il venerdì, 8 settembre 2025
Calvino casa e bottega: viaggio tra i taccuini del grande scrittore
Italo Calvino è sempre stato restio a parlare di sé, estraneo a qualsiasi forma di autobiografismo. Tuttavia ha lasciato un inesauribile cantiere di carte, libri e idee che costringerà gli studiosi a parlare di lui per il prossimo mezzo secolo. È l’ultimo paradosso di una personalità imprevedibile che non finisce di manifestare la sua complessità.
Quando la dottoressa Cardinale posa sul tavolo della Biblioteca Nazionale quaderni e taccuini con i manoscritti delle sue opere, si ha la sensazione di essere personaggi di un nuovo romanzo combinatorio, quello ancora da scrivere. Dove il protagonista è lo scrittore, la sua macchina fantastica e mentale. E quei geroglifici disordinatamente sparsi sui fogli sono i segni di un enigma destinato forse a rimanere insoluto. Una sorta di sacralità avvolge l’apparizione degli autografi, nel salotto di casa Calvino perfettamente ricostruito tra le vetrate geometriche di Castro Pretorio. Al di fuori della eletta cerchia degli esegeti, è la prima volta che i manoscritti calviniani vengono resi pubblici. Per l’occasione è arrivato da Milano Francesco Anzelmo, direttore editoriale di Mondadori – la casa editrice che ha ceduto i preziosi documenti alla Nazionale – mentre sulle carte veglia scrupoloso Stefano Campagnolo, il dirigente appena riconfermato alla guida di una delle biblioteche più grandi d’Italia.
L’acquisizione dei manoscritti è l’ultimo atto di un lungo trasloco cominciato con i libri di Calvino conservati nell’appartamento di Campo Marzio, proseguito con gli arredi e gli oggetti di casa insieme a un’inaspettata isola verde, nata dai semi del giardino di Sanremo progettato dai genitori botanici. Lo scrittore respira in ogni dettaglio, nella libreria ordinata secondo criteri insondabili, nella montatura degli occhiali in tartaruga, perfino nel maglione a trecce di lana spessa gettato sulla sedia della scrivania. Ma è nella grafia minuta, ordinatissima e insieme tormentata, che si materializza la sua vera indole.
A fare strada in quella selva di aggiunte e potature incise sulla pagina è Eleonora Cardinale, la curatrice delle biblioteche letterarie alla Nazionale che ha seguito “l’operazione Calvino” fin dal principio. Ecco i fogli della prima stesura del Barone rampante, un reticolo di cancellature e incisi in miniatura. E poi gli schemi combinatori che precedono Le città invisibili, diagrammi geometrici contrassegnati da nomi e simboli. Sembra un libro d’artista anche il taccuino preparatorio di Se una notte d’inverno un viaggiatore: quattro colonnine in ordine alfabetico a cui se ne aggiunge una quinta separata però dalla spirale. E ancora i bloc notes delle Lezioni americane, quelli colorati della Pignastyl, dove fino all’ultimo Calvino annotò i suoi appunti per le Norton Lectures, lasciate incompiute sul tavolo. C’è anche una pagina devastata da segnacci: porta la data del 4 settembre 1985, due giorni prima dell’ictus. La fine e l’inizio: da una cartellina spunta la sua prima opera certificata, non uno scritto ma un disegnino fatto a cinque anni. È un autoritratto saltellante, col il fiocco rosso e l‘espressione divertita: chissà cosa ci vuole dire, ma in quelle gambe a compasso s’intravvede un destino di movimento perpetuo.
Per gli studiosi ci sarà un bel da fare. «Si apre una nuova fase di studi e di nuove edizioni», annuncia Elisabetta Risari, responsabile degli Oscar Mondadori. «Agli autografi di Calvino fanno già riferimento i Meridiani curati da Mario Barenghi, ma non è mai stato fatto un lavoro sistematico sulle diverse stesure di ciascuna opera. Per la prima volta sarà possibile entrare nel cantiere segreto dello scrittore, scoprendo il meticoloso lavoro preparatorio che precede i romanzi. E se ne potrà dare conto sia nelle nuove edizioni delle opere sia nella stampa anastatica dei manoscritti». La nuova edizione del Barone rampante dovrà spiegare perché nella prima stesura il protagonista si chiami Evaristo, poi corretto in Cosimo Piovasco di Rondò: del ripensamento vi è traccia nel primo foglio datato 10 dicembre 1956, ma la correzione non compare nel prosieguo del racconto – organizzato intorno a Evaristo – mentre è nella seconda stesura che Cosimo scalza definitivamente il predecessore. Così come gli innumerevoli schemi dei romanzi combinatori – la giocoleria creativa condivisa con l’Oulipo – permetteranno di avvicinarsi alla sua intelligenza geometrica, a quel bisogno di mettere ordine al mondo che è un tratto forse ereditato dai genitori scienziati.
«Calvino è innanzitutto un grandissimo cervello», dice Risari che è entrata in Mondadori trentacinque anni fa proprio come redattrice dei suoi romanzi. «E l’aspetto che mi ha sempre intrigato è che non si finisce di conoscerlo a fondo».
Il gran segreto per uno scrittore – confessò una volta Calvino ad Alberto Arbasino – è celarsi, eludere, confondere le tracce. Forse anche per questo non parlava volentieri né del suo lavoro né della sua vita. La sua scarsa loquacità era quasi motivo di vanto. «Io provo disgusto per la parola parlata, per quella cosa molle e informe che mi esce dalla bocca», si lasciò andare nel corso di una intervista. Un’insofferenza probabilmente dovuta all’esigenza di precisione ed esattezza da cui nasceva la sua scrittura, dove pure non mancavano gli impacci e le difficoltà. «Scrivo con molta fatica. Per me cominciare è sempre difficilissimo. Scrivo a mano, faccio una prima stesura e poi correggo tanto, faccio tanti incisi, sempre più piccoli, così piccoli che alla fine non capisco più niente e debbo prendere la lente per decifrare quello che scrivo». Teorizzava di avere due calligrafie diverse, ciascuna rispondente a un diverso stato d’animo. «Una con le lettere molto grosse, con la “a” e le “e” belle tonde, un’altra con le lettere piccolissime in cui le “a” e le “e” sono appena due puntini. Scrivendo piccolo mi illudo di superare le difficoltà, di passare come attraverso cespugli che mi sbarrano la strada».
La penna stilografica con cui scrisse gli ultimi lavori è posata sulla scrivania dello studio, separato dal soggiorno non da una parete ma dalla libreria (Calvino non aveva una stanza tutta per sé). È un regalo di Bernardo Valli, il grande inviato di guerra che ha raccontato la sua amicizia con lo scrittore nel prezioso volume Italo, uscito nelle edizioni Ventanas. «Ricordo il negozio nel quale l’avevo acquistata, Elysées Stylos in rue Marbeuf, una traversa dei Campi Elisi», dice Valli dalla sua casa parigina di rue Chaptal. «Era il dono per i suoi sessant’anni. L’avremmo festeggiato insieme a Roma, nella casa di Campo Marzio: uno degli ultimi compleanni, ma l’idea della fine non ci sfiorava». Certo in quella stilografica è racchiuso il senso di un sodalizio profondo, tra i pochi capaci di strappare Calvino dalla sua bolla di laconicità.
La scrittura inquieta documentata dai manoscritti è anche il riflesso del suo modo di concepire la letteratura. Scrivere è andare per tentativi, provare, moltiplicare le possibilità, come rileva Mario Barenghi, tra i suoi più apprezzati cultori. Un esperimento che non ha fine, attraverso sfide sempre più difficili. Anche perché la scrittura – sostiene Calvino – «è il modo in cui riesco a far passare le cose attraverso di me, per farmi strumento di qualcosa che è certamente più grande e che è il modo in cui gli uomini guardano, commentano ed esprimono il mondo». Non un’ambizione da poco, ma una impresa immane che ammette ripensamenti e interpolazioni costanti.
L’aveva compreso bene la moglie Chichita, la più consapevole tra le donne che si sono prese cura del suo lavoro creativo: rivelatore il suo appunto con l’inchiostro rosso sulle diverse stesure del Barone rampante, “mantenuto il disordine trovato”. Prima di lei c’era stata la mamma sarda, Eva Mameli, sollecita nel conservare i disegni del figlio, tra cui i ritratti affilati del Babbo, sempre di profilo, mai di fronte. E ora è il turno della figlia Giovanna, a cui spetta la gestione di un’enorme eredità intellettuale. Oltre alle donne di casa Calvino, è largamente femminile il mondo che si affanna intorno alle sue carte. E se della bibliotecaria Cardinale e dell’editor Risari abbiamo già detto, una citazione spetta anche a Laura Di Nicola, la studiosa che ha affiancato Chichita nel riordino dei manoscritti e dei libri al numero 5 di via di Campo Marzio, ricavandone il bel libro Un’idea di Calvino (Carocci). Proprio analizzando gli schemi concettuali che precedono Se una notte d’inverno un viaggiatore, ha identificato nella lettrice Ludmilla la moglie dello scrittore, oltre che la proiezione dello stesso autore. E nel personaggio di Silas Flannery il desiderio di Chichita di essere scrittrice. In questo modo il Viaggiatore potrebbe essere letto come una dedica di Calvino a sua moglie, e insieme riflessione “sul senso dello scrivere come attingimento all’altra”. Ai posteri la soluzione dell’enigma, che ovviamente continua.