Corriere della Sera, 6 settembre 2025
L’arresto del boss Boyun e le armi trovate nel b&b. La rete sospetta dei turchi
Il silenzio dei due arrestati, l’identificazione (senza conseguenze giudiziarie) di cinque altri cittadini della Turchia nel viterbese, gli interrogativi tuttora irrisolti scaturiti dall’arresto di Boris «Baris» Boyun (nel 2023): tutto spinge gli agenti della Digos di Viterbo a intraprendere nuovi approfondimenti. Come definire questa nuova presenza, apparentemente costante, di cittadini – armati – provenienti dalla Turchia?
Scampato il pericolo di un attentato mercoledì sera, durante la processione di Santa Rosa, si esclude il terrorismo e si punta o sulla criminalità organizzata o sulla pista politica. Sulla scrivania del procuratore reggente di Viterbo, Paola Conti, sono comparse alcune vecchie ordinanze di misure cautelari. Quella relativa all’arresto di «Baris» e l’altra che riguarda Ismail Atiz, intercettato il 25 di agosto, sempre sui Monti Cimini. Quei documenti servono a pesare il fenomeno e a capire se siamo in presenza di fiancheggiatori di Boyun. L’uomo accusato di associazione a delinquere, omicidio, rapina, detenzione di stupefacenti (un solo episodio), è detenuto in regime di sicurezza nel carcere dell’Aquila. Allora perché mai Viterbo? Potrebbe essere una sorta di emulazione di «Baris» che due anni fa scelse la frazione di Bagnaia come destinazione protetta. Nella zona, potrebbe operare una rete dedita al traffico di armi e droga.
Questo volendo credere alla caratura criminale del presunto boss, alla sua autorevolezza. Va detto, però, che la seconda sezione penale della Corte d’appello di Roma, nel respingere la richiesta di estradizione avanzata dalla Turchia di Erdogan nei suoi confronti, avanza dubbi anche sui capi d’accusa, retti da un’unica testimonianza: «Sotto il profilo del potenziale discriminatorio o del trattamento carcerario», la situazione in Turchia resta tale da non «far ritenere rassicuranti eventuali precisazioni da parte dell’autorità richiedente». I giudici Paolicelli, Paesano e Toselli, leggono il caso «Baris» alla luce degli ultimi avvenimenti politici: «Sotto il profilo del rispetto delle opposizioni – scrivono – va ricordata la grave vicenda politica relativa all’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, dello scorso marzo, ritenuta un atto politico contro un oppositore che ha innescato forti proteste nel Paese, evidenziando le crescenti tensioni politiche ed economiche attorno alla presidenza Erdogan». D’accordo con il difensore, l’avvocato Alessandro Falzoni di Bologna, «Baris» viene indicato «quale rappresentante dell’etnia curda o, per quanto dallo stesso dichiarato, dell’etnia zaza».
Fosse così, se cioè si trattasse di un oppositore al regime di Erdogan, si giustificherebbe, forse, la coda di sostenitori lasciata dietro di sé, lungo il territorio viterbese. Potrebbe trattarsi infatti di altri militanti del partito curdo.
Oggi, intanto, è prevista l’udienza di convalida dell’arresto di Atik Abdullah e Kaya Baris, i due giovani trovati con le armi (una mitraglietta e una semiautomatica) in un bed and breakfast del centro, lungo il percorso fissato per la processione. Abdullah e Baris sono assistiti dall’avvocato romano Mario Angelelli. Dalla questura di Viterbo, guidata da Luigi Silipo, trapela fiducia nella decisione del gip.
Quanto agli altri cinque, identificati nella sera di giovedì, si tratterebbe di persone con permesso di asilo e documenti d’identità in regola. Il legame con i due fermati sarebbe un passaporto «jolly», utilizzato da numerosi cittadini turchi per registrarsi nelle strutture della Tuscia, presentato al bed and breakfast.