la Repubblica, 8 settembre 2025
La domenica in giallo del Festivaletteratura è nel segno del Agatha Christie. In città è arrivata Lucy Worsley, autrice di una biografia sulla scrittrice piena di aneddoti e curiosità che ribalta molti luoghi comuni e rivela particolari inediti sulla misteriosa scomparsa della giallista nel 1926
La domenica in giallo del Festivaletteratura è nel segno del Agatha Christie. In città è arrivata Lucy Worsley, autrice di una biografia sulla scrittrice piena di aneddoti e curiosità che ribalta molti luoghi comuni e rivela particolari inediti sulla misteriosa scomparsa della giallista nel 1926.
Worsley è la quintessenza dell’eleganza british, impeccabile nel suo stile bon ton, e accurata nel parlare del suo saggio biografico La vita segreta di Agatha Christi e (Salani). Storica, divulgatrice e voce di spicco della Bbc, Worsley, classe 1973, è stata fino allo scorso gennaio curatrice presso l’Historic Royal Palaces, l’ente che si occupa della Torre di Londra, di Hampton Court Palace, di Kensington Palace e di altri luoghi storici dell’Inghilterra. È documentarista e autrice tra l’altro di podcast di successo come Lady killers.Nel libro si diverte a presentare un ritratto fuori dagli schemi della regina del giallo: non una signora inglese tranquilla, una tipa alla Miss Marple, ma una donna scalpitante, una che non poteva accontentarsi di un tè con le amiche alle cinque.
Presenta una Agatha Christie controcorrente.
«Visse una vita moderna. Praticava il surf alle Hawaii, amava le auto sportive e la velocità. Negli anni Venti possedeva una piccola Morris Cowley, un vero lusso per i tempi. Era attratta dai soldi, era disinvolta nella sessualità, era libera. La affascinava anche la nuova scienza chiamata psicologia».
E come mai il fraintendimento?
Lei stessa forse si presentava come una donna del passato, unatipa da vecchi merletti.
«Dopo il grande successo, fu lei a decidere di indossare una maschera. Preferì fare un passo indietro, visto che aveva scontato duramente il prezzo della fama.
C’è un prima e un dopo nella sua vita. Forse il discrimine è il 1926, quando sparì per undici giorni e non se ne seppe più niente».
La sua sparizione improvvisa ha tutte le caratteristiche di una detective story. Che cosa successe veramente?
«Alle nove e tre quarti di venerdì 3 dicembre 1926 si allontanò dalla sua casa. Per undici giorni non se ne ebbero tracce, poi si scoprì che si era rifugiata in un hotel dello Yorkshire, sotto falso nome».
È vero che era il nome dell’amante del marito quello che aveva scelto per la sua nuova identità?
«Si faceva chiamare Teresa Neele. Teresa forse come omaggio alla mistica Teresa d’Avila. Neele in effetti era il cognome della donna che aveva una storia con il marito. Teresa però è anche l’anagramma di teaser, parola che in inglese significa rompicapo, rebus».
Da lì iniziò una vera e propria persecuzione mediatica, come mai?
«Secondo gran parte della stampa, la sparizione era stata un modo per farsi pubblicità. Venne fuori l’ipotesi che la scrittrice lo avesse fatto per incastrare il marito fedifrago, Archibald Christie, e inchiodarlo a un’accusa di uxoricidio».
La macchina, la famosa Morris, venne ritrovata in un declivio.
«A Albury Down, una ripida collina poco sotto Newlands Corner, nel Surrey. Era finita in un cespuglio. Dentro c’erano il cappotto, la valigia, la patente di guida. Indizi che alimentavano il mistero».
Si è parlato a lungo del fatto che fosse stata colpita da una strana amnesia, ma le biografie sono piene di buchi e domande irrisolte.
«A differenza di quanto hanno scritto i giornali e alcuni biografi, io non credo che la sua sparizionesia stata un trucco, un modo per alimentare ancora di più la fama.
Credo invece a quello che raccontò al Daily Mail diciotto mesi dopo. Disse che aveva avuto problemi a causa di una malattia mentale e che aveva anche pensato di togliersi la vita. Stava per divorziare e forse voleva far capire ai giudici che non era una donna cattiva, ma una persona malata, visto che in ballo c’era l’affidamento della figlia».
Si è parlato più precisamente di una fuga dissociativa.
«Oggi la psichiatria la definirebbe così: una fuga accompagnata da amnesia come tentativo di proteggersi da traumi. Si iniziò a osservare questo tipo di fenomeni nei soldati traumatizzati durante la Prima guerra mondiale. Spesso accadeva che non ricordassero più nemmeno il proprio nome come difesa dallo shock subito. I traumi nel caso di Agatha Christie erano vari. In poco tempo aveva perso la madre e scoperto il tradimento del marito. Inoltre era sotto pressione dopo l’uscita de L’assassinio di Roger Ackroyd».
Come venne curata?
«Venne portata dagli stessi dottori che curavano il cosiddetto shell shock, il trauma da granate. Nel mio saggio faccio il nome per la prima volta dello psicoanalista che l’avrebbe visitata, William Brown».
La scrittura risentì di questo episodio?
«In un romanzo intitolato Ritratto incompiuto raccontò di una donna caduta in una crisi depressiva nel mezzo di un divorzio, con toni chiaramente autobiografici.
Comunque dopo il 1926 iniziò a presentarsi più come una casalinga che una scrittrice di successo per non attirare l’attenzione dei media. E a un certo punto decise di non concedere più interviste».
È vero che aveva un metodo di lavoro rigido dal quale difficilmente derogava?
«Aveva una sorta di dipendenza dal lavoro. Anche quando si concedeva una passeggiata nel pomeriggio, mentre camminava recitava i dialoghi che avrebbe poi dettato o battuto a macchina. Ogni sei mesi usciva con un nuovo libro, fino al 1976 ne scrisse un’ottantina. La lunghezza canonica era di sessantamila parole. Sarà anche per questo che Agatha Christie è la terza autrice bestseller a livello mondiale, dopo Shakespeare e la Bibbia».