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 2025  settembre 08 Lunedì calendario

Mafie ovunque. Quando anche il Trentino offre occasioni alla ’ndrangheta per infiltrarsi

Volete vedere crollare in due ore i vostri pregiudizi? Affrontare quel tipo di rivelazioni che d’incanto vi ribaltano convinzioni che vi portate dietro dalla nascita? E allora venite a farvi una ricerca sulla mafia in Trentino. Provare per credere. Stiamo restando a bocca aperta io e 25 studenti dell’università di Milano. Nel ripercorrere la storia dei clan calabresi in questa regione, nell’ascoltare testimonianze e documentate narrazioni sulle altissime (e inimmaginabili) compatibilità tra la cosiddetta cultura asburgica e la cultura delle cosche del reggino. Qualcosa ci aspettavamo, in verità. Mica l’avevamo scelta per caso la destinazione. Una giornalista trentina laureata da noi, Francesca Dalrì, aveva fatto una splendida tesi di laurea sulla storia della cave di porfido di Lona-Lases (accento sulla “e”), in provincia di Trento, monopolizzata dalle imprese di ‘ndrangheta. E avevamo deciso di venire a vedere sul campo. Non eravamo del tutto a digiuno, insomma. Ma l’impatto è stato da capogiro. Non perché i racconti svelino una società direttamente mafiosa, ma perché svelano una società dove la mafia può fare quel che vuole. Ed ecco allora alcune piccole cose che spiegano, e che vorrei riproporre ai lettori/lettrici del “Fatto”.
“T” come territorio, anzitutto e come sempre. Tutto nasce dalla disposizione pigra di istituzioni e società civile a disinteressarsi di chi controlla il territorio e di che cosa ne viene fatto. Qui le attività estrattive hanno sconvolto l’estetica dei luoghi, hanno accumulato masse di rifiuti mai smaltibili, deturpato zone bellissime, fra l’altro senza dare nulla in cambio. Piuttosto molte ricchezze in nero, arrivo di traffici di droga, metodi di gestione del potere sconosciuti, compressione brutale dei diritti e specularmente esaltazione degli abusi a ogni livello, compreso quello ufficiale. Fino agli effetti più classici, a partire dalle frane e dal rischio concreto di nuovi disastri, con possibile smottamento di montagne, Tutto alla luce del sole.
“F” come fuori. La vera forza della mafia, come non smetterò di dire, è “fuori dalla mafia”. Nelle complicità che trova al suo esterno, senza le quali non sarebbe in grado di praticare i propri metodi e obiettivi. Non ne servono tante. Bastano quelle “qualificate”, nei posti giusti. Magistrati compiacenti (troppi), ciechi davanti alle evidenze, un maresciallo dei carabinieri amico e che fa il cane da guardia con le vittime invece che con i criminali, amministratori complici in affari, consigli comunali spalancati, giornali silenti e con pochi cronisti coraggiosi silenziati. Una democrazia infastidita delle regole e in cui conta la volontà del più forte. Non poco, vero?
“A” come abdicazione, poi. La mafia fa i suoi comodi dove per quieto vivere, per infingardaggine, coloro che hanno delle responsabilità vi abdicano volentieri. Non facendo un’unghia di più di quanto è previsto dalle usanze, non guardando nelle direzioni che possono scuoterti la giacca, smentendo retoricamente l’esistenza dei problemi, magari per non incrinare l’immagine del Trentino e non danneggiare il turismo (dove infatti i clan investono). Ovvero dove il principio di responsabilità è un ospite sgradito.
Non solo le inchieste in corso, che comunque devono misurarsi con questi ambientini, ma anche narrazioni che si intrecciano e convergono, obbligano a prendere atto di qualcosa che fa male. Uno che vede le bellezze del creato dice “speriamo che almeno qui non ci siano…”. E invece ci sono, “proprio qui”. Per fortuna proprio a Brancaccio, dall’altra parte d’Italia, nel celebre quartiere palermitano di padre Puglisi, un imprenditore estorto ha avuto il coraggio di denunciare. E il nucleo investigativo dei carabinieri, invece di dormire, ha arrestato in pochi giorni gli estorsori dando protezione a chi ha parlato. Non è impossibile, in fondo, se non ci si compiace solo delle proprie poltrone.