Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 02 Martedì calendario

Intervista a Sharon Stone

Poco prima della nostra intervista Sharon Stone ha annunciato la morte della madre su Instagram. Quando ci incontriamo, in collegamento video, le esprimo le mie condoglianze. Benché nota per la sua schiettezza, l’attrice riesce addirittura a superarsi affermando: «La mamma, Dot, se ne è andata in realtà qualche mese fa, ma mi sono sentita pronta a parlarne al pubblico solo ora perché ho dovuto prima sbollire le sensazioni furiose con cui reagisco sempre alla morte». Furia che deriva da cosa, le chiedo: dolore, confusione, perdita? Sorride. «Un po’ dalla rabbia, ma un po’, vede, anche dal pensare “in ogni caso, cazzo, non avevo bisogno di te”!». 
A questo punto ride. «Mia madre non aveva di certo un’indole solare. Era divertente, ma mi diceva cose terribili. Dot imprecava come uno scaricatore di porto». Arriviamo quindi agli ultimi giorni di vita della madre. «Negli ultimi giorni mi avrà detto “Ti prendo a calci nella f...” probabilmente 40 volte. Ma delirava. E quando l’ultima cosa che tua madre ti dice prima di morire è: “Parli troppo, mi fai venire voglia di suicidarmi”, e tutta la stanza ride, l’unico tuo pensiero è che abbia davvero esagerato questa volta! Ma lei era così. Non riusciva proprio a trovare tenerezza e pace dentro di sé».
Stone, però, non ha tempo da perdere in chiacchiere. L’attrice, diventata famosa con il thriller erotico Basic Instinct, nel 1992, dovrebbe parlare del suo nuovo film, Io sono nessuno 2, ma qui il film dovrà attendere. Sharon Stone parla di ciò che interessa a lei e oggi le disfunzioni familiari sembrano essere l’argomento prioritario. A onor del vero, la cosa non sorprende visto l’impatto schiacciante che hanno avuto su gran parte della sua esistenza, pur avendole nascoste al pubblico fino all’uscita del suo libro di memorie del 2021, Il bello di vivere due volte.
Nell’opera ha rivelato la natura di molestatore violento e pedofilo del nonno materno. Ha raccontato che non c’è stato giorno nella vita di sua madre Dot in cui lui non l’abbia picchiata, dall’età di cinque anni fino a quando, a soli nove anni, lasciò la casa di famiglia per diventare domestica. Stone ha anche affermato che, da bambine, lei e la sorella hanno subito abusi da questo nonno.
Non si sa mai cosa aspettarsi dall’attrice. Inizia parlando di un trauma spaventoso in una frase per poi passare, in quella successiva, allo shopping da Cos. Durante la nostra conversazione lei è a casa sua, a Los Angeles, e ha un aspetto favoloso: un caschetto biondo, enormi occhiali rosa, perle «grandi quanto piccole uova di quaglia», una camicia bianca larga a sufficienza per essere indossata persino da David Byrne, pantaloni bianchi strappati nei punti giusti. Si allontana dallo smartphone in modo che io possa vederla bene. «Le faccio vedere la mia figura intera. La camicia mi arriva alle ginocchia. Mi sposto in modo che possa vedermi per intero. Appoggio lo smartphone alla libreria, così può vedere ogni particolare». 
Ora, usa il suo smartphone come specchio. «Mi metto un po’ di rossetto per lei». Le dico che mi piacciono i suoi occhiali. «Ma grazie. Agli occhiali non so proprio resistere, lo dico in tutta onestà».
Nonostante Stone abbia spesso parlato della propria timidezza, così forte da rasentare l’agorafobia, oggi non ne resta gran traccia. Come diceva Dot, è una chiacchierona: mettila davanti a una telecamera e il “one woman show” è fatto. Una sorta di Norma Desmond scurrile uscita dalla penna di Alan Bennett.
La voce è profonda e rauca, da mafioso. Parla con enfasi, ragiona in modo estremo, racconta una storia oltraggiosa dopo l’altra, passando dall’efferato all’empatico, citando nomi in grado di far venire un infarto ai legali impegnati in querele per diffamazione, prima di concludere le sue frasi con: «Non è forse così?» come a sfidare l’interlocutore a contraddirla.
Per ora, però, non ha ancora finito con Dot. Oggi sessantasettenne, Stone ha passato gran parte della propria vita pensando che la madre la odiasse. Solo più tardi, in occasione del loro riavvicinamento, ha compreso quanto fosse stata travagliata la vita di Dot e le conseguenti ripercussioni sull’attrice e sui suoi fratelli. Stone mi racconta della morte terribile spettata a Dot. «Aveva il terrore che, una volta morta, sua madre e suo padre sarebbero stati lì ad aspettarla. Non voleva morire proprio per non vederli perché erano stati molto crudeli. La convinsi di averli messi in prigione, ragion per cui non ci sarebbero stati. Il suo è stato un vero e proprio inferno». Fa una pausa. «Nessuno esce intatto da questa vita. Allora perché fingiamo che sia così?». 
Sua madre di certo non ha finto. Né, del resto, lo ha fatto Stone. Nel suo libro di memorie, descrive di essere stata chiusa in una stanza con il nonno e la sorella. È un passaggio meraviglioso in cui concreto e astratto si fondono, lasciando al lettore il dubbio su quanto effettivamente sia successo. A un certo punto, entra in una stanza nel momento in cui lui (il nonno ndr) sta evidentemente abusando sessualmente della sorella. 
Ha abusato sessualmente anche di Stone? «Sì. E quando l’ho dichiarato nel mio libro, hanno dato tutti di matto, sostenendo che stessi raccontando le storie di altre persone. Mi accusavano di raccontare la storia di mia sorella, o la storia di Tizio, Caio o Sempronio. Io, invece, non raccontavo la storia di nessuno. Nel mio libro non ho fatto il nome di nessuno. Di nessuno che non avesse fatto del bene, almeno». È un classico della Stone fare dichiarazioni perentorie, anche se il nome della sorella l’ha fatto eccome.
Sua sorella si è arrabbiata con lei? «Si è rifiutata di leggere il libro, anche se mi ha incoraggiato a scriverlo, come ha fatto mia madre ed è a lei che l’ho dedicato». Il nonno ha abusato sessualmente anche di sua madre? «Certo, e di tutte le sue sorelle. Per questo motivo è stata allontanata da casa quando aveva solo nove anni. Durante una lezione di ginnastica, le uscì del sangue da dietro la divisa e l’insegnante fece intervenire i servizi sociali. Togliendole la maglietta, notarono che era stata picchiata con tale violenza da avere la schiena ricoperta di cicatrici e sangue. Credo che gli abusi siano la causa dell’infermità mentale di tutte le sue sorelle. Sono state sottoposte a trattamenti per problemi di salute mentale. Erano in cinque e solo mia madre è sopravvissuta oltre i 50 anni. C’erano anche un paio di altre sorelle che sono però morte da bambine».
Le chiedo quanto siano continuati gli abusi del nonno su di lei. «Mi sono allontanata da lui intorno ai cinque o sei anni, prima che le molestie sessuali nei miei confronti diventassero più pressanti. Ero una ragazzina molto intelligente. Me la sono cavata con abusi molto più leggeri rispetto a quelli subiti dalle altre».
Stone sa di aver scontentato varie persone svelando i segreti di famiglia, ma è disposta a pagarne il prezzo. «Quando sei tu a spezzare la catena familiare, nessuno ti guarda di buon occhio, non è forse così? La tua famiglia non ti apprezza, i tuoi amici non capiscono cosa ti stia succedendo. La gente pensa che tu sia impazzita e qualcosa in te sia sbagliato».
Se da un lato il rapporto tra Stone e la madre fu travagliato, quello tra la madre e il padre, Joe, fu invece affettuoso, come ebbe modo di osservare. Benché fosse un uomo tutto rigore e disciplina nei suoi primi anni di vita, l’attrice sviluppò in seguito uno splendido rapporto con Joe, operaio diventato poi produttore di utensili e stampi. Il padre ebbe un’enorme influenza su di lei e le insegnò che se voleva rispetto doveva pretenderlo, mostrandole come farsi valere in un mondo dominato dagli uomini. «Io e mio padre eravamo proprio culo e camicia».
Informo Stone che potrei stare ad ascoltarla parlare della sua famiglia per l’eternità, ma dovremmo parlare di film, in particolare di Io sono nessuno 2. Sembra non sentire, però, perché nel frattempo è passata a parlare degli Stati Uniti contemporanei. «Nel mio Paese, in una democrazia, vige l’obbligo di portare rispetto per la carica presidenziale, indipendentemente dal fatto che si sia d’accordo o meno su quanto accade. Se, però, è il presidente a decidere di liberarsi della democrazia, noi siamo sollevati dal portare rispetto verso la carica presidenziale?»
È una bella domanda, rispondo io. Cosa ne pensa? Risponde di non saperlo; è buddista e nel buddismo si usa il termine “koan” per riferirsi a un quesito paradossale che invita a una riflessione profonda piuttosto che a dare una semplice risposta. Parla della soppressione in corso dei diritti delle minoranze protette: «La nostra attuale amministrazione considera qualsiasi disabilità una vergogna da sopprimere».
Cita l’esempio della dislessia. Suo figlio Roan ne è affetto «eppure gestisce tre società», tra cui Cahuenga Media Group, una società di produzione e di licensing che si occupa di musica, televisione e media cinematografici. Nonostante la dislessia, suo fratello Patrick, morto nel 2023, è stato un «brillante» mastro falegname. L’attrice sottolinea che molti architetti e scienziati sono dislessici. «Ai giorni nostri in America ci si sta muovendo verso una società in cui la disabilità sembra dover sparire. Tutto d’un tratto, i disabili non hanno alcun valore. Si prevede addirittura il licenziamento dei disabili occupati in ambito scientifico. E indovini un po’? La Francia si prende tutti i nostri scienziati».
Non è facile stare dietro a Stone o dire la propria (a onor del vero, gli scienziati si stanno trasferendo dagli Stati Uniti alla Francia a causa dei tagli del governo ai finanziamenti). Poi, passa diretta alla misoginia: «Il frutto più dolce è sulla punta del ramo. Queste sono le cose che ci dice la natura, Madre Natura, Madre Gaia, Madre Terra. Ma se non vi piacciono le madri e non vi piacciono le donne, creatività e apertura non vi porteranno tanto lontano».
Negli Stati Uniti si respira un’aria di ostracismo verso le donne? Si toglie gli occhiali e mi fissa abbagliandomi. «Non importa, perché siamo noi a partorirvi. Siamo noi a prenderci cura di voi. Siamo noi a crescervi. Siamo noi a nutrirvi. Siamo noi a creare il nido per voi. Siamo noi ad aiutarvi a trovare le vostre cose, perché senza di noi non riuscireste nemmeno a trovare i vostri fottuti calzini. Quindi, schieratevi pure contro le donne quanto volete, fate pure bambini in provetta se questo è il mondo in cui volete vivere, e divertitevi pure!»
Immagino si stia rivolgendo contro Donald Trump, ma sembra averla presa sul personale. Non voglio vivere in questo tipo di mondo, protesto, docilmente.
«Esatto! Non è mai stato pensato in questo modo, non a caso gli uccelli fanno diversamente, le api fanno diversamente, persino le pulci ammaestrate fanno diversamente, quindi il resto è solo un ammasso di sciocchezze. Per me. Chiaro? Perché sono molto in sintonia con Madre Natura, Madre Gaia».
Da giovane, Stone era straordinariamente brillante, come lei stessa è solerte a dichiarare. Si descrive come dotata di una «fervida intelligenza» (due parole ben scelte) e con un quoziente intellettivo pari a 154 (da genio). Ha saltato diversi anni scolastici: insieme ad altri quattro ragazzi, a 15 anni, quindi tre anni prima della maggior parte dei loro coetanei, è stata mandata all’Edinboro State College in Pennsylvania nell’ambito di un “esperimento”. Ha studiato letteratura inglese e si è distinta nel golf, ma ha lasciato la scuola prima di laurearsi. «Il mio professore universitario si infuriò quando mollai per fare la modella» racconta. «Mi disse che stavo buttando via la mia carriera, perché pensava davvero che avrei dovuto dedicarmi alla scrittura».
Si trasferì a New York, diventando una modella di successo. Nel 1980 fece il suo debutto cinematografico come comparsa in Stardust Memories di Woody Allen, con uno stile alla Marilyn, schioccando un bacio al finestrino di un treno. Si trasferì poi a Hollywood dove prese lezioni dal maestro di recitazione Roy London, insegnante anche di Brad Pitt, Robert Downey Jr, Forest Whitaker e Geena Davis. Nel decennio successivo, fu interprete di numerosi ruoli in pellicole e programmi televisivi indimenticabili.
Nel 1990, Paul Verhoeven la mise al fianco di Arnold Schwarzenegger in un classico della fantascienza quale Total Recall. Quando venne a sapere che Verhoeven avrebbe girato il successivo film su un’enigmatica scrittrice di nome Catherine Tramell sospettata di omicidio, non ebbe dubbi che la parte dovesse essere sua. Il problema fu che Verhoeven, lo sceneggiatore, Joe Eszterhas e il protagonista maschile, Michael Douglas, non la volevano proprio, non da ultimo perché era un’emerita sconosciuta. Si dice che dodici attrici (tra cui Michelle Pfeiffer, prima tra le favorite, Geena Davis, Julia Roberts, Debra Winger e Kathleen Turner) abbiano rifiutato la parte, considerata rischiosa e azzardata. Anche a riprese avviate, Stone era convinta che stessero ancora cercando una sostituta.
Basic Instinct ebbe un enorme successo e diventò il nono film al botteghino del 1992, incassando oltre 350 milioni di dollari in tutto il mondo. Ma soprattutto fu il film più chiacchierato dell’anno. Gli attivisti Lgbtq+ protestarono contro il film perché ritenevano omofoba la rappresentazione di Tramell, una lesbica o bisessuale di alto profilo più unica che rara in un blockbuster e, nella migliore delle ipotesi, una sociopatica. I critici si accanirono sulla bassezza culturale del film. Un’operazione di sfruttamento o, come proclamò l’accademica femminista Camille Paglia, un’avvincente esplorazione della sessualità e delle dinamiche di potere? Paglia dichiarò che Stone aveva dato vita a «una delle più grandi interpretazioni femminili nella storia dello schermo», definendo Tramell «una grande femme fatale, come la stessa Monna Lisa, come una dea pagana».
E poi quell’ immagine. O, almeno, l’idea che se ne ha. Una frazione di secondo, troppo breve per registrarla appieno. Eppure, in qualche modo, intravedere la sua vulva mentre accavalla le gambe è risultato addirittura più scandaloso che vederla. Stone ha dichiarato di essere stata ingannata per la ripresa, scrivendo nel suo libro di memorie che le era stato chiesto di togliersi la biancheria intima per evitare il riflesso della luce, assicurandole che non si sarebbe visto nulla. Non immaginava minimamente che la ripresa sarebbe stata utilizzata così com’era. Inorridita, pensò di fare causa, ma alla fine accettò la ripresa perché era fedele al personaggio di Tramell e la verità artistica ebbe la meglio sull’umiliazione personale. Basic Instinct ha creato e al contempo distrutto Sharon Stone, per certi versi. È sorprendente come quella singola immagine sia arrivata addirittura a definirla.
È ancora orgogliosa del film e considera la sua una grande interpretazione, che solo lei poteva realizzare. A suo avviso, il problema è sorto perché i direttori del casting l’hanno arbitrariamente sovrapposta a Tramell. «Sostenevano che fossi proprio come il personaggio; fu come se, in un certo senso, avessero trovato qualcuno che corrispondeva al personaggio e si è infilato nei suoi panni per finire magicamente registrato sulla pellicola. Non era una parte difficile da interpretare benché altre 12 attrici di grande fama e fortuna l’avessero rifiutata. Poi, man man che veniva proiettato ovunque nel mondo per i successivi 20 anni, la gente iniziò a chiedersi: “Credi che (tanto clamore ndr) sia solo dovuto al fatto che abbiamo sbirciato sotto la sua gonna? È possibile che invece sia dovuto a una interpretazione pregevole”. Così sono passata da una nomination ai Golden Globe, con la gente che rideva quando veniva nominato il mio nome in sala, alle standing ovation e alla nomina a donna dell’anno. La gente ha capito che non sarei stata una meteora, il film non sarebbe stato una meteora, l’impatto del film non sarebbe stato una meteora». Alla nomina a donna dell’anno da parte di GQ Germania nel 2019, riprodusse la scena, parlando dell’importanza dell’empowerment e dichiarando, con sincerità devastante: «C’è stato un tempo in cui non ero altro che una barzelletta».
Il film rimase, Stone invece no. Dopo Basic Instinct recitò in un solo grande film, interpretando in modo eccezionale la truffatrice Ginger McKenna in Casinò di Martin Scorsese. “E poi”, inizio a dire...
Finisce lei la frase per me. «E poi non ricevetti più proposte. Non ricevetti più altri ruoli». Perché? «Magari può spiegarmelo lei. A volte penso sia tutta colpa della mia eccessiva bravura». Stone non disdegna di lodarsi. Non disdegna però nemmeno la teoria della cospirazione.
«A volte penso che quando ricevi una nomination all’Oscar mentre il più grande attore vivente del pianeta no, si crea uno squilibrio nella dinamica uomo-donna che non va bene». Si riferisce forse a Robert De Niro, il co-protagonista di Casinò? Annuisce prima di suggerire che non fu De Niro a essere indispettito, ma i potenti del caso.
Stone ritorna alla teoria dell’ “eccessiva bravura”, raccontandomi di una festa a cui partecipò insieme alle celebrità di Hollywood prima della cerimonia degli Oscar. «Eravamo in una stanza molto piccola. C’erano proprio tutti, da Sidney Poitier a Woody Allen. Francis Coppola si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla, come faceva mio padre quando stava per succedere qualcosa di veramente grave. Mi disse: “Devo dirti una cosa ed è molto difficile.” Dichiarò: “Non vincerai l’Oscar.” E io risposi: “Cosa?” Ribadì: “Non sarai tu a vincere l’Oscar, Sharon” E io: “Perché?” Lui rispose: “Io non l’ho vinto per Il Padrino, Marty non l’ha vinto per Toro Scatenato e tu non lo vincerai per Casinò».
Lo guardai e lui mi disse: «Non sono in grado di percepire l’opera. Quando perderai, anche io e Marty saremo in quella stanza, Sharon, e vogliamo che tu sappia che perderai con noi e che noi saremo lì con te. La tua interpretazione, però, resisterà alla prova del tempo. Col passare degli anni, nessuno ricorderà chi ha vinto e chi ha perso, ma ricorderà la tua interpretazione».
Racconta la storia con una solennità così sfacciata, che è in sé una vera e propria interpretazione. Continua poi simulando la voce di Coppola: «Da attrice devi ricordare che non sei un’attrice normale, sei una cantante d’opera. Non tutti ti capiranno e non tutti capiranno le tue capacità. Pur perdendo insieme a Marty e a me, resterai sempre sul nostro carro dei perdenti». Alla fine, si concede un sorriso. «È questo che mi sono portata appresso per tutta la vita, essere una grossa e grassa perdente come Marty e Francis Ford Coppola».
È difficile capire perché a Stone non siano stati offerti i ruoli che meritava dopo Casinò, anche se, teorie complottiste a parte, sono intervenuti altri motivi. Nel 2000, insieme al secondo marito, Phil Bronstein, Stone adottò Roan e si dedicò alla maternità. Un anno dopo, a 43 anni, fu vittima di un ictus quasi fatale. Sopravvisse per miracolo: racconta di aver avuto sanguinamenti cerebrali per nove giorni, il che spinse i medici a darle soltanto un 1% di possibilità di sopravvivenza. Dovette imparare nuovamente a camminare, parlare e leggere.
Se da un lato riuscì incredibilmente a riprendersi appieno, dall’altro le offerte di lavoro si esaurirono. «A quei tempi, come donna, se ti succedeva qualcosa, eri finita» dichiara. «Era come aver fatto qualcosa di brutto o di sbagliato. Quindi, pur volendo ritornare a lavorare, mi veniva detto: “Certo, puoi fare quattro episodi di Law and Order”, e niente più. Ho fatto tutto quello che mi è stato consentito per espiare la malattia». Quanto tempo è durata questa situazione? «Ho passato mesi e mesi e mesi senza battere chiodo. E, alla fine, lavorare è diventata una vera e propria impresa».
Le parti che comunque le venivano offerte erano spazzatura, sostiene. «Sono arrivata al punto in cui, dopo l’ictus, non mi voleva nessuno e volevano che mi prestassi a lavoretti stupidi e sminuenti, perciò ho deciso che non avrei più lavorato». Si corregge. Decise di non accettare ruoli che non le piacevano, il che equivaleva di fatto a non lavorare.
È convinta che l’industria continuasse a punirla per Basic Instinct e lo stesso avvenisse nella vita privata. Stone afferma che quando lei e Bronstein divorziarono, nel 2004, il film ebbe un ruolo significativo nel farle perdere la potestà di Roan. «A un certo punto fecero testimoniare mio figlio di otto anni, chiedendogli se fosse al corrente che sua madre faceva film a sfondo sessuale». Sostiene che l’abbiano ridotta a un’attricetta di film porno soft, suggerendo poi che questo la rendesse una madre inadeguata. Racconta che la battaglia per Roan è durata 11 anni prima di vedersi restituita la potestà sul figlio. Nonostante tutto, alla fine del libro, ringrazia Bronstein e sua moglie «per aver trovato la strada per creare una famiglia allargata, sana e unita insieme a me. Non esiste dono più grande». A suo dire, è sempre alla ricerca del lato positivo.
Nel 2005 ha adottato un secondo figlio, Laird, oggi ventenne, da genitore single, e un anno dopo il terzo, Quinn, oggi 19enne. Non avendo proposte per film di qualità, si è concentrata sulle forme artistiche che amava da bambina: la scrittura e la pittura. I suoi splendidi dipinti impressionisti ed espressionisti astratti sono oggi venduti per decine di migliaia di dollari. I titoli (Quaaludes, Hoisted on My Own Petard, If We Make It) evocano dei racconti brevi.
Chiedo di cosa tratta il dipinto It’s My Garden, Asshole (letteralmemnte È il mio giardino, stronzo). «Ero con un’amica 40enne che aveva appena avuto il secondo figlio dopo aver perso il primo. Mi stava raccontando di come i suoi suoceri avessero avuto l’ardire di dirle che, a loro avviso, era un po’ troppo grassa dopo la seconda gravidanza, quando un drone sorvolò il mio cortile. Ho pensato: ci sono un sacco di persone che si permettono di dare opinioni su ciò che dovremmo fare con i nostri corpi e i nostri volti subito dopo aver riprodotto la vita su questo pianeta, prendendoci cura di tutti, e mi sono detta: “Sai cosa, è il mio giardino, stronzo!”».
Stone è diventata anche un’attivista e ha raccolto milioni per i malati di Aids. Nel 2016, a 58 anni, è tornata all’università per conseguire la laurea che aveva iniziato a 15 anni. «Quando Hillary (Clinton ndr) si candidò alla presidenza dichiarando che nulla fosse impossibile, pensai che avesse ragione e avrei dovuto laurearmi».
Da Basic Instinct 2 del 2006, molto denigrato dalla critica e da lei stessa definito «una cagata», Stone ha girato pochi film degni di nota. Ma il vento sta cambiando. È tornata con Io sono nessuno 2, storia di un signor nessuno, interpretato da Bob Odenkirk, che si rivela essere un assassino di prim’ordine. «Ora sto facendo dei bei film. Sono stata brava in Io sono nessuno 2 e ne sono consapevole». Sembra proprio divertirsi nei panni di Lendina, boss della malavita. Stone racconta che, quando le è stata offerta la parte, ha insistito per trasformarla in un’eroina femminista. «Mi sono detta che avrei dovuto rendere più vicino a me questo personaggio negativo. Non voglio interpretare ruoli da cattiva che non tocchino lo spirito del tempo. Quindi, ho fatto sì che questa criminale si sentisse appena uscita dai social media, perché è questa la cosa più spaventosa al momento».
Perché interpreta così spesso ruoli da cattiva? «Penso che le persone molto avvenenti e intelligenti siano percepite in maniera molto particolare. Essendo una donna avvenente, è più facile non far emergere la mia intelligenza emotiva, la mia profondità, la mia tenerezza e la mia pienezza. Le persone non credono davvero di poter avvicinare una bella donna». E l’inaccessibilità, dichiara, è considerata una forma di cattiveria.
«Gli uomini, addirittura, non ti chiedono di uscire perché non riescono nemmeno a immaginare di poterti avvicinare. La società non ha mai concepito che una donna possa essere avvenente e intelligente. E magari gentile. E magari simpatica. E magari divertente. E magari madre. E magari capofamiglia. No, no, no, no. Una donna non può essere tutte queste cose, perché in quel caso, oh mio Dio, sarebbe pari a un uomo! Se fossi avvenente, intelligente e divertente, cosa ne sarebbe della società?». L’addetto stampa ci informa che restano altri cinque minuti. Stone è inarrestabile. «Puoi essere la persona dell’anno dell’Onu, e lo sono stata (nel 2023 è stata nominata cittadina globale dell’anno dalla Associazione dei corrispondenti all’Onu per la sua attività umanitaria ndr). Puoi proporre idee e farle realizzare senza che nessuno lo venga mai a sapere. Puoi ricevere il Peace Summit Award dai Premi Nobel per la Pace (le è stato conferito nel 2013 per il suo impegno nella lotta contro Hiv e Aids ndr) e il premio Einstein (nel 2007 ha vinto il premio Einstein Spirit of Achievement, sempre per il suo impegno contro Hiv e Aids ndr). Eppure, nonostante tutti questi premi vinti, non puoi essere anche simpatica, gentile o compassionevole, altrimenti cosa accadrebbe? Il mondo finirebbe per sgretolarsi».
In realtà, le confesso, in uno dei suoi film che preferisco lei è gentile. In Basta guardare il cielo interpreta la madre di Kieran Culkin, un insolito dodicenne affetto da una malattia terminale. Anche lei lo considera uno dei suoi film preferiti. «E sa perché ho ottenuto la parte in quel film? Le spiegherò esattamente perché mi hanno scelta per quel film. L’ho ottenuto a fronte di un contratto di produzione con Harvey Weinstein, il quale, dopo aver pagato per anni i conti dei miei uffici e del mio staff, insomma di tutto, si rese conto di non riuscire a cavare un ragno dal buco. Mi venne a trovare e disse: “Ho questa storia per bambini e devo produrla”». Si ferma per un istante. «Non mi sarei di certo scopata Harvey Weinstein».
Ci ha provato con lei? «Beh, non sono una di quelle ragazze che si porta in una stanza d’albergo nudo e non sono nemmeno una di quelle che può prendersi. Sono piuttosto quella che ha scagliato dall’altra parte della stanza a un cocktail party. E sono quella che ha colpito. E sono quella a cui ha toccato il sedere, ma non sono di certo una di quelle che stuprerà o molesterà, oltre a non essere una di quelle a cui chiederà un massaggio, non è forse così? Però, sono una a cui offrirà un contratto di produzione e di cui si stuferà, dandole quindi da fare un film per bambini».
Da 30 anni Stone è associata dell’amfAR, una fondazione per la ricerca sull’Aids, e ha ospitato molte serate di gala per la raccolta fondi. Nel 2007, Weinstein è entrato in questa associazione benefica. «Harvey ha poi fatto in modo di entrare nel board, non è forse così? Nel backstage mi spintonò e mi urlò contro, salì sul palco e mi strappò il microfono di mano, cercando di fare affari loschi con i propri amici per ottenere denaro da un tizio per una determinata cosa. A quel punto, mi impossessai nuovamente del microfono dicendo: “Harvey, scendi dal palco, sono io a condurre le danze, non accetteremo quell’affare”. Scesi dal palco e lui mi strattonò da una parte all’altra della stanza, uscendosene con un “Non umiliarmi”, a cui io risposi: “Sei un truffatore, Harvey, toglimi quelle cazzo di mani di dosso”. Non ha cercato di scoparmi, ma ha decisamente usato violenza fisica contro di me. Mi ha schiaffeggiata, mi ha sballottata da una parte all’altra parte della stanza, mi ha spinto innumerevoli volte».
L’addetto stampa mi ricorda gentilmente che la prossima sarà l’ultima domanda. Forse anche lei è esausta quanto me. Stone è sopra le righe, un po’ inaffidabile, scrupolosamente immodesta e davvero meravigliosa.
Ma sembra che abbia appena iniziato. C’è molto altro di cui parlare. Non ha nemmeno accennato alla volta in cui il produttore Robert Evans le consigliò di fare sesso con il co-protagonista di Sliver, William Baldwin, per salvare il film e stimolarlo a una migliore interpretazione (sconvolta dalla richiesta, rifiutò ndr). Oppure quella volta in cui, dovendo procedere alla ricostruzione dei seni in seguito all’asportazione di tumori benigni, il chirurgo glieli aumentò senza il suo consenso pensando che gliene sarebbe stata grata.
Poco prima della nostra intervista, è uscito l’annuncio secondo cui Eszterhas, lo scrittore di Basic Instinct, sta progettando un reboot. Le interesserebbe partecipare? Ride. «Non ci sarà un reboot di Basic Instinct. Mi dispiace fare la guastafeste, ma Joe Eszterhas non sarebbe nemmeno in grado di scrivere le istruzioni per uscire da una farmacia Walgreens».
Sono passati 20 minuti da quando l’addetto stampa mi ha detto di concludere. Comincio a sentirmi in colpa, ma Stone continua a parlare serenamente della sindrome del nido vuoto, ora che i figli più piccoli sono partiti per il college, e dei suoi progetti per il futuro. Mi confessa che potrebbe addirittura affittare casa sua visti i tanti progetti in corso a destra e a manca. Cita la sua partecipazione alla nuova serie di Euphoria e «un bellissimo film» intitolato In Memoriam che ha già finito di girare. Sembra proprio che le cose girino bene, affermo.
«È un periodo piacevole. Tutto d’un tratto, i ragazzi sono fuori casa e io mi sono detta: e ora cosa faccio? Mi sono rimessa a lavorare, ecco cosa ho fatto». Nonostante tutto – gli abusi, l’ictus, le conseguenze di Basic Instinct, le perdite – dice di essere sempre stata una donna che vede il bicchiere mezzo pieno. In realtà, sostiene, anche un bicchiere vuoto può avere i suoi lati positivi. «Può essere riempito, non è forse così? A volte, è proprio un bicchiere vuoto quello che ci vuole».