Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 08 Lunedì calendario

Nei ristoranti menù bambini “vietato” agli adulti. Ma cosa dice la legge?

Un adulto può ordinare un menù pensato per i bambini e mangiarlo lui stesso? La questione, che a prima vista pare marginale, negli ultimi anni è diventata terreno di confronto tra associazioni di categoria, consumatori e ristoratori. E non è un caso che ritorni spesso sui social, nei video virali e perfino in alcune serie tv. La Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe), che rappresenta la voce ufficiale del settore, una volta raggiunta per l’intervista ha preso posizione chiaramente: “Il menù bambini nasce come proposta dedicata esclusivamente ai più piccoli, e per gli adulti non dovrebbe essere disponibile”. L’idea è quella di un’offerta mirata, con porzioni ridotte e prezzi proporzionati all’età, che quindi perderebbe di senso se aperta a tutti.
Non tutti la pensano allo stesso modo. Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, in un suo intervento su Instagram di qualche tempo fa ha ricordato che “tutti i piatti presenti sul menù possono essere liberamente ordinati e non sono legittime discriminazioni per età, sesso o altre motivazioni”. Un ragionamento che sembra appoggiarsi, come principio giuridico, al Regolamento di Pubblica Sicurezza, un esercente non può rifiutare arbitrariamente un servizio se non esiste un motivo oggettivo. Sicuramente incontra il plauso di moltissimi utenti dei social che una volta interrogati hanno quasi tutti dato per scontato che “se è sul menu, si deve poter ordinare”.
In mezzo a queste due posizioni si collocano i ristoratori, che devono misurarsi con la quotidianità delle richieste. Gian Paolo Attardi, pizzaiolo e proprietario della Pizzeria Gianpa’ a Frosinone, racconta che il menù bambini nasce con una logica precisa: “Offrire una proposta pensata per i più piccoli, con porzioni ridotte e prezzi in linea con l’età. Se un adulto lo chiedesse, il ristoratore dovrebbe rispondere con gentilezza, spiegando che si tratta di un’offerta dedicata ai bambini fino ai 12 anni, e che per gli adulti ci sono alternative calibrate sulle loro esigenze”. Gli è capitato, ammette, che qualche adulto abbia chiesto il mini menù per curiosità o per il desiderio di porzioni più leggere. In quei casi la regola dei 12 anni è rimasta ferma, ma la soluzione è stata quella di proporre alternative simili, così da non lasciare il cliente insoddisfatto. “Crediamo che la chiarezza e l’accoglienza siano la chiave. Le regole vanno spiegate, ma l’esperienza del cliente resta al centro”, aggiunge.
Più rigida la posizione in un contesto di alta ristorazione. Paolo Griffa, chef del ristorante stellato Paolo Griffa al Caffè Nazionale di Aosta, non si è ancora trovato a gestire questa richiesta, ma la linea è definita: “Se capitasse, la sala non accetterebbe, a meno che non ci siano motivazioni serie e comprovate alla base della richiesta. Sarebbe comunque un caso da valutare in anticipo”. Qui, insomma, il principio è difendere la coerenza dell’esperienza gastronomica proposta.
Allargando lo sguardo oltre i confini italiani, emergono differenze interessanti. Nel Regno Unito la normativa consente trattamenti diversi in base all’età se giustificati, e quindi i menù bimbi sono riconosciuti come offerte speciali per una fascia precisa di clienti. Negli Stati Uniti la questione è lasciata ancora più libera: non essendo l’età una categoria protetta nei servizi di ristorazione, un locale può rifiutarsi di servire un adulto che chiede un kids’ menu senza violare alcuna norma. In Irlanda, lo chef stellato JP McMahon ha scelto un approccio radicale, mettendo al centro della questione non gli adulti ma i bambini: nel suo ristorante Aniar i più piccoli non possono ordinare piatti singoli, ma solo un menu degustazione ridotto di quattro portate a 75 euro. Anche se non toccano nulla, il coperto minimo è fissato a 35 euro. Una regola rigida che lo chef giustifica con la necessità di garantire coerenza e, al tempo stesso, un’educazione gastronomica fin da piccoli.
Non sorprende, quindi, che la questione sia entrata anche nell’immaginario popolare. In una scena della serie “After Life” di Ricky Gervais, il protagonista prova a ordinare due menu bimbi, uno per il nipote e uno da consumare lui stesso. La cameriera glielo nega, scatenando un dialogo surreale che ha fatto sorridere molti spettatori ma che ha anche acceso discussioni online. Su Reddit, diversi utenti hanno commentato: “Perché pagare di più per una porzione che non riesci a finire?”.