Avvenire, 7 settembre 2025
Il Sudan ha ucciso anche i giornali
Nel Sudan in balìa della guerra, carta stampata e giornalisti non esistono quasi più. La stampa è stata annientata e le redazioni hanno chiuso i battenti nel corso dei due anni e cinque mesi di conflitto spietato tra generali rivali. Oltre mille cronisti hanno perso il lavoro, 31 di essi sono stati uccisi, mentre 27 quotidiani hanno cessato le pubblicazioni.
Cinque tipografie e 32 stazioni radiofoniche sono ferme da tempo, assieme a otto canali televisivi. Senza testimoni e senza reporter, delle tante violazioni dei diritti umani si sa molto poco all’interno del Paese. A denunciarlo è il Segretario generale del sindacato dei giornalisti sudanesi, Mohammed Abdelaziz, che racconta il silenzio forzato dell’informazione. «Solo il 10% dei giornalisti è ancora al lavoro, appena il 5% viene pagato e tutti hanno perso i loro risparmi. Molti si sono adattati a fare i venditori ambulanti per dar da mangiare alle proprie famiglie», denuncia anche un sindacalista. I superstiti collaborano con emittenti straniere, tra le quali al-Jazeera e a monitorare la violazione del Diritto umanitario e la fame usata come arma di guerra, restano gli osservatori Onue qualche freelance.
Nei giorni scorsi le Nazioni Unite hanno pubblicato un importante “paper” formulando, per la prima volta in modo esplicito, l’accusa di «crimini contro l’umanità» nei confronti delle Rsf: omicidi, torture, stupri, schiavitù, sfollamenti forzati e persecuzioni basate sull’etnia. Si intravede anche qui lo spettro del crimine di genocidio. Ma tutto questo non fa notizia come dovrebbe.
La maggior parte dei siti Web è sponsorizzata dalle fazioni in guerra e dai gruppi legati ai paramilitari. Mentre i diversi social media divulgano una informazione solo parziale, fa sapere il sindacato. Eppure i social hanno un ruolo importante: a raccontare l’immane tragedia della frana che ha ucciso mille persone nel Darfur, il 31 agosto scorso, è stato ad esempio l’esercito di Liberazione del territorio, che continua ad aggiornare tramite X sul recupero dei corpi. Prima del 2018 in Sudan esistevano ben 40 diverse testate. Ma già a ridosso della guerra (che ha fatto tra i 20mila e i 150mila morti) la carta stampata attraversava una crisi economica irreversibile.
Poi, con l’inizio dei combattimenti, le tipografie sono state chiuse del tutto, svuotando le redazioni di Khartum. «Fin dal primo proiettile tutti i giornali si sono fermati», racconta Shamael Elnoor, giornalista freelance molto nota in Sudan per le sue “coperture” dal travagliato Darfur. È anche per questa ragione che i crimini contro i civili faticano ad uscire allo scoperto e le notizie circolano troppo lentamente. Elnoor è tornata nella capitale e racconta alla Reuters la desolazione delle redazioni svuotate, aggirandosi tra ciò che resta degli uffici del National Council for Press and Publications. Per Shamael, fuggita da casa sua ad Omdurman un mese dopo lo scoppio della guerra, transitata per Sennar, a sud del Blue Nile tra 12 milioni di sfollati, e giunta negli Emirati Arabi, tornare a Khartum è doloroso. La giornalista ha toccato con mano la fine della professione in Sudan. Sembra però che il governo centralee stia negoziando con diversi editori e un distributore privato, la riapertura di alcuni giornali, tra cui Al-Tayyar. Per il direttore del quotidiano Al-Jarida, Ashraf Abdel Aziz, questo revival della stampa avrà un prezzo: «Se a pagare è il governo – obietta – certamente influenzerà la linea editoriale del nuovo giornale».