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 2025  settembre 10 Mercoledì calendario

La diga della discordia L’Etiopia sfida i vicini

Una grande opera che serviva all’Etiopia per ritrovare l’orgoglio e dimostrare a un Paese lacerato da conflitti e disuguaglianze con il 25% della popolazione sotto la soglia di povertà che solo unito può diventare grande. Ma la ciclopica e controversa diga sul Nilo azzurro, inaugurata ieri alla presenza del commosso premier etiope Abiy Ahmed e di diversi leader africani, ribattezzata del “Rinascimento etiope”, rischia di innescare nuovi conflitti regionali per l’acqua.
Si tratta della diga dei record. È la più grande dell’Africa ed è una delle dieci più grandi del mondo, con un’altezza di 145 metri e una lunghezza di oltre un chilometro e mezzo. Alle sue spalle è stato creato un gigantesco bacino artificiale chiamato lago Negat che vuol dire Alba in amarico con un volume di 74 miliardi di metri cubi. Il progetto ospita due centrali idroelettriche della potenza di 5,15 gigawatt, l ‘equivalente di tre centrali nucleari di medie dimensioni, ed è costato circa 5 miliardi di dollari finanziati al 90%, secondo la Banca centrale etiope, dal popolo del secondo paese africano con 135 milioni di abitanti, oltre la metà dei quali priva di accesso all’elettricità. Una risposta a Donald Trump, che ha dichiarato che la diga è stata pagata dagli Stati Uniti.
Secondo il ministro dell’energia etiope in cinque anni la diga, costruita in 14 anni dall’azienda italiana Webuild, permetterà l’accesso all’elettricità al 90% della popolazione. Da ieri l’Etiopia è inoltre diventata un hub energetico internazionale, il primo produttore continentale di energia sostenibile rinnovabile che punta a vendere a Kenya e Gibuti con l’ambizione di costruire una rete di trasmissione per attraversare il Mar Rosso e vendere anche a Yemen e Arabia Saudita.
Ma la mega diga è divisiva. Distante 700 km dalla capitale Addis Abeba, sorge sul Nilo Azzurro, a pochi chilometri dal confine con il Sudan, è stata avversata dai due Paesi rivieraschi Sudan ed Egitto fin dal 2011, quando l’allora premier Melles Zenawi ne decise la costruzione per rilanciare l’unità nazionale etiopica Gli etiopi hanno garantito che la diga non toglierà l’oro blu ai due Paesi, regolerà anzi i flussi evitando inondazioni. In questi anni il governo del Cairo, il cui 90% della popolazione (107 milioni di persone) vive sulle sponde del fiume, ha portato la questione davanti alle Nazioni Unite reclamando il mancato rispetto di un accordo reciproco sull’utilizzo delle acque risalente all’epoca coloniale e stipulato sotto l’impero britannico. Pur essendo il Nilo azzurro – accusa la diplomazia egiziana – un fiume internazionale, Addis Abeba ha preso una decisione unilaterale costruendo la diga con un immagazzinamento di acqua insostenibile. Di fatto, sostengono gli osservatori, l’accordo coloniale favoriva il Cairo che negli anni 60 del secolo scorso costruì la diga di Assuan, mentre ieri l’Etiopia si è ripresa senza fare accordi le acque che ritiene sue segnando politicamente la fine del millenario dominio sul fiume dello Stato nordafricano.
L’energia elettrica è del resto indispensabile alla modernizzazione e allo sviluppo etiope così come la stessa acqua serve all’agricoltura sudanese ed egiziana. La tensione resta quindi alta in tutta l’area del Corno e nel Nordafrica e anche se il Cairo ha promesso che non risolverà militarmente la questione, il ministro degli Esteri egiziano ha dichiarato che la diga pone una minaccia esistenziale all’Egitto. Anche perché ha rafforzato militarmente l’Etiopia, che può ora provocare siccità in Egitto e alluvioni nella capitale sudanese Khartum, dove il Nilo Azzurro si congiungono al Nilo Bianco.
Abiy Ahmed si gode intanto la popolarità in patria e in tutto il mondo di quella che chiamano “la vittoria dell’elettricità” per una grande operazione di propaganda elettorale in chiave nazionalista in vista delle politiche imminenti. Il Nobel per la pace 2019 ha collezionato in serie conflitti armati dal 2020 nei principali stati regionali del Tigrai, dell’Amhara e dell’Oromia indebitandosi per armare l’esercito e facendo schizzare – grazie anche alla guerra in Ucraina – i prezzi alimentari del 30%. La tensione tra Cairo e Addis Abeba si riverbera in guerre per procura. Se non è mai stato provato il supporto egiziano alla leadership tigrina nel conflitto in Tigrai del 2020-22, è certo che in Sudan, dove è in corso una guerra civile violentissima che ha provocato la più grande crisi umanitaria del globo, l’Egitto sostiene il le forze armate del generale al Burhan mentre gli etiopi stanno con i paramilitari delle Rsf che puntano a creare uno stato autonomo nella zona occidentale.
Resta guardinga la Somalia, alleatasi con l’Egitto dopo la tensione nata nel 2024 quando Abiy Ahmed firmò un memorandum d’intesa con il secessionista Somaliland per affittare 30 km di costa e ottenere l’agognato accesso al mar Rosso. Ma Mogadiscio ritiene che il Somaliland, indipendente di fatto da 35 anni, sia ancora parte dello stato federale. Il presidente somalo Hassan Sheikh ieri ha visitato il sito con il leader keniano Ruto accompagnato da Abiy, ma nonostante gli sforzi del presidente turco Erdogan per mettere d’accordo i due vicini, l’accordo resta lontano. E ad Addis Abeba si pensa che, vista la tenacia e la resilienza dimostrata dal popolo e dal governo, il prossimo obiettivo etiope sarà lo sbocco sul mar Rosso a tutti i costi. E se non sarà in Somaliland, sarà in Eritrea, con il porto di Assab. Iil dittatore Isayas Afewerki si prepara a sostenere un conflitto armato alleandosi con la leadership militare tigrina del partito guida, ilTplf, nemici storici di Abiy e ansiosi di prendersi la rivincita con l’uomo che li ha sconfitti politicamente e militarmente. E anche l’Eritrea è alleata del Cairo.