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 2025  settembre 07 Domenica calendario

Strategie del lutto: il bot ti fa parlare con il caro estinto

Il tenero gesto che la sudcoreana Jang Ji-sung compie nel vuoto davanti a sé è una carezza: nel 2020 ha «incontrato» Na-yeon, sua figlia di 7 anni, morta di malattia nel 2016. Grazie alla realtà virtuale, la mamma ha potuto parlare, giocare e abbracciare la bimba un’ultima volta: l’esperimento è stato raccolto nello straziante documentario I Met You (Munhwa Broadcasting). Il mese scorso, invece, il giornalista americano Jim Acosta ha intervistato l’avatar di Joaquin Oliver, morto a 18 anni in una sparatoria nella scuola di Parkland, in Florida, nel 2018. La famiglia lo ha «riportato in vita» per denunciare la necessità di nuove leggi contro le armi negli Usa.
I griefbot (i bot sono software che simulano le conversazioni umane e grief in inglese significa lutto) sono modelli addestrati con l’IA, sulla base di foto, video, conversazioni, a impersonare i defunti, copiandone la voce, le fattezze e persino l’umorismo. Un mercato da un miliardo e mezzo di dollari, che vede in testa la Cina per il boom di resurrezioni virtuali. Il fenomeno è spiegato dal filosofo e tanatologo Davide Sisto nel suo Vivere per sempre. L’Aldilà ai tempi di ChatGPT (Bollati Boringhieri), che con «la Lettura» riflette sugli aspetti positivi e non di questi bot. «Abbiamo una fragilità emotiva tale per cui se il fenomeno si diffondesse, si farebbe fatica a gestirlo con capacità razionale. Senza contare che sarebbe difficile tutelare la privacy del morto. Questa innovazione potrebbe però essere utile sul piano della memoria: il dialogo col morto può creare ricordi più vividi, anche se bisogna essere consapevoli che quello con cui stiamo conversando non è la persona morta».
«Stiamo usando l’IA – aggiunge Ines Testoni, psicologa e filosofa allieva di Emanuele Severino (1929-2020), in libreria con Essere eterni (il Saggiatore), che dirige il Master Death Studies & the End of Life all’Università di Padova, dove insegna anche Sisto – come se fosse un nuovo orizzonte immaginifico dove scoprire eventualità di salvezza. L’IA apre uno spazio in cui non essere destinati al nulla ma alla possibilità di permanere costantemente qui sulla Terra. E questo è illusorio. Poi c’è l’aspetto psicologico drammatico relativo all’uso degli avatar per non separarsi dalla persona amata. Stiamo studiando gli effetti dei continuing bonds, i legami continuativi che si mantengono oltre la morte. Può accadere che quella che un tempo era la figura idealizzata di chi è morto, nella sua dimensione interiore e spirituale, ora venga esternizzata e ci parli in modo creativo come fa ChatGPT, capace di intercettare e plasmare il nostro linguaggio. È per questo che ci s’innamora degli avatar: ci rispecchiano e paiono consentanei. Il rischio è che si creino ulteriori forme di dipendenza, ma il fenomeno è ancora sotto studio. Io penso che questi potrebbero diventare strumenti che compensano carenze sociali. Là dove la società mette a disposizione spazi per parlare del terrore della morte, prenderne coscienza, elaborare la perdita, gli esseri umani preferiscono parlare tra loro piuttosto che con l’IA. Ed è questo il senso dell’elaborazione del lutto: la compensazione nella relazione reale con altri viventi».
L’IA sta avendo un impatto anche sul modo di elaborare il lutto. Spiega Sisto: «C’è un bisogno collettivo di ricorrere all’IA per continuare ad avere una relazione con i morti, in un’epoca che fa molta fatica ad affrontare la perdita e la fine delle cose. Siamo soffocati di materiale registrato grazie alle tecnologie digitali, senza distanza tra presente e passato. Questo s’intreccia con la rimozione della morte e ci spinge a cercare una relazione imperitura con i nostri defunti, cosa che si è fatta in ogni epoca, basti pensare alla fotografia spiritica dell’Ottocento. La differenza con il passato sta nel fatto che la vita si è allungata mai come prima e l’accettazione dell’assenza è più complicata». A questo si aggiunge il fenomeno del «foreverismo», coniato dal filosofo americano Grafton Tanner: «Abbiamo a disposizione una quantità di informazioni, ricordi di repertorio, che rendono più difficile il baratro che si spalanca quando una persona muore. Disponiamo sia di “luoghi” privati, come WhatsApp, che pubblici, come i social, dove ci sono così tante tracce della nostra esistenza, che siamo soffocati dalla presenza/assenza del morto». Lo spazio online sta cambiando la percezione anche rispetto ai luoghi fisici adibiti al ricordo del defunto: «WhatsApp, per esempio, contiene una quantità inverosimile di messaggi vocali, scritti, foto, e qui molte persone dialogano con i loro morti, come avviene alla tomba del proprio caro; solo che sul tuo smartphone puoi starci 24 ore su 24. E per chi fa molta fatica ad accettare la perdita, questo può diventare una ingombrante presenza nel quotidiano che impedisce di prendere coscienza del fatto che quella persona non c’è più».
«Sempre più persone – prosegue Sisto – utilizzano gli smartphone e i social per mantenere un legame con i defunti. L’intelligenza artificiale complica questo aspetto, perché oggi si potrebbe dialogare attivamente con il morto dalla mattina alla sera. L’aspetto positivo è che in un futuro magari lo psicologo che aiuta il dolente a elaborare il lutto possa utilizzare la “conversazione” con il defunto per cercare di superare i rimpianti, i non detti». Sul tema, stanno nascendo nuove figure professionali come il digital death manager (o tanatologo digitale): «È quello che faccio anch’io: formazione a medici ed educatori per spiegare che cos’è l’eredità digitale, la gestione di quello che resta una volta che siamo morti, dai profili social allo smartphone. E come affrontare il lutto online: stiamo tornando a una dimensione pubblica e collettiva del lutto com’era fino a metà Novecento, solo che ora è mediata dagli schermi».
«Non demonizziamo l’eventualità che si parli con i defunti creati con l’IA per sopperire al lutto. È probabile – conclude Testoni – che si creino dipendenze, così come avviene nei lutti prolungati patologici. I lutti si chiudono nell’80% dei casi in uno-due anni; il resto sono persone che si trovano in un cordoglio acuto che rovina la loro esistenza. Io ritengo che l’uso degli avatar possa interessare questo tipo di popolazione. Internet è stato anche uno spazio di salvezza, come durante il Covid, quando gruppi di dolenti si trovavano per parlare dei propri cari, cosa che non si fa normalmente nella vita concreta, dove siamo immersi in una realtà produttiva performativa. Il senso della vita sta anche nella capacità di elaborare l’esperienza già vissuta e l’elaborazione del lutto ha questa grandezza. Il digitale offre un’opportunità».