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 2025  settembre 07 Domenica calendario

Nuoto quindi sono

Gli antichi romani di un uomo ignorante erano soliti dire che «non sa né leggere né nuotare». I greci ritenevano addirittura che il suono dell’acqua potesse ridare la salute. La Chiesa medievale popolò invece il mare di mostri, rese le sirene decantate nell’antichità un simbolo di peccaminosi piaceri carnali. L’acqua venne così guardata con sospetto, e per tale motivo dei quattrocento bagni turchi realizzati a Granada solo uno sopravvisse ai successivi decenni di cristianesimo. Con una morale bigotta lo status del nuotatore sprofondò, e fu necessario attendere l’Ottocento perché cominciasse a risalire la china.
Di questo, e di molto altro, parla un libro singolare e incantevole: L’ombra del massaggiatore nero( Adelphi, 1992). È l’unica opera di Charles Sprawson, nato in Pakistan, vissuto in occidente, esperto di pittura del XIX secolo e assai orgoglioso di aver attraversato i Dardanelli a nuoto.
L’andare da una costa turca all’altra di quello stretto, non è poi impresa difficile per un buon nuotatore. In alcuni punti la distanza è meno di un chilometro e mezzo, e non ha niente a che vedere, ad esempio, con i 33 chilometri che separano Dover da Cap Gris-Nez o con i 36 della Capri-Napoli. Però la traversata dell’Ellesponto doveva conservare per Sprawson un fascino incomparabile.
Nel 1810 era stata questa una delle imprese che avevano maggiormente inorgoglito Lord Byron, compiuta in poco più di un’ora. Di quell’audace fatica Byron avrebbe scritto che ne era fiero «più chedi qualsiasi altra opera, sia politica, sia poetica, sia retorica». Ne parla in numerose lettere, fra le quali tre alla madre, come se desiderasse cancellare dalla memoria il disprezzo che il suo piede deforme suscitava in lei quand’era bambino. Per Byron il nuoto divenne una pratica quotidiana che aveva una magica azione benefica sui suoi malesseri, tanto da indurlo a vagheggiare una vita quasi anfibia.
Secondo Sprawson, se per alcuni artisti il nuoto era una coraggiosa sfida ai propri limiti, per altri poteva diventare persino un vizio. Thomas De Quiecey, autore di Confessioni di un mangiatore d’oppio,era convinto che l’assunzione di droghe e il nuoto fossero due processi correlati. Ma c’era pure chi, come Walt Whitman, si definiva «un ozioso fannullone acquatico di prima classe: potrei tranquillamente nuotare sul dorso all’infinito».
Per questi poeti e narratori, il nuoto in mare era un’esperienza esistenziale, non come per me un ripetitivo esercizio effettuato in piscina con l’obiettivo di salire su un podio e ricevere una medaglia. Ho smesso di allenarmi a diciassette anni, dopo aver gareggiato a Monaco ’72 nei 200 delfino, ed è stata una liberazione. Non volevo più sentire l’odore del cloro. Desideravo avere tempo per studiare, leggere, imparare a scrivere. Non ho mai ritenuto che la partecipazione alle Olimpiadi costituisse la cosa più importante che avessi fatto nella vita, come ahimé affermava l’editor da cui allora dipendeva la mia carriera letteraria. «Sebastiano, quello è stato e rimarrà il tuo traguardo massimo». Fu un bel cazzotto al mio ego di narratore, probabilmente salutare.
Nuoto e piscine comunque, anche in anni recenti, hanno giocato un ruolo non secondario in campo artistico. Basti pensare al film La piscina, nel quale in un’atmosfera di bellezza, seduzione e violenza Alain Delon, Romy Schneider e una giovanissima Jane Birkin intrecciano i loro destini tra un oscuro passato e i fantasmi erotici del presente. In tanti quadri di David Hockney poi, piscine stilizzate con acque immobili costituiscono il soggetto principale.
Persino Il grande Gatsby di Fitzgerald si conclude in piscina, dove il cadavere del protagonista viene scoperto mentre galleggia su un materasso di gomma. «Un fascio di foglie, sfiorandolo, lo fece girare lentamente, tracciando nell’acqua un sottile circolo rosso».
Ma il racconto che mi ha emozionato di più è Il nuotatore di John Cheever.
Il suo eroe è un americano, Neddy Merrill, che in una domenica d’estate in cui tutti bevono troppo, è disteso ai bordi di una piscina, con una mano immersa nell’acqua e l’altra stretta intorno a un bicchiere di gin. C’è un bel sole, si sente in piena forma. Abita a una quindicina di chilometri dalla villa dove si trova in quel momento e pensa alle sue quattro splendide figlie che forse stanno giocando a tennis. A un certo punto, gli viene l’idea che avrebbe potuto arrivare a casa sua a nuoto seguendo la catena di piscine che si snodano attraverso la contea. Romanticamente decide di chiamare quel corso d’acqua Lucinda, come sua moglie. E Neddy Merrill comincia, con il miglior stato d’animo, l’insolita avventura. Tanta acqua azzurra gli sembra un dono del cielo. Si reputa un pellegrino, un esploratore. E sa che nel percorso fatto di piscine e praticelli avrebbe incontrato parecchiamici, felici di offrirgli generose dosi di gin.
Però man mano che il racconto si dipana, quell’uomo che si considera fortunatissimo comincia nutrire dei dubbi. Perché un’anziana ricca signora che ha una piscina alimentata da un ruscello quando lo vede gli dice che è molto dispiaciuta di sapere di tutte le sue disgrazie, della vendita della casa, della condizione delle sue povere figlie? Perché una sua vecchia amante, proprietaria anche lei di una piscina, gli urla che non gli avrebbe più dato nemmeno un centesimo? Possibile che stia perdendo la memoria e rimuova i fatti spiacevoli? Ha bisogno di bere per tirarsi su. «Anche quelli che attraversano la Manica bevono bicchierini di brandy» si dice e, benché molto stanco, con un ultimo sforzo arriva al viottolo che conduce a casa sua. Ma la trova chiusa.
«Pensò che doveva averla chiusa a chiave qualche stupida cuoca o cameriera, finché non ricordò che già da un po’ di tempo non avevano più cuoche o cameriere. Gridò, batté con i pugni sulla porta, tentò di abbatterla a spallate, e poi, guardando attraverso le finestre, vide che la casa era disabitata».
Per caso ho riletto Il nuotatore dopo essermi imbattuto nel video di quel ragazzo marocchino che, qualche giorno fa, ha raggiunto a nuoto l’enclave spagnola di Ceuta, cinto da un salvagente di bottigliette di plastica vuote legate a una cordicella. C’era un soldato in tuta mimetica, casco e scudo ad attenderlo a riva. Allora mi sono chiesto: chissà se il giovane avrà trovato alla fine qualcuno che l’ha fatto entrare in quell’Europa che lui ritiene anche casa sua o, come Neddy Merrill, l’ha trovata chiusa a chiave.