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 2025  settembre 07 Domenica calendario

Regno Unito, la crisi del Labour tra il rimpasto e i nodi su immigrazione ed economia

 “È un colossale pasticcio”, afferma la Bbc, la radiotelevisione pubblica che rappresenta la voce della nazione. “Farà scoppiare una guerra per l’anima della sinistra”, predice il Daily Mail, tabloid di destra. “La crisi è seria”, attenua leggermente il giudizio il Guardian, bastione dei progressisti. “Un grosso danno, che moltiplica i problemi”, sintetizza l’imparziale Financial Times. Una cosa è certa: le dimissioni della vicepremier Angela Rayner per tasse non pagate, e l’immediato rimpasto che ha fatto cambiare poltrona a tutti i principali ministri, hanno incrementato l’aria di tempesta che già gravitava sopra il Labour e il primo ministro Keir Starmer, fra proteste contro gli “hotel per migranti” e debolezza dell’economia. Starmer avrebbe deciso di risolvere drasticamente la situazione dei migranti, dicono le indiscrezioni trasferendo rapidamente in ex-caserme tutti i 30 mila clandestini alloggiati negli alberghi. Ma basterà a riportare il sereno nel Labour?
“Prepariamoci a elezioni anticipate nel 2027”, ha detto questo fine settimana Nigel Farage, il leader dei populisti di Reform, ex-promotore della Brexit e seguace di Donald Trump, al congresso del suo partito. “E”, ha aggiunto, “prepariamoci a vincerle”. I sondaggi al momento gli danno ragione. Nadine Dorries, ex-ministra conservatrice, fedelissima di Boris Johnson, passata in questi giorni dai Tories a Reform, esorta l’ex-premier a entrare anche lui nel partito di Farage, per ricomporre la coppia che vinse il referendum del 2016 sulla Brexit.
Il primo problema per il premier laburista è scegliere un nuovo vice nel partito, perché Rayner si è dimessa anche da questo incarico. Kemi Badenoch, leader dei conservatori, predice che la decisione scatenerà “una guerra civile” tra i laburisti. Non una completa esagerazione, perché Rayner rappresentava l’ala più popolare, operaia, proletaria del Labour, controbilanciando l’immagine più moderata, intellettuale, “blairiana” di Starmer. Sostituirla con una figura dello stesso tipo? Approfittarne per imprimere una svolta più di centro all’intera squadra? Il primo ministro potrebbe anche rinviare la nomina, nominare un vice a interim, annullare del tutto la carica. Ma i peones del gruppo parlamentare premono per un’elezione aperta a tutti i membri, che rischia di fare emergere spaccature o, peggio, di esprimere un implicito voto di sfiducia nei confronti di Starmer.
I nomi che circolano, secondo le indiscrezioni, sono quelli di David Lammy, trasferito dagli Esteri al ruolo di vicepremier (e ministro della Giustizia) nel rimpasto, dell’ex-leader laburista Ed Miliband (sconfitto dal conservatore David Cameron alle elezioni del 2010), del ministro della Sanità Wes Streeting, della deputata Emily Thornberry e qualche altro. Lammy e Miliband appartengono alla corrente di sinistra. Streeting è più blairiano di Blair. Thornberry una figura per tutte le stagioni, corbyniana quando il leader era il “socialista” Jeremy Corbyn, fedele a Starmer quando quest’ultimo gli è succeduto, ma frustrata perché rimasta senza alcun ministero.
Poi c’è Shabana Mahmood, appena nominata ministra degli Interni, gradita a Starmer, di origine pakistana, astro nascente nel partito. Per coerenza, il posto dovrebbe spettare a Lammy, visto che la dimissionaria Rayner era la vice di Starmer sia nel governo, come vicepremier, sia nel Labour, come viceleader: sarebbe un modo di rabbonirlo, perché il passaggio da ministro degli Esteri, uno dei tre posti più prestigiosi del governo, a vicepremier e ministro della Giustizia, suona come un declassamento. Se non risolto in fretta, il dilemma sul vice leader rischia di dominare il congresso annuale del partito, in programma a fine mese, già complicata dalle dimissioni di Angela Rayner e dal successivo rimpasto di governo.
Ma Starmer e il Labour hanno anche altri urgenti problemi. Due prioritari: l’immigrazione e l’economia. Le proteste contro gli “hotel per migranti”, dove lo stato alloggia circa 32 mila clandestini in attesa che sia valutata la loro richiesta d’asilo, non sono finite: la percezione dell’opinione pubblica è che i migranti sui gommoni attraverso la Manica siano il sintomo di un’immigrazione, illegale o illegale, sfuggita al controllo del premier. Il calo della sterlina e l’aumento del costo del debito, sull’altro fronte, sottolineano un pil anemico e una generale sfiducia nella capacità del governo di farlo crescere.
La ministra del Tesoro Rachel Reeves è l’imputata principale. Si è inimicata le fasce più povere della popolazione, tagliando alcuni benefici assistenziali, e ha fatto fuggire altrove (anche a Milano) i più ricchi, eliminando certi benefici fiscali, come lo status speciale per i cosiddetti “non-dom”, i non domiciliati nel Regno Unito, che in precedenza ricevevano esenzioni sui profitti ricavati all’estero.
A parziale giustificazione del governo, lo spazio di manovra del Labour è la classica “coperta corta”: per non apparire un tipico partito progressista “tassa e spendi”, il Labour non vuole aumentare le imposte e nemmeno la spesa pubblica; ma per non perdere il sostegno delle regioni operaie, riconquistate da Starmer alle elezioni del 2024, non può tagliare i servizi sociali. La soluzione sperata dal premier era che una vigorosa crescita economica avrebbe portato più soldi, in tasse, nelle casse dello stato. Ma la vigorosa crescita, per cause non solo dipendenti da Londra, legate anche a fattori internazionali come la guerra in Ucraina e la guerra dei dazi lanciata da Trump, finora non c’è stata. Non a caso Reeves ha ritardato la presentazione del budget sino a fine novembre. La sua stessa poltrona è a rischio.
Downing Street risponde a questa tempesta perfetta facendo dire a un portavoce: “Non c’è alcun caos e non ci saranno elezioni anticipate”. Qualche carta da giocare il primo ministro ce l’ha. Ancora prima delle dimissioni della vicepremier, Starmer aveva cominciato a cambiare la squadra dei collaboratori, chiamando al suo fianco un nuovo consigliere economico, Minouche Shafik, ex-vicedirettrice del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, ex-vicegovernatrice della Banca d’Inghilterra, con il compito di attirare investimenti e rianimare la produzione; e un nuovo direttore della comunicazioni, Tim Allan, ex-vice capo delle comunicazioni di Blair, uno “spin doctor” in grado di trasmettere un messaggio più positivo.
Potrebbe essere stato quest’ultimo a suggerire al premier un immediato e radicale rimpasto di governo, per cercare di distrarre i media dalle imbarazzanti dimissioni della propria vice. E con il rimpasto, la Gran Bretagna ha ora per la prima volta tre donne nei tre posti chiave dell’esecutivo: Yvette Cooper agli Esteri, Shabana Mamood agli Interni e Rachel Reeves al Tesoro. Una novità significativa, per compensare il fatto che il Labour non ha mai avuto una donna premier, mentre i Tories ne hanno avute tre, Margaret Thatcher, Theresa May e Liz Truss.
Ma Starmer non ha molto tempo a disposizione. Se non ferma l’immigrazione, non fa ripartire l’economia, non riprende quota nei sondaggi, la “guerra civile” nel Labour potrebbe avere lui come obiettivo, sfiduciarlo e mettere un altro alla testa del partito e del governo: e in tal caso le elezioni anticipate profetizzate da Farage non sarebbero del tutto da escludere. Il sindaco di Manchester, Andy Burnham, è uno dei nomi già indicati per rimpiazzarlo.
Poco più di un anno fa, quando stravinse alle urne, sir Keir appariva come il salvatore del Labour e della patria, dopo che mezza dozzina di disastrosi premier conservatore avevano fatto somigliare il numero 10 di Downing Street a una porta girevole. Oggi sono in pochi a scommettere che il leader laburista verrà rieletto. Non bisogna nemmeno, tuttavia, sottovalutarlo: brillante avvocato dei diritti umani e procuratore capo di ferro, prima di entrare in politica, Starmer è un politico intelligente e preparato, seppure privo di carisma. Conoscerà certamente la massima di Churchill: “Il successo non è finale, la sconfitta non è fatale, quello che conta è il coraggio di andare avanti”.