la Repubblica, 9 settembre 2025
In pensione a 64 anni con il Tfr: ecco a chi conviene. Redditi bassi esclusi
Usare il Tfr per andare in pensione a 64 anni con 25 di contributi, anziché a 67 anni: è la proposta della Lega da inserire in manovra, al posto delle quote penalizzate e ormai spente. Ma quanti potranno farlo? Pochissimi, dalle prime simulazioni: solo retribuzioni da 1.900 euro netti in su. E nessuno, tra i redditi bassi. Proprio quelli per cui la misura viene concepita, a partire dalle donne e dai giovani (o ex giovani) precari e mal retribuiti.
Durigon e la “soglia di libertà pensionistica” a 64 anni
Abbiamo chiesto a smileconomy, società indipendente di consulenza previdenziale, di simulare il meccanismo lanciato dal sottosegretario al Lavoro leghista Claudio Durigon proprio all’evento di Affari&Finanza sulle pensioni dello scorso maggio. «I 64 anni possono diventare la nuova soglia della libertà pensionistica», insiste Durigon. Di qui l’idea di estendere questa soglia di uscita – ora riservata ai “contributivi puri” – anche ai “misti”, cioè a chi ha iniziato a lavorare prima del 1996. A due condizioni: con 25 anni anziché 20 di contributi e il ricalcolo dell’assegno secondo il metodo contributivo (prendi quanto versi). Il lavoratore può usare il Tfr confluito in Inps per raggiungere la soglia di pensione che serve per uscire prima, alzata dal governo Meloni da 2,8 a 3 volte l’assegno sociale: 1.616 euro lordi.
Quanto bisogna guadagnare per uscire a 64 anni senza Tfr
Le simulazioni ipotizzano la storia di un dipendente del settore privato che compie 64 anni il prossimo anno (classe 1962), con trent’anni di contribuzione alle spalle e un lavoro in continuità dal 1995. La sua retribuzione è cresciuta ogni anno di pari passo con l’inflazione, questa l’ipotesi. Mentre il suo Tfr – lasciato in azienda che a sua volta lo ha trasferito al conto di tesoreria dell’Inps, visto che ha più di 50 dipendenti e non può trattenerlo – è stato rivalutato ogni anno dell’1,5% più l’inflazione, come prevede la legge. Per agganciare la soglia (1.616 euro lordi) ed uscire senza bisogno di attingere al Tfr, occorre un montante di 413mila euro, tale da garantire la pensione per la durata della vita media. Un traguardo possibile solo per retribuzioni da almeno 44mila euro lordi – che nel 1995, ad inizio carriera, erano di 24mila euro lordi – pari a 2.200 euro netti di ultimo stipendio.
Tutti quelli che guadagnano almeno 2.200 euro netti ce la fanno da soli: escono a 64 anni. Ma cosa succede a chi ha retribuzioni più basse? Con 1.900 euro netti di stipendio bisogna attingere per forza al Tfr. Un lavoratore di questo tipo ha accumulato con i suoi contributi 330mila euro: ne servono altri 83mila e questi li prende dal suo Tfr trasformato in rendita annuale (come avviene nei fondi pensione). Il problema sorge per chi guadagna meno di 1.900 euro netti: neanche il Tfr riesce a farli uscire a 64 anni. Con 1.700 euro, mancano 59mila euro. Sommando i contributi Inps (283mila euro) e il Tfr (71mila euro) si arriva solo all’86% del montante. Peggio ancora con 1.500 euro: siamo al 74%, mancano 106mila euro.
Non va meglio alle madri (le donne senza figli hanno gli stessi vincoli degli uomini). Il governo Meloni ha cancellato di fatto Opzione donna. Ma ha previsto per le madri uno sconto dei valori soglia per l’uscita contributiva a 64 anni. Per chi ha un figlio si scende da 3 a 2,8 volte l’assegno sociale (1.508 euro lordi). Per chi ha due o più figli, si passa a 2,6 volte (1.400 euro lordi). Ma nonostante gli sconti, solo con retribuzioni da 2.000-2.100 euro netti le lavoratrici riescono ad uscire senza intaccare il Tfr. Se guadagnano tra 1.700 e 1.800 euro devono usare tutta la liquidazione. Con 1.500 euro netti o sotto restano al lavoro fino a 67 anni. Come fa notare Andrea Carbone, economista e partner di smileconomy, «abbiamo ipotizzato donne che hanno lavorato per trent’anni senza interruzioni, tranne la maternità». Quante possono vantare questa carriera?
Il paradosso politico del governo Meloni sulle pensioni
La conclusione è d’obbligo. Lo stesso governo di destra che ha inasprito il valore soglia per tutti (tranne le madri) da 2,8 volte a 3,2 volte dal 2030 (oltre 200 euro in più), ora propone di usare la liquidazione, che è salario differito del lavoratore e della lavoratrice, per riuscire ad agganciare quelle stesse soglie peggiorate. Favorendo, tra l’altro, solo i redditi netti dai 2mila euro in su.