Corriere della Sera, 8 settembre 2025
L’Europa perderà fino a un terzo degli abitanti
«Un fantasma si aggira per l’Europa» scrivevano Marx e Engels. Se va avanti così, non resterà neppure un fantasma. Il declino demografico del nostro continente è accelerato negli ultimi anni.
Il saldo tra nati e morti è negativo dal 2012 e il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna) pubblicato da Eurostat è sceso a un minimo di 1,38 nel 2023 e, visti i dati dei singoli Stati membri, dovrebbe essere calato ulteriormente nel 2024. La bassa natalità crea uno squilibrio generazionale che si manifesta in una difficoltà per le imprese, ben evidente in Italia, nel trovare personale per rimpiazzare chi, raggiunta una certa età, deve smettere di lavorare. Inoltre, anche per l’allungamento dell’aspettativa di vita, i sistemi pensionistici si trovano in costante difficoltà finanziaria. Ma non è solo un problema finanziario: se non si fanno figli mancano le persone che possono curare gli anziani. E le cose sono destinate a peggiorare, come segnalato anche da un recente articolo pubblicato sul Guardian cui si fa riferimento su queste colonne: secondo l’Eurostat, in assenza di immigrazione, la popolazione europea, dopo un leggero aumento iniziale, scenderebbe dagli attuali 447 milioni a 295 milioni nel 2100, un terzo in meno.
C’è chi pensa che il problema possa essere risolto con politiche pubbliche per la natalità. Molto difficile. Gli studi empirici mostrano che l’effetto della spesa pubblica sulla natalità è positivo ma modesto: un punto di Pil di maggiore spesa alza il tasso di fecondità di uno 0,1 o poco più. In pratica, nessun Paese che sia sceso molto sotto un tasso di fecondità di 2 (quello che stabilizzerebbe la popolazione) è riuscito a risalire a quel livello. Caso emblematico è la Svezia che ha attraversato diverse fasi di aumento di spesa pubblica per risalire a 2 e che nel 2024 si è ritrovata a 1,43. Non sto dicendo che queste politiche siano sbagliate. Anzi. È importante rimuovere gli ostacoli che rendono difficile conciliare la nascita dei figli col mantenimento del posto di lavoro.
Ed è anche importante evitare che il tasso di fecondità scenda al di sotto di 1,5 per evitare quello che i demografi chiamano «trappola della fertilità» per cui i nati si riducono non solo per la limitata volontà di fare figli, ma anche perché il numero dei potenziali genitori cala troppo rapidamente. Ma evitare lo spopolamento e lo squilibrio tra lavoratori e anziani richiede anche una seconda componente: l’immigrazione.
E qui sorge un problema, politico e sociale, che i Paesi europei (e non solo; basti pensare agli Stati Uniti) non sono ancora riusciti a risolvere, con poche eccezioni: quello di avere un flusso migratorio sufficientemente ampio, regolare e tale da facilitare l’integrazione con i «nativi». Al momento in Europa abbiamo flussi insufficienti (la popolazione ha iniziato a scendere, continuerà a scendere e lo squilibrio tra lavoratori e anziani si accentuerà), irregolari (gli sbarchi di migranti decisi dagli scafisti e i relativi morti nel Mediterraneo continuano) e con rilevanti difficoltà di integrazione (i tassi di povertà e criminalità sono molto superiori per i migranti). Trovare una soluzione a questi problemi richiede due cose: bloccare gli sbarchi irregolari e creare canali di afflusso di migranti regolari. E su entrambi i fronti l’Italia eD Europa devono fare di più.
Gli sbarchi irregolari continuano. In Italia, dopo il picco del 2023, primo anno del governo Meloni, si sono ridotti nel 2024-25, grazie al freno concordato coi Paesi del Nord Africa. Ma questi non hanno nessun interesse a bloccare completamente le partenze irregolari: se lo facessero, nessuno inizierebbe il viaggio della speranza dai Paesi di provenienza e loro perderebbero la possibilità di ricatto verso i Paesi europei e i relativi vantaggi. E, infatti, i flussi restano consistenti (nel 2024-25 siamo sui 66mila l’anno).
Occorre ripensare a livello europeo l’intero approccio, comprese le politiche di asilo le cui evidenti falle consentono l’immigrazione come rifugiati politici di chi arriva per motivazioni economiche, politiche che comunque erano state disegnate avendo in mente flussi di pochi perseguitati e che sono inadeguate a flussi potenziali di decine di milioni di persone. Al tempo stesso occorre creare canali di afflusso regolare in misura sufficiente: nelle previsioni Eurostat con adeguate politiche migratorie il calo della popolazione europea al 2100 potrebbe essere limitato al 6%. Il governo Meloni ha appropriatamente aumentato il numero di permessi di lavoro: dal minimo di poco più di 30mila i l’anno dei governi Conte I e II, si è saliti a oltre 160mila nel 2025. Ma sono numeri ancora bassi. Per mantenere invariato il rapporto tra lavoratori e anziani che non lavorano servirebbero 350mila immigrati l’anno (al netto degli italiani che partono; vedi una nota di Galli, Geraci e Scinetti pubblicata sul sito dell’Osservatorio CPI). E, soprattutto, occorre una politica di lungo periodo per portare nel nostro Paese (e in Europa) persone con le competenze necessarie e con un’adeguata conoscenza della lingua italiana. Il che comporta costituire centri di «reclutamento e formazione» anche nei Paesi di provenienza, un’adeguata pubblicizzazione in quei Paesi dell’esistenza di canali regolari di afflusso, e politiche di integrazione. Tutto questo faciliterebbe il blocco degli sbarchi irregolari.
Alcuni Paesi europei sono facilitati nella creazione di flussi regolari: in particolare la Spagna (che ha un tasso di fecondità basso quanto quello italiano, ma ha una popolazione in crescita) ha il vantaggio di poter accogliere immigrati dall’America Latina, persone che parlano la stessa lingua e hanno la stessa cultura e religione. Ma possiamo comunque fare meglio.
Ultima precisazione. Il problema dello spopolamento dell’Europa e degli squilibri che ne derivano (il primis quello tra lavoratori e anziani non lavoratori) può essere attenuato anche attraverso politiche di aumento della produttività: ci saranno meno lavoratori, ma se ognuno è più produttivo, il problema è attenuato. Ciò detto, quantitativamente puntare solo su questo aumento (e su una ripresa del tasso di fecondità) è insufficiente, come dimostrato, per esempio, dalle previsioni di lungo termine della Ragioneria Generale dello Stato relative agli equilibri pensionistici. Un flusso regolare di immigrati resta essenziale.