La Stampa, 8 settembre 2025
Spettro gilet gialli
Incerta è l’origine, come pure la sua reale consistenza: ma a quarantott’ore dalla protesta che promette di paralizzare la Francia per un giorno, il movimento «Bloquons tout», blocchiamo tutto, sta monopolizzando il dibattito pubblico. E, memore degli scontri e delle tensioni di sette anni fa con i Gilet gialli, anche le preoccupazioni di un governo in bilico: «Verranno mobilitati tutti i mezzi per evitare il blocco del Paese e le violenze», assicura il primo ministro François Bayrou, che entro sera probabilmente verrà mandato a casa. E se la data di oggi per chiedere al Parlamento un’improbabile fiducia era stata scelta anche per tentare di disinnescare l’annunciata mobilitazione, è stato uno sforzo inutile: premier in carica o meno, il conto alla rovescia verso la giornata di stop nazionale prosegue inesorabile sui social.
Chi sia stato il primo a lanciare l’idea e a proporre la data del 10 settembre, non è sicuro. Inchieste giornalistiche sono risalite a una quarantenne del sud della Francia: un video appello rivolto ai connazionali a luglio su Tik tok – letto da voce maschile creata con l’intelligenza artificiale, ché la chiamata alla battaglia da una donna temeva fosse presa sottogamba – per dire basta a tutto per un giorno. Niente lavoro, niente metro, niente acquisti: provochiamo un blackout generalizzato del Paese. Come fossimo in epoca Covid: ma stavolta, il virus da debellare sono le diseguaglianze e le ingiustizie del potere. Una provocazione che diventa presto virale, viene ripresa, rilanciata, fatta propria da decine di migliaia di utenti: e infatti di chi sia per davvero la paternità dell’idea è secondario, rispetto alla velocità con cui il sassolino è diventato valanga. In meno di due mesi ha dilagato tra Instagram, X, Telegram, Facebook, è nato un sito di riferimento (Indignons-nous, indigniamoci), si sono tenute decine di assemblee sul territorio, dalle grandi città agli angoli più remoti del Paese, in vista dell’appuntamento clou di mercoledì.
Un movimento orizzontale nato dal web senza leader né organizzazione, mosso dalla rabbia contro una legge di bilancio draconiana – il piano di Bayrou prevede 43,8 miliardi di risparmi – che, in nome del risanamento dei conti, chiede sforzi alla classe media e non tocca i grandi patrimoni: la proposta dell’economista Gabriel Zucman sposata dai socialisti, 2 per cento prelevato a chi dispone di oltre 100 milioni di euro, è stata decisamente scartata dal governo in carica finora. Ma è una collera che probabilmente ha radici antiche, un desiderio di dégagisme, di mandare via tutti, che come un fiume carsico riaffiora nella società francese dopo qualche anno sotto la superficie e che ha sempre lo stesso bersaglio nel mirino: il presidente Emmanuel Macron.
Era lui l’obiettivo delle proteste dei gilet gialli, iniziate nel novembre 2018 e andate avanti per mesi, il momento più difficile della sua prima presidenza; ed è ancora lui oggi a essere al centro delle contestazioni social di chi si ripropone di bloccare tutto, il presidente rieletto sì tre anni fa, ancora una volta per fare argine all’estrema destra di Marine Le Pen, ma con sempre meno convinzione e precipitato ormai a livelli di gradimento lillipuziani. Per lui, per il ministro dell’Interno Bruno Retailleau che, come ha svelato Le Figaro, ha già inviato una nota ai prefetti per chiedere fermezza nel tentare di evitare l’annunciato blocco generale, inevitabile che aleggi lo spettro dei gilet gialli e della loro capacità di incanalare il malcontento generalizzato.
Anche se, rispetto al fenomeno che paralizzò la Francia sette anni fa, nato in quel caso per protestare contro l’aumento delle tasse sul carburante, gli arrabbiati di oggi presentano delle differenze. Secondo la Fondazione Jean Jaurès, che ha provato a scannerizzare questo nuovo movimento per capirne di più, è più massicciamente orientato verso la sinistra radicale: il 69 per cento di chi si è avvicinato aveva votato il leader de La France insoumise, Jean-Luc Mélenchon, alle ultime presidenziali. E la sinistra di partito, pur non essendo coinvolta nell’organizzazione, stavolta guarda con attenzione alla giornata di mercoledì: lo stesso Mélenchon ha sposato con entusiasmo la causa, parlandone in un comizio ancora due giorni fa, ma anche ecologisti, comunisti e socialisti hanno appoggiato l’iniziativa. Così come alcuni sindacati: la Cgt, la storica Confederazione generale del lavoro, sarà presente pur avendo programmato già con le altre organizzazioni una giornata di sciopero per la settimana prossima.
Cosa aspettarsi veramente, nessuno lo sa. Se, all’indomani della probabile caduta del governo, nel mezzo dell’ennesima crisi politica e alla vigilia di un temuto giudizio dell’agenzia di rating Fitch, previsto per venerdì, il malessere che attraversa la società saprà esprimersi con un blocco reale del Paese. O se l’attivismo social si tradurrà in un flop nella realtà. Quello che deve comunque far preoccupare Macron è che, ancora prima di metterlo alla prova, già il 63 per cento dei francesi si trova d’accordo col movimento Blocchiamo tutto. Sulla base, di fatto, di un solo vero punto di programma: cacciare lui dall’Eliseo.