Corriere della Sera, 10 settembre 2025
Pensioni, il peso del Tfr. Meglio l’azienda o i fondi?
Fra dieci anni, con pensioni verosimilmente sempre più basse per la maggioranza dei lavoratori, il Tfr potrà fare la differenza tra la sopravvivenza e una vita dignitosa. La quota di Tfr accantonata ogni anno si calcola dividendo la retribuzione annua lorda per 13,5. Questa somma, pagata dal datore di lavoro e rivalutata annualmente, viene liquidata alla cessazione del contratto, che sia per pensionamento, dimissioni o licenziamento. Non sempre il lavoratore è consapevole, però, che l’importo finale della liquidazione dipende anche da dove viene accantonata. La questione è particolarmente di attualità.
La pensione di chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, verrà interamente calcolata sui contributi versati. Con la riforma Dini del 1995 il sistema pensionistico italiano ha abbandonato il metodo di calcolo retributivo per passare a quello contributivo. Con il retributivo la pensione viene calcolata sulla base degli ultimi stipendi, solitamente più alti rispetto all’inizio dell’attività lavorativa; con il contributivo, invece, l’importo della pensione è legato ai contributi versati nell’arco dell’intera vita lavorativa. Significa che anni di lavori precari e stipendi bassi fanno media con stipendi più alti e vanno a ridurre in modo significativo l’assegno finale. Secondo il modello di calcolo stabilito proprio dalla legge 335/95, significa per esempio che nel 2036 un insegnante di scuola superiore con 40 anni di contributi e uno stipendio netto a fine carriera di 2.036 euro andrà in pensione con 1.650 euro netti. Per un impiegato con 1.754 euro la pensione sarà di circa 1.460 euro, mentre un responsabile vendite con uno stipendio di 2.413 euro riceverà 2.031 euro.
Quanto vale il Tfr
Questi calcoli mostrano quanto sia decisivo giocarsi nel migliore dei modi il Tfr, che nell’arco di una carriera può mediamente trasformarsi in 93.658 euro netti per un insegnante, 87.358 per un impiegato, 122.146 per un responsabile vendite. Gli importi rispecchiano le proiezioni del Fondo Tesoreria dell’Inps nel caso il Tfr sia lasciato in azienda, ma ci sono altre possibilità. In sostanza il valore finale dipende da come il lavoratore ha deciso di gestire il Tfr, e dalla sua propensione a prendersi dei rischi.
Le tre opzioni
La legge 252 del 2005 prevede 3 opzioni.
1) Se entro sei mesi dalla prima assunzione non decidi a chi affidare il Tfr, la mensilità annua confluirà automaticamente nel fondo pensione stabilito dal contratto collettivo di riferimento. Si tratta di fondi che investono sui mercati finanziari e che, secondo il Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali guidato da Alberto Brambilla (su dati della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), negli ultimi 10 anni hanno registrato rendimenti medi compresi tra il 2,2 e il 2,9%, a seconda della tipologia e del livello di rischio.
2) Puoi scegliere in autonomia a quale fondo pensione affidarlo, tra i 291 attivi che oggi raccolgono quasi 10 milioni di iscritti.
3) Puoi decidere di lasciarlo in azienda con una rivalutazione annua dell’1,5% più il 75% dell’inflazione: se l’impresa ha più di 50 dipendenti, il Tfr viene trasferito al Fondo di Tesoreria dell’Inps. In questo caso l’incasso è sempre garantito anche se l’azienda fallisce. Tra il 2014 e il 2024 la rivalutazione media, sempre secondo Itinerari previdenziali su dati Covip, è stata del 2,4%.
Oggi il Tfr vale complessivamente 445 miliardi di euro, ma solo il 24% è affidato ai fondi pensione, mentre la maggior parte (76%) resta nelle aziende. Cosa cambia?
Differenze sugli anticipi
Se hai bisogno di un anticipo del Tfr per comprare casa puoi richiederlo, sia che sia stato destinato a un fondo pensione sia che sia rimasto in azienda, ma solo dopo 8 anni di lavoro/contribuzione al fondo. Per le spese mediche, invece, la regola cambia: se il Tfr è in un fondo pensione l’anticipo può essere chiesto subito, mentre se è lasciato in azienda occorre attendere otto anni. Se il Tfr rimane in azienda puoi chiedere un anticipo fino al 70% dell’importo accumulato, con una tassazione che va dal 23 al 43% a seconda del reddito. Se invece è in un fondo pensione l’anticipo può arrivare al 75%. In questo caso l’imposta è fissa al 23%, ma scende tra il 9 e il 15% quando la richiesta è legata a spese mediche. Il fondo pensione consente di chiedere anticipi anche più volte e senza dover presentare una motivazione, fino a un massimo del 30% a volta di quanto accumulato.
Cosa succede con la pensione
La grossa differenza emerge al momento della pensione. Se il Tfr è rimasto in azienda, ricevi l’intero importo in un’unica soluzione e su quella somma paghi le imposte in base al tuo scaglione Irpef, con aliquote che vanno dal 23 al 43%, e non è prevista la possibilità di trasformarlo in una rendita mensile. Se invece il Tfr è stato versato in un fondo pensione, a fine rapporto puoi scegliere di incassare fino al 50% del capitale in un’unica soluzione e convertire il resto in rendita mensile, oppure trasformare l’intero importo in una rendita periodica. Per un insegnante, il tesoretto accumulato può trasformarsi in una rendita mensile di 409 euro, per un impiegato di 382 euro, mentre per un responsabile vendite può arrivare a 534 euro al mese.
È possibile cambiare idea?
Se decidi di lasciare il Tfr in azienda puoi comunque aderire a un fondo pensione in un momento successivo. Il trasferimento delle somme già accantonate, però, non è automatico: dipende dalla disponibilità dell’azienda. E c’è un limite importante. Quando il Tfr pregresso è stato versato dall’impresa al Fondo di Tesoreria dell’Inps, la volontà del lavoratore e l’accordo con l’azienda non sono sufficienti. Al contrario, se decidi di aderire a un fondo pensione non puoi più tornare indietro e spostarlo in azienda, a meno che non cambi lavoro. È utile sapere però che, dopo due anni di adesione a una forma di previdenza complementare, c’è la possibilità di trasferire la propria posizione da un fondo pensione a un altro. Lo prevede il decreto legislativo 252 del 2005, che impone al fondo di provenienza di completare il trasferimento entro 6 mesi, senza alcuna penalizzazione.
In caso di decesso
In caso di decesso del lavoratore prima di aver maturato il diritto alla pensione integrativa, l’intera posizione individuale accumulata, al netto di imposte e spese, viene riscattata dagli eredi. Sia che il Tfr sia stato lasciato in azienda che messo in un Fondo. La Covip precisa che la destinazione della rendita, invece, dipende dalla scelta effettuata dall’aderente al momento della richiesta della prestazione complementare: solo chi ha optato per una rendita reversibile garantisce che, dopo la propria morte, l’erogazione continui a favore dei soggetti indicati. La rendita percepita ovviamente sarà inferiore. In caso contrario, con la morte dell’aderente il rapporto si chiude.
Perché informarsi
In definitiva, le aziende con meno di cinquanta dipendenti non hanno alcun interesse a informare i lavoratori, perché il Tfr lasciato in azienda garantisce loro liquidità. Allo stesso modo lo Stato non ha convenienza a spingere verso i fondi pensione, dal momento che le somme versate al Fondo di Tesoreria dell’Inps vengono utilizzate per la spesa corrente. Proprio per questo è fondamentale che i lavoratori dispongano di informazioni chiare e complete, così da poter scegliere in modo consapevole la soluzione più adatta a loro.