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 2025  settembre 08 Lunedì calendario

Pochi investimenti e troppi generali Pressing Usa e Nato sul governo

A meno di un mese dalla scadenza della prossima legge di bilancio Giancarlo Giorgetti dice che il «quadro d’insieme» è ancora da discutere. Il motivo di tanta prudenza è presto detto: c’è da far tornare i conti, accontentare i partiti, da rispettare l’impegno preso con la Nato e gli Stati Uniti per un aumento consistente della spesa militare. Fin qui abbiamo fatto orecchie da mercanti. Gli ultimi dati a disposizione dicono che l’Italia spende appena l’1,6 per cento della ricchezza prodotta: siamo fra gli otto Paesi dell’Alleanza atlantica con una spesa inferiore al 2 per cento, una soglia che avremmo dovuto raggiungere da anni. In vista del vertice Nato che ha imposto l’aumento al 5 per cento entro il 2035, una commissione governativa ha rimesso ordine nella classificazione delle spese, e il governo avrebbe informato la Nato che la spesa è superiore a quell’1,6 dichiarato dal ministro della Difesa Guido Crosetto in Parlamento. Il condizionale è d’obbligo, perché non c’è traccia di tutto ciò in nessun documento pubblico. Giorgetti, che è anche esponente della Lega, sta cercando di spostare il momento delle decisioni dopo le elezioni del 2027. L’argomento principe quest’anno sarà la necessità di uscire (avverrà a primavera) dalla procedura di infrazione europea per deficit eccessivo. La Finanziaria d’autunno dovrà inevitabilmente mostrare un aumento della spesa, il quanto dipenderà dal sopracitato «quadro d’insieme». Fra le ipotesi che il governo ha accarezzato per accelerare il processo di aumento della spesa, è stata avanzata quella di comprendere quella per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Ma da parte americana è arrivato un secco no. Di più: ospite di Cernobbio il rappresentante della Casa Bianca alla Nato, Matthew Whitaker, ha detto di aspettarsi non solo un aumento della spesa, ma anche della sua qualità. E qui vengono i dolori.
Secondo le regole della Nato, gran parte del bilancio della difesa italiana è destinata alla spesa per il personale: nel 2024 valeva poco meno del 60 per cento del totale. Circa 22 per cento delle risorse è destinato agli investimenti in equipaggiamenti, appena il 18 ad attività di addestramento e formazione. Fino a pochi anni fa le cose andavano molto peggio: ancora nel 2019 la voce «personale» valeva il 74 per cento, poi grazie ad alcune riforme e all’impegno in sede Nato seguito all’invasione della Crimea da parte russa la cifra è scesa rapidamente. Nel 2023 – l’ultimo dato comparativo a disposizione – i militari attivi in Italia erano 165.564 contro i 198.739 della Francia e i 181.611 della Germania. Anche guardando ai numeri assoluti la situazione delle truppe italiane mostra gravi inefficienze.
Secondo quanto previsto dalla riforma voluta dall’allora ministro ed ex generale Di Paola, la quota degli ufficiali avrebbe dovuto scendere al 13 per cento del totale. E in effetti – lo scrive l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano – sempre nel 2023 gli ufficiali erano effettivamente il 13 per cento, ma c’era un eccesso di sottufficiali (38 per cento) e una carenza di militari di truppa (49 per cento). Non solo: la Ragioneria Generale dello Stato calcolava la presenza in servizio di 393 generali, uno ogni 421 militari. In Francia sono uno ogni 524, in Germania uno ogni 976, negli Stati Uniti uno ogni 1.462.