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 2025  settembre 07 Domenica calendario

Intervista a Peppe Servillo

«Ma è sicuro?! Che bello!! Sono felicissimo!!! Un altro bel riconoscimento al grande impegno e all’enorme talento del mio fratellone. Grazieee!». A Peppe Servillo la notizia che il fratello Toni ieri sera, a Venezia, ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile nel nuovo film di Paolo Sorrentino, La grazia, l’ha data il sottoscritto, al telefono, poco prima dell’inizio del concerto che ieri l’ha visto esibirsi sulla Scalinata di San Bernardino all’Aquila con i suoi Avion Travel e la Medit Orchestra. Una gioia genuina, la sua: «Sono contento perché è l’ennesima sfida che Toni accetta e vince per indagare nella vita degli altri e testimoniare attenzione al prossimo. Spero di festeggiare presto con lui questo altro successo. So che esce nelle sale a gennaio (il 15, ndr), vuol dire che lo vedrò allora: i film me li gusto solo così».
Casertano nato ad Arquata Scrivia (Alessandria) 64 anni fa – il padre per un periodo lavorò lì – Peppe Servillo dal 1980 è il cantante della Piccola Orchestra Avion Travel, prima a Sanremo nel 2000 con Sentimento, e da sempre attiva con grande successo di pubblico e critica sul fronte della canzone popolare contemporanea.
A Caserta dagli Anni Settanta c’era un’agenzia di viaggi che si chiamava Avion Travel: il n ome l’avete preso da lì, vero? E cosa c’è voluto per fare così tanta strada?
«Sì, lo prendemmo in prestito da quell’insegna. C’è voluto tanto lavoro, fortuna e incontri felici. Eravamo amici a scuola, siamo rimasti tali. L’amicizia dà sempre buoni frutti. Mi è successo con gli Avion e con tutte le altre cose che ho fatto, come cantante o come attore. La qualità nei rapporti che instauro mi dà sempre grandi soddisfazioni».
A quasi 65 anni, da compiere il 15 ottobre, come si presenta?
«A questo punto direi interprete, mi sembra il termine più pertinente».
E chi deve ringraziare più di tutti?
«L’ambiente familiare – sono stati proprio i miei genitori a farmi conoscere il teatro, il cinema e la musica – e la scuola. Negli Anni 70 l’incontro con l’arte era spesso favorito dal modo formativo che c’era di impiegare il tempo libero. Per questo mi ritengo molto fortunato. E poi perché alla base di queste esperienze c’è il desiderio di condividere, fare squadra, declinare al plurale la vita. E accettare le sfide».
È vero che si formò anche in oratorio?
«Certo. Quello era l’altro luogo di aggregazione. Io, Fausto (Mesolella, straordinario chitarrista degli Avion Travel morto nel 2017, ndr) e mio fratello Toni fummo fortunati a incontrare un prete illuminato, don Alfonso Alfano, che ci aiutò a trovare gli strumenti per suonare, ci fece scoprire il teatro di Eduardo De Filippo, ci insegnò a giocare a basket quando esisteva solo il pallone».
È vero che gli Avion Travel scatenarono incidenti in uno dei primi concerti a Caserta?
«Sì. Ci presentammo in una rassegna dove tutti facevano punk-rock e noi ska, genere che non so perché veniva bollato come reazionario. Passammo per provocatori, scoppiò un casino. Ci salvò Fausto Mesolella: staccò l’interruttore generale, lasciando il teatro al buio, permettendoci di scappare. Il giorno dopo la radio locale parlava di noi e lui entrò nella band».

La spinta a scappare dalla provincia, spesso decisiva, in che misura l’ha avuta?
«Vivo a Roma da trent’anni, ma non ho mai avuto il mito della grande città o la voglia di andar via a tutti i costi. Io alla provincia, a Caserta, devo tantissimo».
Si definirebbe più coraggioso o incosciente?
«L’esposizione al giudizio, che fa parte della vita e vale per tutti, richiede una certa forza. Sono un autodidatta, ho imparato dai miei compagni di lavoro, praticando il mestiere giorno dopo giorno. Per lanciarsi, però, ci vuole coraggio. E buoni maestri. La vita è davvero l’arte dell’incontro, come cantava quel genio di Vinicius De Morales in quel suo disco che adoro. E io ho incontrato persone importantissime che mi hanno insegnato tanto: Caterina Caselli e Lilli Greco, per esempio».
C’è stato un equivoco più o meno ricorrente sul suo conto?
«Diciamo che i due Festival di Sanremo a cui partecipammo, nel 1998 e 2000, ci diedero tantissimo ma ci fecero anche sembrare un po’ elitari, quando in realtà noi venivamo dalle piazze, abbiamo un animo popolare. Infatti tutto quello che abbiamo fatto prima e dopo il 2000 parla per noi in questo senso».
Quindi quel clamoroso successo vi mise un po’ in difficoltà?
«Sì, certo. Come direbbe Sorrentino: è stata un’esperienza non facile. Certe ingenuità, che poi dopo si sono rivelate una forza, possono creare problemi. Quello che mi dà fastidio è confrontarmi con gli steccati, la cosa che amo di più di questo mestiere è la possibilità di contatto con gli altri».
Nel 2009 provaste senza fortuna a tornare in gara al Festival: adesso fareste un altro tentativo?
«Se avessimo un pezzo che meriterebbe quella ribalta, sì. Quando provammo a tornare a Sanremo lo facemmo con una canzone in cui credevamo molto, Se veramente Dio esisti, scritta da me e Fausto, dopo quell’esclusione fu interpretata da Fiorella Mannoia. E andò bene».
La registrazione di “Pierino il lupo” di Prokofiev sta per uscire o no ?
«Sì. L’abbiamo realizzato con l’Orchestra della Filarmonica della Calabria con il maestro Elia e con la produzione esecutiva e tecnica di Raffaele Cacciola. Sarà pubblicato fra poco».
La cosa che le è venuta meglio, finora, qual è ?
«Tutto quello che ho e abbiamo fatto negli Anni 90 come Avion Travel: l’album Opplà del 1992, canzoni come Cosa sono le nuvole? Storia d’amore di Celentano... Una volta ho incontrato la figlia di Adriano Celentano che mi ha raccontato una bella storia: il papà ritiene la nostra versione di quella canzone una delle più belle mai fatte. Questo mi riempie di gioia. Per me sono piccole grandi medaglie».
Che Italia si vede dal suo palco?
«La giro in lungo e in largo e posso dire che ha ancora un’identità forte, quasi mai raccontata. È un Paese diverso da quello delle grandi città, dove sembra che succeda tutto. C’è vita anche nella piccola Italia. Esiste. Io la incontro e l’apprezzo».
Di recente ha detto che il nostro non è un Paese per giovani, cosa intendeva dire?
«Che non ci sono spazi per loro, non si concede fiducia né libertà. Il passaggio generazionale dei saperi, dalla cultura all’artigianato, sembra essersi inceppato».
Lo sfizio da togliersi qual è?
«Vorrei fare un disco dedicato alle donne, non solo con canzoni nostre ma anche di altri autori, cercando di evitare la retorica e i luoghi comuni».
E come Avion Travel, un nuovo disco è in cantiere?
«Con la Med Orchestra di Angelo Valori stiamo riproponendo il repertorio storico, quindi vorremmo fare un disco dal vivo. Ne facemmo uno nel 1998, ma venne un po’ rabberciato».
Dice spesso di avere avuto fortuna: riesce in qualche modo a trasmetterla agli altri?
«Non saprei. Da giovane ho insegnato italiano e storia alle superiori: mi è piaciuto e mi è servito tantissimo. Non l’ho fatto nel mio lavoro d’artista perché non mi ritengo un maestro. Credo nell’esempio, però. Spero di essere utile in questo senso».
L’errore peggiore?
«Alle volte ho preso strade non mie, indicate da persone che mi amavano. Sono sempre stato un ragazzo molto mite e le ho seguite senza dar retta al mio istinto. Se lo avessi fatto, probabilmente avrei fatto molto meglio. Però le stesse persone, dopo, hanno riconosciuto l’errore e il ricordo di ciò mi commuove ancora oggi».
Peppino ed Eduardo De Filippo litigarono in maniera feroce. In una videointervista, dopo anni, Peppino dice cose molto pesanti del fratello: lei e Toni avete mai avuto momenti così difficili?
«No, mai. Io devo tanto a Toni, da ragazzi abbiamo coltivato la stessa passione per il teatro, quando avevo cinquant’anni sono stato in scena insieme a lui proprio con un testo di Eduardo come Le voci di dentro. C’è sempre stato un grande affetto fra me e lui, mia sorella e l’altro mio fratello. Siamo una famiglia. Sulle liti dei De Filippo, chissà perché Peppino quella sera disse tutte quelle cose tremende. Di sicuro erano due giganti. Avrei tanto voluto vederli in scena insieme. Il teatro, anche quello meraviglioso come il loro, purtroppo è fatto d’aria».