direttamente dal “dito di Dio” su tavole di Pietra.
Passano i secoli, nel 326, Elena madre di Costantino, devota della tradizione del roveto ardente,fa costruire nel luogo una cappella che ricordi quel miracolo. Passano altri secoli, nel 527 l’imperatore Giustiniano ordina che si aggiunga alla cappella un nucleo monastico che prende il nome di “Monastero della Trasfigurazione”, dal grande mosaico posto sopra l’altare. Passa ancora un altro secolo, poco prima del 600 un terzo profeta, il giovanissimo Maometto, trova anche lui riparo dai suoi nemici in un deserto affascinante e isolato.
Probabilmente solo a Roma ci sono luoghi come questo ultra carichi di storia e di memoria. Il miracolo contemporaneo è che in questa scheggia di passato, arrivata intatta fino a noi, esiste unabiblioteca di inaudita ricchezza. Quando ho visitato i luoghi era diretta da un monaco di origini texane, Padre Giustino, Father Justin. Tremila e trecento manoscritti originali e settemila antichi libri a stampa, la più importante dopo quella vaticana per questo tipo di documenti. Grazie ai contributi di alcune fondazioni, soprattutto americane, i locali sono stati rinnovati, dotati di scaffalature e raccoglitori che tengono le opere al riparo dalla luce e dall’insidiosa polvere del deserto. L’avveniristico impianto antincendio non è a getto d’acqua ma di gas inerti che smorzano le fiamme sottraendo ossigeno. Tra i documenti qui conservati c’erauna volta il famoso Codex Sinaiticus, datato al IV secolo, recante la più antica versione della Bibbia portata direttamente dall’ebraico al greco. Ora c’è soltanto una copia, l’originale è a Londra a seguito di una storia che merita anch’essa un breve racconto.
Autore della scoperta fu lo studioso tedesco Constantin von Tischendorf (1815-1874), che trovò alcuni fogli in una cesta. Il monaco gli disse che si trattava di rifiuti che dovevano servire per alimentare il fuoco nel forno. In varie visite successive lo studioso riuscì a scoprire e mettere in salvo gran parte del resto e, vincendo la diffidenza dei monaci, a farselo inviare in un altro monastero ortodosso al Cairo da dove il preziosissimo testo venne inviato in dono allo zar. Per diversi decenni il manoscritto è stato conservato presso la Biblioteca Nazionale Russa di San Pietroburgo. Nel 1933 l’Unione Sovietica lo ha venduto per centomila sterline alla British Library dove ora si trova. I monaci di Santa Caterina continuano però a sostenere, forse non a torto, che gli inglesi il prezioso Codex lo hanno semplicemente rubato.
Un’altra storia eccezionale è quella dei mosaici bizantini della chiesa che risalgono all’epoca di Giustiniano, cioè al VI secolo. Un’équipe di restauratori italiani, guidati da Roberto Nardi, li ha messi in salvo dopo cinque anni di un lavoro di straordinaria complessità.
Il mosaico è dominato dalla figura del Cristo trasfigurato, intorno le figure di Mosè, Elia, i santi Giovanni, Giacomo, Pietro. I mosaici vennero creati insieme alla chiesa. Dopo quindici secoli, però, l’incuria, la patina del tempo, il nerofumo delle candele li avevano resi quasi illeggibili e pericolanti. Un complesso formato da mezzo milione di tessere, ognuna della quali di una grandezza massima di sette, otto millimetri. Quando il restauro è cominciato, ne risultavano mancanti circa ventimila. Era indispensabile reintegrarle con tesserine nuove il più possibile vicine alle originali, anche nella capacità di riflettere la luce in modo diverso a seconda delle diverse ore della giornata: una delle più significative prerogative dei mosaici bizantini. Le nuove tessere, campionate per colore e sfumature di colore, sono state ordinate a Venezia dove si conserva ancora una lunga tradizione d’arte vetraria.
Sotto la direzione tecnica di Chiara Zizola, formata anche lei nella scuola italiana del restauro, le tessere sono state ricollocate, fissate una per una con gocce di calce, inventariate in modo che chi guarda l’opera può controllare, volendo, quali siano e dove le tessere sostituite. Si potrebbe continuare con altre storie, altri dettagli, nessun racconto però uguaglia l’atmosfera indicibile di questo complesso segnato dal silenzio, dal bagliore rossastro del monte al tramonto, dal cauto incedere dei monaci, dal loro salmodiare nel crepuscolo. Figure che paiono anch’esse emerse da un passato dove storia e leggenda, fede e vicende politiche sono miracolosamente intrecciate. Basterebbe pochissimo per mandare tutto in pezzi.