repubblica.it, 8 settembre 2025
Pino Strabioli: “Paolo Poli mescolava Pascoli e Moana Pozzi. Oggi il teatro è resistenza”
Attore, autore, conduttore televisivo, regista teatrale, Pino Strabioli è una di quelle presenze rassicuranti del palinsesto. Si divide tra tv e teatro, il 30 agosto ha inaugurato il Todi Festival con The festival show scritto e diretto da Silvano Spada (direttore artistico del festival), il 7 è stato protagonista della chiusura con Passaggi a livello e un’intervista a Lino Banfi. “Il titolo lo ha scelto Lino, è un’ironica allusione alla sua età e alla sessualità. Ha attraversato i generi del Novecento, dall’avanspettacolo al cinema d’autore, è un signore meraviglioso che ti incanta”. Agenda fitta. In autunno in tv con Caffè Italia, la tournée di Sempre fiori mai un fioraio, omaggio a Paolo Poli a dieci anni dalla scomparsa, lo spettacolo Ve ne dico quattro che racconta Poli ma anche Franca Valeri, Valentina Cortese, Dario Fo (di cui si celebra il centenario), Carta straccia insieme a Sabrina Knaflitz.
È direttore artistico del Teatro Mancinelli di Orvieto e del Comunale di Atri-Teramo. “Todi è stato un ritorno – racconta Strabioli – artisticamente sono nato lì. Feci uno spettacolo, su richiesta di Spada, negli anni 80 in ricordo di Alberto Talegalli, comico umbro di discreto successo poi scomparso in un incidente. Brando Giordani, storico direttore Rai, lo vide e mi invitò per una settimana a Uno mattina come ospite: mi son fatto sette stagioni”.
Un colpo di fortuna.
“Sì, se ci penso la mia vita è tutta basata sulla potenza degli incontri, e su quanto gli incontri possano essere conquistati. Ci sono stati incontri che ho voluto fortemente, che ho cercato: Gabriella Ferri, Paolo Poli”.
Come andò con Poli?
"Per me era una delle figure artistiche più importanti, da ragazzino avevo ascoltato Pinocchio ed ero rimasto incantato da questa voce che diventava dieci, cento. Era un periodo della mia vita in cui scrivevo piccoli ritratti per il quotidiano l’Unità e andai a trovarlo a teatro, al Valle di Roma, per un’intervista. Ma invece che fare io le domande, fu Paolo che iniziò a fare mille domande a me. Gli raccontai che preparavo un esame su Pascoli all’Università e lui mi raccontò Pascoli in un modo incredibile. Però mi raccontò anche la trama di un film di Moana Pozzi, mescolò Pascoli a Moana Pozzi e io impazzii. Avevo vent’anni”.
Cosa significa la disponibilità di un artista affermato verso un giovane che aspira a fare l’artista?
“È fondamentale. Lo sguardo che queste grandi personalità hanno fatto cadere su di me è stato determinante. Probabilmente io mi presentavo in maniera coraggiosa, spudorata ma anche molto trasparente e sincera, e mi è stato riconosciuto. È importante essere attratti anche da una fisicità, da una persona, e non solo da un’immagine. Oggi viviamo tutto troppo virtualmente. Alcune delle figure che mi hanno accolto mi hanno anche spiazzato. Mandai un mazzo di tulipani a Paolo dopo quell’incontro e lui la mattina dopo mi chiamò, esistevano ancora gli elenchi telefonici, e mi disse: “Mi hai mandato dei tulipani, li detesto”. Come resistere di fronte a persone così, che ti attraggono e di respingono? Impossibile”.
Oggi restituisce la stessa attenzione ai giovani artisti?
“Nel mio piccolissimo – non ho la statura di artisti come Paolo Poli, Franca Valeri, Dario Fo e Valentina Cortese, che racconto in Ve ne dico quattro – cerco di farlo. A Orvieto, dove dirigo il Teatro Mancinelli, lascio sempre spazio a compagnie più giovani, quando dirigo spettacoli teatrali cerco di fare i provini come si facevano una volta. Avendo avuto il dono dell’accoglienza da parte dei grandi, là dove posso cerco di aiutare i giovani”.
Oggi molti si aiutano da soli, o almeno tentato di farlo, attraverso i talent.
“Il momento non è facile, e con l’avvento dei talent è cambiato tutto. Quando ero ragazzo volevamo fare tutti l’Accademia o il Centro sperimentale. Io in Accademia sono stato bocciato e ho iniziato a studiare andando in teatro a vedere gli spettacoli con un corso regionale. Forse abbiamo perso la formazione, abbiamo suggerito ai giovani che il successo si può ottenere in maniera molto semplice e veloce. Non a caso ci sono carriere che durano solo una stagione”.
C’è anche un settore in crisi.
“Non solo: la cultura non è in alcun modo sostenuta. In questo momento fare teatro significa davvero fare resistenza. È banale dirlo ma bisognerebbe fare un lavoro sull’importanza della cultura, altrimenti non se ne esce, andiamo verso l’appiattimento e l’omologazione”.
Paolo Poli, Franca Valeri troverebbero spazio oggi?
“Sicuramente. Sono riusciti a veicolare contenuti rivoluzionari in tempi difficilissimi. In questo momento storico, io mi sento un po’ solo e disorientato, loro si sarebbero sentiti più soli e disorientati di me ma con la loro intelligenza ce l’avrebbero fatta, per non lasciare quella parte di pubblico che li amava e aveva bisogno di loro”.
Un pubblico che non è solo quello dei grandi teatri e delle città, ma anche di una provincia in cui, a volte, il teatro è uno solo nel raggio di chilometri.
“Certo. Come il cinema non è solo Venezia, il Teatro non è solo il Mercadante di Napoli, ma anche la provincia. Per questo insisto sulla parola come atto politico. Le persone hanno voglia di ascoltare un racconto e bisogno di emozionarsi dal vivo. Alla fine vengono a ringraziarti e quando succede è il più bel regalo che tu possa ricevere”.
Parliamo di “Carta straccia”.
“È uno spettacolo riuscito, scritto da Mario Gelardi, io ne curo la regia e sono protagonista insieme a Sabrina Knaflitz, c’è un terzo ruolo, un nipote, affidato a un giovane attore. È un omaggio alle Sorelle Materassi di Palazzeschi. È ambientato a Roma e racconta due solitudini: un fratello e una sorella che non possono fare a meno l’uno dell’altra all’interno di un nucleo strettissimo, quasi soffocante, nel 1968. Nella loro vita arriva un nipote, figlio di una sorellastra, che sconquassa gli ormoni di questi due ormai attempati fratelli e accende un gioco al massacro tra sensualità e sessualità. È una bella riflessione sulla famiglia, sui rapporti e sulla gioventù che irrompe in due esistenze al tramonto. L’allestimento scenico ce l’ha regalato Alessandro Gassmann, la prova di quanto amore mettiamo in queste piccole avventure che affrontiamo insieme”.
Che programmi ha per il Mancinelli di Orvieto e per l’Atri Teramo?
“A Orvieto dobbiamo ancora presentare la stagione ma posso anticiparvi che avremo l’Amleto 2.0 di Filippo Timi, un grande attore, un punto di riferimento. A Teramo invece la stagione partirà il 7 dicembre con l’Otello di Giorgio Pasotti con Giacomo Giorgio, il giovane attore che con Mare fuori ha iniziato una bellissima carriera”.
Resta tempo per la tv?
“Certo, da novembre sarò su Rai 3 con Il caffè, che co-condurrò con Greta Mauro, uno spazio dedicato alla cultura, ai libri, al sociale, al costume. Torno nella rete che mi ha dato la possibilità di fare per dieci anni una trasmissione dedicata al teatro, nella quale ho intervistato da Mariangela Melato a Luca Ronconi. Il teatro è ancora alto artigianato, anche per questo non posso farne a meno”.