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 2025  settembre 07 Domenica calendario

Giappone, il premier Ishiba si dimette: si apre la corsa al successore. Ecco cosa sappiamo

Alla fine, è stato costretto a cedere. Shigeru Ishiba non arriverà a celebrare un anno come primo ministro del Giappone. Le batoste elettorali, i dazi di Donald Trump e la riscossa dell’ala ultraconservatrice del suo Partito Liberalodemocratico (PLD) lo hanno portato alla resa. Nominato il 1° ottobre 2024 per succedere a Fumio Kishida, travolto da un ampio scandalo di finanziamenti al partito, Ishiba prometteva di riformare la tentacolare forza che guida il Giappone quasi ininterrottamente da oltre 70 anni. Non c’è riuscito. Decisiva la pesantissima sconfitta alle elezioni per la Camera alta della Dieta (il parlamento giapponese) dello scorso luglio, che per la prima volta dal 1955 ha privato una coalizione di governo guidata dal PLD di una maggioranza in entrambe le camere della dieta.
Una sconfitta dettata dall’insoddisfazione verso le politiche economiche del governo, che ha rifiutato la proposta dell’opposizione di tagliare la tassa dei consumi nonostante l’alta inflazione e i bassi salari. Ma anche dai dazi di Trump, che hanno ulteriormente indebolito l’immagine di Ishiba, nonostante l’ormai ex premier avesse provato a bilanciare interessi nazionali e necessità di tutelare i rapporti con Washington.
Il governo del premier Ishiba perde la maggioranza anche nella Camera Alta del Parlamento
Ishiba, che aveva già perso la maggioranza alle elezioni per la Camera bassa dello scorso autunno, è rimasto così alla guida di un traballante governo di minoranza. Già a fine luglio si erano diffuse le voci di imminenti dimissioni, poi rivelatesi infondate. Ishiba aveva provato a reggere, nonostante tutto. Ma il PLD ha deciso per lui.
Un’ampia parte del partito ritiene che la sua debolezza abbia inciso nella sconfitta alle urne e sin da subito ha chiesto una sua presa di responsabilità sul risultato. Tradotto: dimissioni. La fazione che fu di Shinzo Abe, il potente ex premier assassinato durante un comizio nel luglio 2022, ha avviato una raccolta fondi per indire un’assemblea generale e votare sull’opportunità di indire primarie anticipate per la leadership del partito, che tradizionalmente equivale alla nomina a premier. I due moderati ex premier, Yoshihide Suga e soprattutto Kishida, hanno provato a frenare. Ma alla fine hanno dovuto cedere il passo all’ala conservatrice, convinta che sia tornato il suo turno di guidare il partito e provare a così contenere l’emorragia di voti verso nuove forze sovraniste e nazionaliste.
A peggiorare il clima, quanto accaduto durante il mese di agosto. Dopo i brevi discorsi in occasione delle cerimonie per l’ottantesimo anniversario delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, Ishiba ha espresso “rimorso” per gli errori commessi dal Giappone nella sua era imperialista. E avrebbe voluto rilasciare una dichiarazione ufficiale nell’anniversario della resa, il 2 settembre, come fatto ogni dieci anni dai suoi predecessori. L’ala più conservatrice del partito glielo ha sostanzialmente impedito, convinta che fosse arrivato il momento di mettere fine alla cosiddetta “diplomazia delle scuse”.
Il tutto in uno scenario in cui le minacce percepite alla sicurezza nazionale si moltiplicano e molti a Tokyo sono convinti che sia giunto il momento di superare almeno parzialmente lo storico pacifismo previsto dalla costituzione imposta dagli Stati Uniti nel secondo dopoguerra.
La settimana scorsa ha dovuto dimettersi il segretario generale del partito Hiroshi Moriyama, snodo che ha chiarito che la tregua era ormai agli sgoccioli. Sabato è precipitato tutto. Fissata per lunedì 8 settembre l’assemblea per votare sulla sorte di Ishiba, segnata dopo che diversi “pezzi grossi” del management del partito hanno capito che era giunto il momento di mollarlo.
Il premier è stato convocato da Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi, i quali gli hanno chiesto di dimettersi e farsi da parte prima del voto di lunedì, così da evitare un’ulteriore spaccatura interna al PLD, che mai come ora teme di perdere la guida del Giappone. Ishiba, riluttante, ha acconsentito.
Ora si apre la corsa alla successione. Nell’ala radicale si punta su Sanae Takaichi, iper nazionalista e fedelissima di Shinzo Abe. Ex batterista heavy metal, è nota per le sue posizioni da falco sulla Cina, ma allo stesso tempo richiede maggiore autonomia strategica su commercio e difesa all’interno della cornice dell’alleanza con gli Usa. Takaichi, sconfitta peraltro da Ishiba alle primarie dell’anno scorso, era sin qui sempre stata percepita come un azzardo, viste le tante incognite che una sua premiership rischiano di aprire sulla politica estera. Per non parlare delle posizioni ultraconservatrici sui diritti civili.
Ma l’esito delle elezioni di luglio potrebbe aver convinto il PLD che è lei la figura giusta. Questo soprattutto per la grande ascesa del Sanseito, partito sovranista e anti immigrati che addirittura propone lo sviluppo di armi nucleari autoctone. Takaichi potrebbe dunque tamponare la fuga dell’elettorato verso i nuovi partiti. Ma c’è invece chi preferisce strade più caute. In corsa c’è Koizumi, figlio dell’ex premier Junichiro: punta da tempo alla nomina a premier. Tra i moderati c’è chi immagina addirittura un ritorno di Kishida.
Di certo, le dimissioni di Ishiba tolgono un bel problema al PLD. Non solo perché disarcionare un premier contro la sua volontà avrebbe causato una rottura non banale all’interno del partito, ma anche perché ora la decisione sull’eventuale scioglimento del parlamento spetterà al prossimo (o alla prossima) leader. Tradotto: le elezioni anticipate non sono scontate, anche se sono solitamente uno strumento a cui si ricorre subito dopo la vittoria delle primarie per cementare la presa sul partito e sul parlamento stesso.
Quello che è certo è che Ishiba, nerd di dispositivi militari e storico outsider all’interno del suo stesso partito, non è riuscito a cambiare quella mastodontica organizzazione politica che si era sempre battuto per riformare. E il Giappone piomba nell’incertezza.