corriere.it, 6 settembre 2025
Milano, Elena e quella notte d’amore alla Statale. Quando le femministe (e la sinistra extraparlamentare) la processarono nell’aula magna
E questi erano (o si presumeva che fossero, o quantomeno tali si proclamavano) gli ambienti politici più progressisti in tema di costumi, diritti, vedute, orizzonti sociali. Eppure Elena la processarono. Senza comprensione. Senza cautele. Senza che le fosse assicurato un minimo di riservatezza. Come una strega nel secolo decimo settimo. Solo che era il 1976. E Elena era una di loro. Una del movimento. Aveva ventidue anni.
Si ritrovò isolata, attaccata in pubblico, messa alla gogna, in una sorta di tribunale nato nel cuore dei gruppi studenteschi dell’estrema sinistra dentro l’università Statale. C’era il Mls, Movimento lavoratori per il socialismo, una filiazione dello storico Movimento studentesco; poi il Pdup, Partito di unità proletaria per il comunismo; e ancora: Avanguardia operaia e Lotta continua. Infine, le femministe. Ogni gruppo, più o meno, aveva il suo stand nel mercatino di libri organizzato davanti all’ateneo. Di notte, si facevano i turni di guardia. Per evitare furti o vandalismi. Le sentinelle avevano delle brandine per riposarsi.
Su una di queste brandine, una notte di fine ottobre novembre, Elena fece l’amore con un ragazzo. Qualcuno li vide. Molti si diedero la voce. In pochi giorni tanti sapevano. Del ragazzo nessuno si curò, come fosse uscito di scena immediatamente, già nel buio di quella notte. Di vittimizzazione all’epoca non parlava nessuno, almeno non nei termini nei quali se ne parla oggi. Tra i tanti valori per i quali si era pronti a discutere, manifestare, picchiare, non figurava la privacy.
Comunque, questa è l’estrema sintesi degli accadimenti, per come furono ricostruiti nella cronaca del Corriere d’informazione del 9 novembre 1976: «A ognuno la sua versione: “Lui è uno a cui voglio bene. E avevo voglia di farlo”, dice lei. “È stata violentata come ogni donna viene sempre violentata”, dicono alcune femministe. “È una scelta personale che riguarda solo lei”, dicono le ragazze del Movimento lavoratori per il socialismo. “È una povera ninfomane che è stata violentata da una decina di maschilisti che si dicono compagni”, sentenziano alcune femministe delle più radicali».
Per qualche giorno la schermaglia, pur caustica, pur virulenta, s’infiammò tra volantini, giornali interni, proclami in assemblee e congressi. In questo primo tempo, l’identità della ragazza venne preservata. Poi, forse perché non sopportava più di stare al centro di quell’ambiente avvelenato, o perché tanti, troppi sapevano il suo nome, fu lei a venire allo scoperto. Fece un’intervista a Radio popolare.
Disse: «Non c’è stata alcuna violenza. Sono semmai la vittima della campagna di denigrazione delle femministe, che mi hanno “difeso” senza consultarsi con me, senza chiedermi come avevo vissuto l’episodio. Non sono ninfomane, non sono minorata, ho dormito e fatto l’amore al mercatino solo con un giovane a me caro; sì... qualcun altro mi faceva proposte, ma al mio rifiuto desisteva».
Non basta. Non erano tempi in cui un dibattito si potesse interrompere. S’arrivò così all’assemblea/processo nell’aula magna della Statale, davanti a una platea quasi soltanto maschile. Femministe contro ragazze dell’Mls, e lei, Elena, ancora una volta lì, costretta a parlare, a spiegare. Disse d’essere stata, in realtà, con due ragazzi. Le donne del movimento urlarono: «Non deve essere strumentalizzata». Le femministe rivelarono che «ai fatti del mercatino» aveva partecipato un compagno di Unità popolare, che era stato espulso. Il dibattito si disperse in confusione.
Oggi quella ragazza ha 71 anni, ed Elena non è il suo vero nome, perché nel frattempo la riservatezza è diventata un valore.