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 2025  settembre 06 Sabato calendario

“Mancia obbligatoria per salvare i ristoranti”, il dibattito che divide maître, chef e sommelier

“La mancia obbligatoria per salvare la sala”. La proposta arriva da Bologna e porta la firma di Piero Pompili, ristoratore e volto noto dell’ospitalità italiana nel suo Al Cambio. In un’intervista a Fanpage ha spiegato perché, secondo lui, un’aggiunta forzata sullo scontrino potrebbe essere la via più rapida per garantire stipendi dignitosi a chi lavora in sala: “È un intervento veloce e concreto a sostegno di chi ogni giorno è in prima linea con i clienti. Così si responsabilizza il personale, che guadagna anche in base a come si comporta”. Una misura che, nelle sue parole, nasce dalla constatazione di un settore schiacciato tra pressione fiscale e margini sempre più ridotti: “Due brigate per coprire pranzo e cena, buste paga da 1.800 euro: i conti diventano proibitivi. Lo Stato dovrebbe intervenire, ma i tempi sarebbero lunghi”.
Una proposta che tocca un nervo scoperto. Perché se da un lato intercetta il disagio diffuso tra ristoratori e camerieri, dall’altro solleva molti dubbi. La mancia obbligatoria, osservano molti, rischia di diventare un alibi che scarica la responsabilità sui clienti, senza affrontare le radici della crisi: salari bassi, contratti fragili, frammentazione del lavoro, pressione fiscale. Abbiamo raccolto alcune voci dal settore e il risultato è un coro dissonante, che però converge su un punto: i problemi della ristorazione non si risolvono con uno scontrino maggiorato.
Per Fabiana Gargioli, maître de Armando al Pantheon a Roma, la questione non è tanto la mancia, ma il valore del lavoro in sala. “Capisco l’idea di Pompili, ma non la sottoscrivo. La mancia deve restare libera, un segno di rispetto verso il cameriere, e il professionista deve meritarsela con il suo comportamento. Non possiamo trasformarla in un obbligo e illuderci che basti a risolvere i nostri problemi. Il nodo vero è la tassazione che grava su di noi e gli stipendi troppo bassi. Oggi a Roma un lavoratore a tempo pieno parte da 1.200 euro al mese: è inevitabile dover cercare un secondo lavoro, ed è disumano”. Gargioli sottolinea anche un’altra contraddizione: la frammentazione dei turni, ormai divisa in mezze giornate per garantire flessibilità, che obbliga ad aumentare il personale e quindi i costi. “Siamo in un circolo vizioso che solo la politica può spezzare con un salario minimo adeguato”.
Ancora più netto è Mario Ventura, sommelier e mâitre di Confine – Pizza e Cantina a Milano, che sposta il discorso sul piano macroeconomico. “Non penso che la mancia sia la soluzione: ricadrebbe solo sul cliente finale. Ma chi ha detto che deve essere il cliente a salvare la situazione? Bisogna accendere una luce sull’intero comparto, perché i problemi sono tanti e reali. A Confine abbiamo 35 dipendenti: un’azienda tecnologica può fatturare un milione a testa, nella ristorazione non esiste. Noi arriviamo al massimo a 3-5 milioni totali, con una tassazione pesantissima che rende tutto più difficile, pur essendo una fetta importante del PIL”. Ventura invoca un confronto istituzionale serio: “Perché non esiste un tavolo con le autorità? Noi formiamo ragazzi da zero e dopo anni se ne vanno, lasciandoci i costi. Spesso non sappiamo fare rete, né imparare dai nostri errori. Serve un cambio di passo, un sistema condiviso tra imprenditori, media e politica. Ma con correttezza e senza polemica”.
Sulle possibili distorsioni del meccanismo interviene anche Vincenzo Boffo di Vico Roma, che mette in guardia: “La mancia obbligatoria è una forzatura. Non c’è certezza che finisca davvero ai dipendenti: in Italia e all’estero capita che resti nelle tasche dell’imprenditore. Deve restare discrezionale”.
“Nel lusso c’è già e funziona”
Più sfumata la posizione di Davide Merlini, head sommelier dell’Hotel de Russie. “Nei ristoranti di hotel cinque stelle il 15% sul conto è già prassi da due anni, ma con possibilità di rifiuto o di modifica. Sul servizio in camera la tip è del 5%. È più facile perché si lavora con una clientela internazionale abituata a queste modalità e perché lo scontrino medio è più alto. Questo ha fatto crescere le buste paga: un commis può arrivare a oltre 2.000 euro. Ma il modello del lusso non si può applicare ovunque: nei piccoli centri o nei locali di provincia probabilmente non sarebbe facile da sostenere. Il settore è troppo variegato. Di certo, però, dobbiamo cambiare qualcosa, altrimenti rischiamo di perdere una fetta di professionalità per sempre”.
Il dibattito è aperto e la polarizzazione evidente. La mancia obbligatoria resta un’idea capace di smuovere le acque, ma forse non abbastanza per metterle in ordine. La vera questione, come ricordano i protagonisti del settore, è politica ed economica: salari, tutele, fiscalità. Finché non ci sarà una risposta dall’alto, il rischio è che lo scontrino resti l’unico terreno di battaglia.