Il Foglio, 10 settembre 2025
Brain gain
La Cina sta intensificando i suoi sforzi per trasformarsi in una potenza attrattiva per i ricercatori scientifici cinesi, o di origini cinesi, attualmente all’estero. Lo fa in un momento in cui l’Amministrazione Trump rende sempre meno attrattiva l’America – quando non pericolosa – per gli stranieri, e mentre la leadership di Pechino sta cercando di spostare l’attenzione internazionale dalla crisi economica e dalle violazioni dei diritti umani alle sue capacità di innovazione, anche e soprattutto nel campo della Difesa, settore su cui grava la massima competizione con Washington. Ma la Cina seduce scienziati un po’ ovunque, invitandoli a prendere parte al disegno di rinnovamento nazionale, di trasformazione sociale e di sostegno all’apparato propagandistico.
L’ultima storia in ordine di tempo rilanciata dai media cinesi è quella del professor Zhongwei Shen, che da quarant’anni lavorava in America: illustre matematico, aveva ottenuto un PhD a Chicago nel 1989, l’anno delle proteste di Piazza Tiananmen, e come molti della sua generazione aveva deciso di restare in America, prima a Princeton e poi all’Università del Kentucky. Sul South China Morning Post ha spiegato la sua decisione come un atto d’amore per la sua madrepatria: “Non ho mai pensato di andare in un altro paese. Se dovessi andarmene, sceglierei la Cina, perché è casa mia”. Diventerà professore alla Westlake University di Hangzhou. La scelta di Zhongwei Shen è una conseguenza della China Initiative di Donald Trump, un programma lanciato dal dipartimento di Giustizia durante il suo primo mandato per contrastare il presunto “spionaggio economico” cinese, con indagini su furti di segreti industriali e proprietà intellettuale. Nella pratica, molte inchieste si sono concluse senza prove: Biden l’ha cancellato nel 2022, ma quel terrore continua ad avere ancora oggi un forte effetto intimidatorio, soprattutto sugli scienziati di origine cinese, in attesa che Trump all’improvviso la riproponga. Negli ultimi anni diversi scienziati cinesi hanno deciso di lasciare gli Stati Uniti per tornare in Cina. Liu Jun, noto statistico e per anni docente a Harvard, accettò una cattedra alla Tsinghua University dopo che nel 2020, con l’Amministrazione Trump, erano stati congelati i finanziamenti ai suoi progetti. Nel 2024 anche Yang Dan, neuroscienziata di fama internazionale a Berkeley, è tornata a Pechino per continuare le sue ricerche. Nello stesso periodo, Sun Song, giovane matematico considerato un potenziale vincitore della Medaglia Fields, ha lasciato Berkeley per trasferirsi alla Zhejiang University, che in precedenza aveva già reclutato altri due matematici di spicco, Ruan Yongbin e Liu Yifei, provenienti rispettivamente dall’Università del Michigan e da Harvard. Ma tra gli esempi ci sono anche scienziati con la doppia nazionalità come Wang Zhonglin, pioniere della nanotecnologia noto come “padre dei nanogeneratori”, che nel 2023 si è trasferito a Pechino per dirigere il Beijing Institute of Nanoenergy and Nanosystems, e Gérard Mourou, Nobel francese per la Fisica e considerato “il genio dei laser”, che nello stesso anno ha accettato una cattedra alla Peking University per fondare un nuovo istituto di fisica.
Al reclutamento internazionale si unisce la propaganda sulle sensazionali scoperte scientifiche e sull’avanzamento tecnologico cinese che ormai determina il dibattito pubblico delle accademie occidentali – anche italiane. Ieri il Global Times ha pubblicato un articolo secondo cui nella produzione di cotone dello Xinjiang non vi sarebbe traccia di lavoro forzato, ma soltanto l’impiego di tecnologie d’avanguardia, descritte come straordinariamente efficienti: nella contea di Yuli, nello Xinjiang nordoccidentale, la produzione locale avrebbe raggiunto un livello di meccanizzazione superiore al 98 per cento, ed è presentata come una prova contro le accuse di lavoro forzato. Nei giorni scorsi, sui social network cinesi, l’entusiasmo per la parata militare cinese del 3 settembre scorso e lo show di avanzamento tecnologico dei suoi armamenti si è subito trasformato in un business e in soft power: il giornalista cinese Shen Shiwei ha diffuso online una pagina dell’ecommerce Taobao che avrebbe già in vendita peluche a forma di Dongfeng- 61, il nuovo missile balistico intercontinentale cinese svelato per l’occasione della parata e oggi considerato uno dei mezzi con cui Pechino vuole esercitare la sua deterrenza contro il coinvolgimento di altri paesi in una possibile guerra contro Taiwan. Ieri, dopo l’attacco di Israele contro il Qatar, il profilo social di Zhao DaShuai, membro dell’Ufficio di propaganda della Polizia armata del popolo, ha scritto che “tutti gli armamenti avanzati del Qatar sono di fabbricazione statunitense. Ecco perché non dovresti acquistare armi americane, perché non ti è permesso usarle per difenderti dai guerrafondai genocidi”. La dichiarazione dimostra che la propaganda cinese sta puntando molto sul potenziale mercato all’estero dei suoi sistemi di difesa, offrendosi come potenza responsabile con grandi capacità tecnologiche che non si intromette negli affari interni altrui.