6 settembre 2025
Frammento dei Frammenti che rispondono alla voce “Alexander Hamilton”
Banconota da 10 dollari: Alexander Hamilton.
Ad ulteriore dimostrazione della illogicità della disposizione costituzionale originale, proprio nel 1800, Thomas Jefferson ed Aaron Burr (teoricamente candidato Vice per i democratico-repubblicani) conquistarono entrambi settantatre Elettori ragione per la quale l’incombenza passò alla Camera che dovette votare (per Delegazioni non ad opera dei singoli Rappresentanti) trentasei volte prima di arrivare alla conclusione favorevole a Jefferson. Dopo di che, considerando Burr determinante per la sconfitta l’intervento di Alexander Hamilton a favore del nella circostanza rivale (invero, non solamente per questo, ma insomma…), nel 1804, da Vicepresidente in carica, sfidò a duello Hamilton provocandone la morte.
Due volte è capitato che un grande partito scomparisse: il Partito federalista, di cui facevano parte George Washington, Alexander Hamilton e John Adams, non sopravvisse alla guerra angloamericana del 1812. Ma il “partito” federalista non fu mai un’entità politica coerente e organizzata, perché moltissimi federalisti aborrivano il concetto stesso, giudicandolo un segnale di settarismo corrotto. (È difficile avere successo come partito politico se quello che trovi ripugnante è proprio la politica di parte.)
Dopo la firma del trattato di pace con il Regno Unito (1782), la lotta politica si fece accesissima tra chi credeva in un forte stato federale (Hamilton, Madison, Jay) e i fautori, guidati da Jefferson, di un’unione leggera tra Stati largamente autonomi, che esorcizzasse la temuta tirannia del governo centrale
Hamilton, ministro del tesoro del presidente Washington, sostenne che l’impegno a ripagare l’intero debito avrebbe richiesto un aumento delle imposte che avrebbe ridotto le potenzialità di sviluppo e prodotto una rivolta fiscale. Ciò sarebbe stato, a suo parere, contrario agli interessi degli stessi creditori. A questi Hamilton disse senza mezzi termini che si «aspettava una gioiosa partecipazione alla modificazione dei contratti in essere, sulla base di principi di equità che consentissero di stipulare un accordo durevole e soddisfacente per tutta la comunità». In altre parole, chiese quello che oggi si chiama haircut. Sistemata l’eredità del passato, Hamilton poté dedicarsi alla creazione di uno stabile sistema finanziario e all’impostazione di politiche industriali e commerciali sulle quali fu costruito lo sviluppo dei neonati Stati Uniti. È questo il periodo in cui l’Illuminismo mette in discussione il sistema di Antico regime, in cui comincia a farsi strada l’idea di nazione, in cui capitalismo e ceti borghesi muovono i loro primi ma spediti passi. Si creano nuovi legami e nuove identità; e, quindi, nuovi tradimenti o tradimenti di tipo nuovo. Non fortuitamente sono gli Stati Uniti i primi a sperimentarli e più lesti a definirli, in un percorso del tutto peculiare.
NON È VERO, NON CI FU NESSUN HAIRCUT
Proprio sul dollaro, due dei Padri fondatori, Jefferson e Alexander Hamilton, hanno dato vita a uno scontro fra due visioni degli Stati Uniti. Originario della Virginia, Jefferson era un sostenitore convinto di una forma di repubblicanesimo democratico: a differenza di Hamilton e altri Padri fondatori come John Adams e James Madison, egli non temeva che dalla democrazia potesse discendere una “tirannide della maggioranza”; il pericolo assolutista, a suo avviso, non proveniva dal popolo, ma dai ricchi, dai privilegiati e dagli aristocratici. Il suo modello ideale di cittadino era il libero agricoltore. Definiva “il popolo di Dio” quelli che coltivavano terra di loro proprietà e non erano né troppo ricchi né troppo poveri, non conoscevano l’ozio degradante, non vivevano del pane altrui, erano gelosi della propria libertà. Erano, dunque, i cittadini virtuosi per eccellenza. All’estremo opposto degli agricoltori americani Jefferson vedeva la società europea, caratterizzata da eccessive disuguaglianze nei rapporti di proprietà e da gerarchie sociali e politiche fondate sui privilegi. Da lì discendevano l’oppressione dei pochissimi sui moltissimi, le lotte violente e l’instabilità permanente nei rapporti tra gruppi sociali, la vita degenerata delle “depravate masse urbane europee”. L’America doveva evitare a ogni costo di cadere negli stessi difetti. In tale prospettiva era convinto che la moneta di una libera repubblica dovesse essere costituita dall’oro e dall’argento. Solo la terra e i metalli preziosi, infatti, potevano essere considerati come “proprietà reali”. La cartamoneta, invece, rappresentava sostanzialmente l’introduzione di un sistema corrotto e misterioso di credito, basato su una “finzione legale”. La carta implicava una promessa che poteva essere rotta; beneficiava, così, gli imbroglioni; rendeva possibile manipolare il valore reale. E inoltre l’idea della cartamoneta gravitava fatalmente intorno all’idea di un potere centrale forte, ovvero intorno a quello da cui l’America, fondata sulla libertà, doveva tenersi alla larga. Dalle concrete esigenze di trovare un comodo sistema di misurazione della terra, peraltro, Jefferson trasse l’ispirazione per l’introduzione del sistema decimale nelle monete. Si inventò così il cent di rame (poi sostituito dal bronzo), riprendendo il nome da Robert Morris, un mercante di Filadelfia che durante la guerra di indipendenza dalla Gran Bretagna si era occupato di organizzare le finanze americane. Morris aveva concepito il cent, però, come una moneta di cento volte il valore delle unità più piccole, mentre Jefferson ne invertì il senso, facendone il centesimo del dollaro. Ammiratore della Francia, introdusse anche il disme (oggi dime), il cui nome derivava infatti da dixième. Volle, infine, l’aquila come simbolo sulla moneta d’oro da dieci dollari
Hamilton, il segretario del Tesoro che voleva allungare a dismisura i tentacoli dello stato centrale sulla federazione. Hamilton aveva appena presentato un piano in cui la Banca centrale si faceva carico dei debiti dei singoli stati, una bestemmia agli dèi politici di Jefferson, il quale odiava l’invadenza dello stato federale con tutte le sue forze. E il sintomo più fastidioso del potere federale erano le tasse, l’antico strumento di dominio esercitato dalla madrepatria. A livello delle idee Jefferson considerava il segretario del Tesoro molto peggio di un avversario politico, era un cospiratore che voleva cedere la libertà individuale, il gran tesoro dell’Unione, in cambio dell’autoritarismo federale. Che la sicurezza fosse più in alto della libertà era una faccenda inaccettabile per Jefferson. Eppure, e qui Meacham parla all’Obama di oggi, una sera Jefferson e Hamilton si incontrano sulla soglia dello studio presidenziale e il segretario di stato ha l’intuizione che “l’inizio della saggezza politica arriva quando guardi l’avversario negli occhi”. E invita Hamilton a cena. Occorreva trovare un accordo sulle risorse da allocare agli stati e, dice Jefferson, “se tutti rimaniamo fermi e inflessibili sulle nostre opinioni, non riusciremo a fare nessuna legge, e senza finanziamenti lo stato non potrà erogare i servizi”. È con una cena ispirata dalla duttilità, dal pragmatismo che Jefferson trova un accordo con il suo peggiore nemico. Sulla facilità relazionale di Jefferson e le sue capacità di trovare un compromesso Meacham insiste con una foga persino eccessiva, come nota anche la direttrice del New York Times, Jill Abramson, nella sua lunga recensione.
In realtà, come ha raccontato quel fine storico finito in galera di nome Conrad Black, Hamilton era turbolento e infedele (un tradimento quasi gli rovinò la carriera) con tendenze bonapartiste, una passione per il piano (MOLTO DUBBIO – ndr) e un’impulsività così dannosa che finì per distruggere il partito federalista e consegnare il paese a Jefferson
A un decennio circa dalla formazione dell’Unione (1781), il primo segretario del Tesoro americano, Alexander Hamilton, condusse la sua battaglia per trasferire a livello federale parte del debito accumulato dalle 13 colonie durante la guerra di indipendenza. Hamilton propose un piano in due fasi. La prima prevedeva appunto che il governo federale si accollasse il debito contratto dagli Stati. La seconda prevedeva la creazione di una Bank of America, un embrione di Banca Centrale. Queste proposte si scontrarono però – lo ricostruisce su Aspenia un articolo di «Germanicus» – con un’opposizione feroce. Contro di esse si mosse l’allora segretario di Stato Thomas Jefferson, uno dei padri della Dichiarazione di indipendenza. Le sue obiezioni erano di carattere costituzionale. Secondo Jefferson, il piano del segretario del Tesoro costituiva un’aperta violazione dei diritti degli Stati, a tutto vantaggio del governo federale. E soprattutto costituiva un pericoloso precedente: non vi era nulla, infatti, nella Costituzione che autorizzasse la creazione di una Banca degli Stati Uniti. Si tenga conto che quando il governo federale cominciò ad emettere banconote (solo a metà dell’800, per finanziare la guerra civile), la Corte suprema dichiarò in prima battuta incostituzionale l’emissione dei «biglietti verdi». Più che le obiezioni di Jefferson, era però l’opposizione di alcuni Stati ad ostacolare il piano di Hamilton. Il più risoluto era la Virginia, Stato ricco del Sud che all’epoca includeva anche gli attuali West Virginia e Kentucky. Le sue finanze erano relativamente sane, e i suoi abitanti non avevano nessuna intenzione di pagare di tasca propria per le «scelleratezze» finanziarie dei puritani del Nord. La Virginia, alla fine, dette il proprio assenso al piano di risanamento. In cambio, però, ottenne da Hamilton la promessa che la capitale federale sarebbe stata spostata in un territorio ritagliato fra la stessa Virginia e il Maryland, sui terreni lambiti dal Potomac. Dove appunto sorgerà Washington. La collocazione del Campidoglio a poche ore di distanza dalle tenute patrizie della Virginia avrebbe simboleggiato la leadership politica dell’Old Dominion all’interno dell’Unione originaria.
Alexander Hamilton fu il primo segretario al Tesoro degli Stati Uniti, quello che riuscì a convincere i suoi oppositori a consentire che il debito dei 13 Stati della prima unione finisse fosse scaricato sui conti del governo federale. Thomas Jefferson, allora governatore della Virginia e futuro presidente, voleva invece che gli Stati che avevano gestito meglio i propri conti non fossero costretti a pagare per quelli più spendaccioni. Alla fine Jefferson accettò, ma in cambio Hamilton concesse che la capitale dell’Unione fosse collocata vicino alla Virginia. Vedremo se quest’anno l’Europa troverà il suo Jefferson. La Virgina, è ovvio, è la Germania. (Wall Street Journal)
Prima di abbandonare la politica Washington disse alla gang dei padri fondatori: “Vi avverto, nel modo più solenne, contro gli effetti nocivi dello spirito partitico”. Poco dopo (FALSO, I PARTITI ESISTEVANO GIA’ DAL 1791) Thomas Jefferson fondò i democratici-repubblicani, e Alexander Hamilton i federalisti.
Sull’affare Reynolds e il duello con Burr vedi la scheda “Lo scandalo che travolse Alexander Hamilton”
Il nipote di Washington, George Augustine Washington, che gestiva Mount Vernon in sua assenza, era gravemente malato, aumentando ulteriormente il desiderio di Washington di ritirarsi.[199] Molti, tuttavia, lo esortarono a candidarsi per un secondo mandato. Madison gli disse che la sua assenza avrebbe permesso al pericoloso divario politico nel suo gabinetto e alla Camera di peggiorare. Anche Jefferson lo implorò di non ritirarsi, promettendo di abbandonare i suoi attacchi a Hamilton.[200] Hamilton sostenne che l’assenza di Washington sarebbe stata “deplorata come il più grande male” per il paese.[201] Con l’avvicinarsi delle elezioni del 1792, Washington accettò di candidarsi.[202] Il 13 febbraio 1793, il Collegio Elettorale rielesse all’unanimità Washington presidente, mentre John Adams fu rieletto vicepresidente con un voto di 77 contro 50.[202] Washington prestò giuramento dal Giudice Associato William Cushing il 4 marzo 1793, nella Congress Hall di Filadelfia.[
Hamilton si dimise dall’incarico nel gennaio 1795 e fu sostituito da Oliver Wolcott Jr. Il rapporto di Washington con il Segretario alla Guerra Henry Knox si deteriorò a causa di voci secondo cui Knox aveva tratto profitto dai contratti per la costruzione di fregate statunitensi ostensibilmente commissionate per combattere i pirati barbareschi ai sensi del Naval Act del 1794. Knox fu costretto a dimettersi.
Nel maggio 1792, in previsione del suo ritiro, Washington incaricò James Madison di preparare un “discorso di commiato”, la cui bozza iniziale era intitolata “Discorso d’addio”.[223] Nel maggio 1796, Washington inviò il manoscritto ad Hamilton, che fece una riscrittura estesa, mentre Washington fornì le modifiche finali.[224] Il 19 settembre 1796, l’American Daily Advertiser di David Claypoole pubblicò il discorso.
Un esempio lampante è proprio la Bank of the Manhattan Company. Fondata nel 1799 da Aaron Burr, il suo obiettivo originario era politico: sottrarre il potere finanziario al Partito Federalista, dominato da Alexander Hamilton e dalla sua Bank of New York. La banca di Burr ricevette il sostegno dei democratici-repubblicani, che in seguito avrebbero dominato la politica federale.
Hamilton. Erano più aggressivi e, nel periodo di forte tensione tra Stati Uniti e Francia, propendevano per un’alleanza più stretta con la Gran Bretagna. Non avevano timore di usare il potere federale in maniera energica e mostravano un disprezzo quasi aristocratico per le masse e per la politica del Partito Democratico-Repubblicano, che consideravano populista e pericolosa per la stabilità della repubblica. Questa corrente sostenne la legge sugli Stranieri e sulla Sedizione (Alien and Sedition Acts) e cercò di mantenere il controllo del governo anche di fronte alla crescente popolarità dei loro avversari. A differenza dei Democratici-Repubblicani, la divisione tra i Federalisti non sfociò mai in scissioni significative a livello elettorale, in quanto la loro base era molto più coesa. La fine del Partito Federalista, piuttosto che da lotte intestine, fu causata da una serie di eventi esterni che ne minarono la credibilità: il disastroso complotto separatista (la cosiddetta “Conspiracy” del 1804), l’opposizione alla Guerra del 1812 (che li fece apparire come antipatriottici, in particolare dopo la Convenzione di Hartford) e, in generale, l’incapacità di competere con la crescente base di potere dei Democratici-Repubblicani. La fine del partito fu più un’implosione che una divisione interna.
La schiacciante vittoria di Thomas Jefferson alle elezioni del 1800. · L’Acquisto della Louisiana nel 1803, che raddoppiò la dimensione del paese e garantì che la popolazione degli Stati del Sud e dell’Ovest, a maggioranza democratica-repubblicana, avrebbe superato in modo definitivo quella del New England, base del Partito Federalista. Temendo che il loro potere politico, economico e culturale nel New England sarebbe stato permanentemente annullato, un gruppo di Federalisti estremisti, noti come “Essex Junto”, cominciò a teorizzare una soluzione drastica: la secessione. Il piano e i protagonisti Il loro piano consisteva nel formare una “Confederazione del Nord” che includesse gli Stati del New England e, idealmente, New York e New Jersey. · I promotori: Il gruppo era guidato da figure come Timothy Pickering, ex segretario di Stato di George Washington e John Adams. Erano convinti che la “tirannia” del Sud, basata sulla schiavitù e su un’ideologia populista, avrebbe distrutto i valori della loro repubblica. · Il ruolo di Aaron Burr: Per far sì che il piano avesse successo, avevano bisogno che New York si unisse. Vedendo che i Federalisti non potevano vincere le elezioni statali, si rivolsero al vicepresidente uscente, Aaron Burr, che era in forte rotta di collisione con la leadership del suo stesso partito (quello democratico-repubblicano). I congiurati gli offrirono il loro sostegno per la candidatura a governatore di New York nel 1804, in cambio della sua promessa di portare lo Stato nella confederazione secessionista. Il fallimento e le conseguenze Il complotto si scontrò con due ostacoli insormontabili: · L’opposizione di Alexander Hamilton: Il leader dei Federalisti di New York, Alexander Hamilton, si oppose con tutte le sue forze al piano. Nonostante la sua profonda animosità nei confronti di Burr, Hamilton non voleva la distruzione dell’Unione. Si adoperò per far fallire la candidatura a governatore di Burr, e ci riuscì. · Mancanza di supporto popolare: La maggior parte dei Federalisti moderati, in particolare Rufus King e John Quincy Adams, si rifiutarono di sostenere un piano così radicale. Il popolo del New England, per quanto fosse scontento di Jefferson, non aveva alcuna intenzione di secedere. Il fallimento del complotto ebbe conseguenze disastrose. Durante la campagna elettorale, Hamilton aveva diffamato Burr in modo pubblico. Il risentimento di quest’ultimo culminò nel famoso duello del 11 luglio 1804, in cui Hamilton venne ucciso. La morte di Hamilton, considerato un eroe nazionale, distrusse definitivamente la carriera politica di Burr e gettò una pessima luce sui Federalisti estremisti, accelerando il declino del partito. La “Conspiracy” del 1804 divenne un simbolo dell’irresponsabilità e della disperazione dei Federalisti, e un chiaro monito contro i rischi della secessione.
Per convincere gli Stati a ratificare il documento, [Madison] scrisse, insieme a Alexander Hamilton e John Jay, gli influenti “Federalist Papers”.
Dopo 36 votazioni, e grazie all’intervento di Alexander Hamilton, che pur odiando Jefferson lo considerava preferibile a Burr, Jefferson fu eletto presidente. Questo caos portò all’approvazione del XII Emendamento (1804), che stabilì che i voti per presidente e vicepresidente dovessero essere espressi su schede separate, prevenendo future crisi.
Sapeva che gli Stati Uniti, con un esercito e una marina deboli, non erano pronti ad affrontare una potenza militare come la Francia. Nonostante le forti pressioni del suo stesso partito, in particolare da parte di Alexander Hamilton, che spingeva per la guerra, Adams seguì una strategia di de-escalation: Rafforzamento militare: Iniziò a preparare il Paese per una possibile guerra, creando il Dipartimento della Marina e costruendo nuove navi per proteggere i mercantili americani. Questa preparazione, tuttavia, non aveva come fine l’attacco, ma la difesa e il rafforzamento della posizione negoziale.
Anche la loro leadership si coordinava attraverso una fitta rete di corrispondenza, con Alexander Hamilton nel ruolo di leader indiscusso. In pratica, le due fazioni, pur detestandosi e combattendosi, finirono per inventare in parallelo le fondamenta del sistema politico americano a due partiti, sviluppando tattiche organizzative molto simili e reagendo costantemente alle mosse dell’altro. Dimmi tre giornali degli uni e tre giornali degli altri (possibilmente di Stati diversi) Ecco tre giornali per ciascuno dei due schieramenti, localizzati in Stati diversi. Federalisti Gazette of the United States (Filadelfia, Pennsylvania): Considerato l’organo principale del Partito Federalista e finanziato da Alexander Hamilton.Columbian Centinel (Boston, Massachusetts): Il giornale di riferimento per i federalisti nel New England.American Minerva (New York, New York): Fondato e diretto da Noah Webster, fu un’importante voce federalista. Democratico-Repubblicani National Gazette (Filadelfia, Pennsylvania): Creato e sovvenzionato da Thomas Jefferson per contrastare la “Gazette of the United States” di Hamilton.Aurora General Advertiser (Filadelfia, Pennsylvania): Altro giornale molto aggressivo che supportava i democratico-repubblicani.Independent Chronicle (Boston, Massachusetts): Era la principale voce democratico-repubblicana nel cuore della roccaforte federalista del New England.
1792 circa: Durante la presidenza di George Washington (che si definiva “indipendente"), nascono le prime fazioni politiche. Si forma il Partito Federalista (sostenuto da Alexander Hamilton), che favorisce un forte governo centrale, e il Partito Democratico-Repubblicano (guidato da Thomas Jefferson), che sostiene i diritti degli Stati e una visione più agraria.
I federalisti, guidati da Alexander Hamilton, erano i sostenitori più accesi della nuova Costituzione e desideravano che New York vi aderisse pienamente. Le due camere legislative dello stato (Assemblea e Senato) si accusarono a vicenda di ritardare il processo, e alla fine non riuscirono a trovare una soluzione comune. Di conseguenza, New York non inviò i suoi otto elettori al Collegio Elettorale e non partecipò alla prima elezione presidenziale, che pure si svolgeva nella sua capitale, New York City. Questo stallo evidenziò le profonde divisioni politiche che caratterizzavano la nascita degli Stati Uniti.
Federalisti I federalisti erano la fazione guidata da Alexander Hamilton. Credevano in un forte governo federale in grado di promuovere lo sviluppo economico, una banca nazionale e un’industria manifatturiera. Erano supportati principalmente da banchieri, mercanti e proprietari di grandi piantagioni del Nord e della Nuova Inghilterra. La loro visione era di una nazione centralizzata e industrializzata, con un orientamento più vicino alla Gran Bretagna.
La sfida più immediata era il debito nazionale, ereditato dalla Guerra d’Indipendenza. Il paese era sull’orlo della bancarotta. Per risolvere la crisi, Washington si affidò al suo Segretario al Tesoro, Alexander Hamilton, che propose un piano audace: L’assunzione da parte del governo federale di tutti i debiti degli stati.L’istituzione di una Banca Nazionale per stabilizzare la valuta.L’imposizione di tariffe e tasse per finanziare il governo. Questo piano fu estremamente controverso e causò le prime grandi divisioni politiche. Problemi Politici Interni Nonostante l’unanimità della sua elezione, Washington dovette gestire la crescente polarizzazione politica. Le visioni opposte di Hamilton (favorevole a un forte governo centrale e all’industria) e del Segretario di Stato Thomas Jefferson (sostenitore dei diritti degli stati e dell’agricoltura) portarono alla formazione delle prime fazioni politiche: i Federalisti e i Democratico-Repubblicani. Washington tentò di fare da mediatore tra i due, ma le loro differenze erano inconciliabili.
I contadini della Pennsylvania occidentale si ribellarono a una tassa sul whiskey voluta da Hamilton.
Le obbligazioni iniziali non avevano un piano di pagamento chiaro e le promesse di rimborso erano molto incerte. Hamilton le consolidò in nuove obbligazioni con scadenze e tassi di interesse fissi, alcuni al 6%, altri con tassi più bassi o con il pagamento degli interessi differito. Si trattava di un’operazione complessa che serviva a rendere il debito gestibile e credibile.
Inizialmente, l’investimento era estremamente rischioso, dato che le obbligazioni valevano pochissimo e non c’era garanzia che il governo le avrebbe mai rimborsate. Il piano di Hamilton eliminò quasi totalmente questo rischio, promettendo di onorare il debito al suo valore nominale. Il fatto che la Banca degli Stati Uniti sarebbe stata sciolta dopo vent’anni non rendeva l’investimento in debito più rischioso. Al contrario, la Banca era la dimostrazione che il nuovo governo aveva la volontà e gli strumenti per dare valore al suo debito, creando un circolo virtuoso che avrebbe garantito la solidità del Paese anche in futuro. Cioè, se capisco bene: Hamilton sostituì le vecchie obbligazioni di poco valore con nuove obbligazioni a tasso fisso e con scadenze varie, tassi buoni, addirittura al 6%. I possessori delle vecchi obbliogazioni potevano sostituirle con le nuove, tipo cento vecchie per una nuova (sto sparando a caso). Andò così? Le scadenze mediamente di quanto erano? Che significa, “pagamento degli interessi differito”? Non restituivano il capitale e non pagavano manco fgli interessi? La tua comprensione è quasi perfetta, ma c’è un dettaglio fondamentale da chiarire sulla modalità dello scambio. La conversione del debito Non si trattava di scambiare cento vecchie obbligazioni per una nuova. L’operazione fu molto più potente: Hamilton onorò le vecchie obbligazioni al loro valore nominale (cioè il valore stampato sulla carta) e le scambiò con nuove obbligazioni. Ad esempio, se avevi comprato un’obbligazione da 100 dollari per pochi centesimi, ora potevi scambiarla con una nuova da 100 dollari, con un piano di rimborso credibile e a un tasso fisso. Questo fu un segnale fortissimo al mondo finanziario e l’ingrediente segreto che trasformò la “carta straccia” in un investimento solido. Tassi e scadenze Il piano di Hamilton offriva ai creditori diverse opzioni per convertire il debito, ognuna con tassi e scadenze differenti: Alcune obbligazioni avevano un tasso di interesse immediato del 6%.Altre avevano un tasso del 6% ma con il pagamento degli interessi differito per un periodo di dieci anni.Altre ancora avevano un tasso di interesse più basso, del 3%. Questo sistema complesso era progettato per gestire al meglio le finanze del governo a lungo termine, con le scadenze finali delle obbligazioni che potevano arrivare a 20-30 anni. “Pagamento degli interessi differito” significa che per un certo periodo (ad esempio dieci anni) il governo non pagava gli interessi, ma questi si accumulavano e avrebbero cominciato a essere pagati in seguito, insieme al capitale alla scadenza dell’obbligazione. Nessuna obbligazkione s Sebbene le vecchie obbligazioni fossero quasi prive di valore sul mercato (la “carta straccia” di cui abbiamo parlato), il piano di Hamilton diede loro un valore enorme, poiché il governo si impegnò a rimborsarle al loro valore nominale. Nessuna obbligazione senza scadenza
In Europa, specialmente in Gran Bretagna, i titoli di debito perpetuo (noti come “consols") erano un metodo comune per finanziare il governo. Hamilton era a conoscenza di questo sistema e si ispirò ad esso. Tuttavia, il suo piano per il debito americano non prevedeva obbligazioni senza scadenza, sebbene alcune avessero una scadenza molto lunga, fino a 30 anni.
L’obiettivo di Hamilton non era solo stabilizzare il debito, ma dimostrare che la giovane nazione aveva la volontà e la capacità di estinguerlo completamente. Un debito con una scadenza, per quanto lontana, trasmetteva un senso di responsabilità e di fine programmata, cosa che fu poi realizzata sotto la presidenza di Andrew Jackson, che riuscì a saldare l’intero debito nel 1835. Quali banche soprattutto comprarono il debito americano? Show thinking Prima del piano di Alexander Hamilton, il debito americano non era gestito da una singola istituzione centrale. I principali creditori erano un misto di entità sia estere che nazionali. I principali acquirenti del debito Banchieri Olandesi: I Paesi Bassi furono tra i primi e più importanti finanziatori stranieri della Rivoluzione Americana. I banchieri olandesi acquistarono una parte significativa del debito americano, dimostrando una fiducia iniziale nella causa americana.Speculatori Nazionali: Molti americani che avevano liquidità comprarono a prezzi molto bassi le obbligazioni emesse dal governo. Queste “obbligazioni straccia" furono vendute da soldati e patrioti che avevano bisogno di denaro immediato e che avevano poca fiducia nel fatto che il nuovo governo avrebbe onorato il suo debito. Con il piano di Hamilton, questi speculatori si arricchirono notevolmente, in quanto il loro investimento acquistò di nuovo il valore nominale.Governi Stranieri: Paesi come la Francia e la Spagna diedero prestiti diretti al governo americano per sostenere lo sforzo bellico, ma i loro crediti furono gestiti a livello di governo e non tramite l’acquisto di titoli sul mercato. Il piano di Hamilton e l’istituzione della Banca degli Stati Uniti furono pensati proprio per dare al governo la credibilità necessaria a gestire il debito in modo efficiente e a non dover dipendere da questo tipo di investitori, creando un sistema finanziario stabile e affidabile. Parlo del nuovo debito, le nuove obbligazioni con cui Hamilton sostituì le vecchie. Chi le comprò? Le nuove obbligazioni di Hamilton non furono vendute a nuovi acquirenti, ma furono lo strumento di una conversione del vecchio debito. A comprare queste obbligazioni furono, in pratica, gli stessi che avevano comprato i titoli a basso prezzo, ovvero: Speculatori americani: I ricchi mercanti e finanzieri che avevano acquistato a prezzi stracciati le “obbligazioni straccia” dai soldati e dai patrioti in difficoltà.Finanzieri olandesi: I banchieri olandesi, che avevano già mostrato fiducia nel governo americano. Il piano di Hamilton garantì che questi investitori, che avevano scommesso sul futuro degli Stati Uniti, fossero ampiamente ripagati, dando al debito una credibilità internazionale e una stabilità duratura. Mi puoi dire quali banche olandesi? E, se ci sono, quali altre banche? niente inglesi o francesi? È importante fare una distinzione tra “banche” nel senso moderno e le “case bancarie” (o consorzi di banchieri) dell’epoca. Non esistevano grandi banche d’investimento internazionali come le conosciamo oggi. Banchieri Olandesi I principali finanziatori stranieri del debito americano furono i banchieri olandesi. Essi non agirono come un’unica banca, ma spesso in consorzi. Tra le figure più importanti ci furono: Nicolaas van StaphorstWillem WillinkRutger Jan Schimmelpenninck Questi banchieri di Amsterdam investirono ingenti somme nel debito americano, inizialmente con prestiti diretti e poi attraverso l’acquisto dei titoli, dimostrando una grande fiducia nella causa americana. La loro partecipazione fu cruciale per la sopravvivenza finanziaria della giovane nazione.
Hamilton si rivolse al Congresso? Battè Jefferson e Mason in Congresso? Sì, hai capito bene. Hamilton si rivolse direttamente al Congresso per ottenere l’autorizzazione a fondare la Banca degli Stati Uniti. Il suo progetto fu presentato come parte di una più ampia relazione sul credito pubblico. La successiva discussione al Congresso si trasformò in una delle prime, grandi battaglie ideologiche della giovane nazione. La vittoria di Hamilton in Congresso e non solo In Congresso, Hamilton riuscì a sconfiggere l’opposizione. I principali avversari furono, come hai giustamente intuito, Thomas Jefferson e James Madison. La loro argomentazione era che la Costituzione non conferiva al governo federale il potere esplicito di creare una banca (un’interpretazione “restrittiva” della Costituzione). Hamilton ribatté citando la clausola “necessaria e appropriata”, sostenendo che una banca fosse indispensabile per svolgere i doveri fiscali del governo.
L’argomento che convinse Washington fu la dottrina dei poteri impliciti, e la legge sulla banca passò sia alla Camera che al Senato con un margine significativo. L’argomento che convinse Washington L’argomento decisivo fu quello di Alexander Hamilton, basato sulla cosiddetta clausola “necessaria e appropriata” della Costituzione. Mentre Jefferson e Madison sostenevano che la Costituzione dovesse essere interpretata in modo restrittivo (facendo solo ciò che era esplicitamente scritto), Hamilton sostenne che il Congresso aveva il diritto di fare tutto ciò che era “necessario e appropriato” per esercitare i suoi poteri espliciti, come riscuotere le tasse e regolare il commercio. La banca, secondo lui, era uno strumento indispensabile per svolgere questi compiti. Washington si convinse di questa interpretazione più estensiva e firmò la legge. I voti in Congresso Il progetto di legge passò con i seguenti voti: Alla Camera dei Rappresentanti: 39 voti a favore e 20 contro.Al Senato: 14 voti a favore e 6 contro. Prestito a breve termine, cioè: un anno?, due anni?, quanto? Quanti titoli si negoziavano a questa borsa sotto gli alberi?
Prima della fondazione della Prima Banca degli Stati Uniti, il panorama bancario era limitato a poche istituzioni a statuto statale, che furono i modelli per la creazione della banca centrale di Hamilton. Le più importanti furono: Bank of North America: Fondata a Filadelfia nel 1781, è considerata la prima banca commerciale degli Stati Uniti.Bank of New York: Fondata nel 1784 da un gruppo di mercanti guidato da Alexander Hamilton a New York.Bank of Massachusetts: Fondata a Boston nel 1784.
Hamilton, Jefferson, Madison e Washington Nessuno di loro acquistò personalmente azioni della Banca degli Stati Uniti. La ragione fu duplice: Hamilton e Washington: Non acquistarono azioni per evitare un chiaro conflitto di interessi. Essendo il Segretario del Tesoro e il Presidente, rispettivamente, la loro partecipazione diretta sarebbe stata percepita come un modo per trarre profitto personale da una politica pubblica di cui erano i principali promotori.Jefferson e Madison: Si opposero fermamente alla creazione della Banca per motivi costituzionali. Non avrebbero mai investito in un’istituzione che consideravano illegittima e dannosa per la Repubblica. La Bank of New York era nata prima della Banca degli Stati Uniti? Sì, la Bank of New York fu fondata prima della Prima Banca degli Stati Uniti. La Bank of New York fu fondata nel 1784 da un gruppo di mercanti, tra cui Alexander Hamilton, mentre la Prima Banca degli Stati Uniti fu istituita per legge nel 1791.
Uno dei padri fondatori della Costituzione, Alexander Hamilton, scriveva nel 1789, sulla rivista «The Federalist»: «L’esecutivo impugna la spada; il legislativo custodisce il borsellino; il giudiziario, al contrario, non ha alcuna influenza né sulla spada, né sul borsellino… tutto ciò che possono fare i giudici è… giudicare».Queste sono le fondamenta storiche del cosiddetto «sistema di pesi e contrappesi»
Influenzato da Montesquieu, il costituente americano Alexander Hamilton scrisse che il potere giudiziario è il meno pericoloso perché non controlla le forze armate e il bilancio.
Alexander Hamilton scrisse che il compito dei grandi elettori, dotati di maggior giudizio rispetto agli elettori comuni, doveva essere quello di evitare che un candidato con “talents for low intrigue, and the little arts of popularity” potesse diventare presidente.
A suo tempo citavo la celebre frase di Alexander Hamilton («Con una modesta quantità di denaro fonderemo una grande nazione»), ma con Hamilton si faceva riferimento al futuro, ad uno strumento permanente, mentre questi eurobond sono forme di finanziamento a carattere congiunturale, legate a una situazione eccezionale: una tantum o one-off.
sono quattro anni che mi rispondono che Hamilton è un fenomeno pop, mica uno spettacolo qualunque.E in effetti lo è: ha fatto di Lin-Manuel Miranda, che l’ha scritto e ha interpretato Alexander Hamilton per le prime stagioni (ovviamente il musical è ancora in scena, o meglio lo sarebbe se Broadway non fosse chiusa per virus), una star, uno con cui tutti vogliono lavorare, uno che può farsi finanziare qualunque cosa. E adesso Hamilton è sulla piattaforma Disney
Hamilton fu un economista e un brillante costituzionalista con una buona cultura finanziaria. Nella biografia di Francesco Ruvinetti («Alexander Hamilton e l’arte del governo», pubblicata recentemente da Europa Edizioni), leggo che si batté per la creazione di un governo stabile «in grado di garantire la fiducia complessiva mantenendo gli impegni presi nei confronti degli investitori; nessuno avrebbe prestato soldi a uno Stato che non garantiva il pagamento degli interessi». Una delle sue prime decisioni quindi fu quella di promuovere la creazione di una Banca centrale e di assicurare il mondo che il governo federale sarebbe stato responsabile dei bilanci dei singoli Stati e dei debiti che avevano contratto.
Contro demagoghi «abili nelle miserabili arti della persuasione» secondo la sferzante formula di Alexander Hamilton nei suoi “Federalist Papers”. Il “Collegio elettorale” avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dei costituenti, una raccolta di individui razionali, diga contro ambizioni autoritarie e imbonitori e non soltanto un esecutore meccanico dei desideri e delle pulsioni popolari. Nella realtà questi “Hamilton Electors”, questi mediatori indipendenti e infedeli non si sono mai materializzati e le indicazioni del voto sono sempre state trasmesse fedelmente, da George Washington a Obama.
? Il più pop dei padri fondatori, Alexander Hamilton, con le sue simpatie monarchiche e il suo sospetto verso i principi democratici in purezza.
Tanti anni fa, Alexander Hamilton ha scritto: “La maggior parte di coloro che hanno poi sovvertito la libertà delle repubbliche hanno cominciato la loro carriera tributando al popolo un ossequio cortigiano; hanno cominciato da demagoghi e sono finiti tiranni”.
Hamilton era un uomo brillante, e lo era proprio perché ha capito il meccanismo per cementare l’unione meglio di Jefferson e Madison.
Non sono tutti d’accordo su chi sparò per primo – Ron Chernow pensa sia stato Hamilton, ma che le sue intenzioni di duellare senza spargimento di sangue, evidenti dalle lettere, non fossero chiare al rivale.
“Parla poco, sorridi molto, non far sapere da che parte stai” sono i consigli degli amici che Alexander Hamilton puntualmente disattende.
della tornata 1800 che aveva visto Thomas Jefferson e Aaron Burr arrivare alla pari come numero di delegati con conseguenze notevoli (decisione demandata alla Camera, sconfitta di Burr al 36° scrutinio, sconfitta determinata da Alexander Hamilton che sarà poi nel 1804 ucciso in duello dal rivale, unico caso di un vicepresidente, tale era Burr, coinvolto in fatti di sangue di simile gravità)
Da qualche settimana tra i rari turisti che si fermano davanti alla tomba di Alexander Hamilton e della moglie Elizabeth nella Trinity Church di Manhattan, all’incrocio tra Broadway e Wall Street, spuntano anche persone con aria commossa che depositano fiori sulla lapide di questo padre fondatore degli Stati Uniti
Hamilton risponde alla sfida, va sul luogo del duello in New Jersey, sulle rive dell’Hudson, proprio di fronte a New York, ma rifiuta di battersi in uno scontro a fuoco col vicepresidente. Che lo odia non solo per gli insulti politici che gli rivolge di continuo, ma anche perché, un tempo suo amico, è stato poi lui a sbarrargli la strada della presidenza appoggiando, invece, Thomas Jefferson (a quei tempi lo sconfitto diventava automaticamente vicepresidente). Accecato dall’ira, Burr spara ugualmente e colpisce a morte Hamilton.
Nel costruire Hamilton, Miranda si è basato sulla biografia pubblicata undici anni fa da Ron Chernow, con la sua descrizione accurata della degenerazione della dialettica politica americana già a cavallo tra Settecento e Ottocento: «Qui la gente – spiega Chernow – pensa che quella dei “padri fondatori” sia stata l’età dell’oro del nostro Paese. In realtà le cose degenerarono rapidamente nelle dispute politiche di parte, nel muro contro muro tra fronti contrapposti. È quello che vediamo ancora oggi, quotidianamente».
Ci sono molti punti in comune tra la storia di Obama e quella di Hamilton: tutt’e due nati in un’isola remota (Barack alle Hawaii), abbandonati dal padre, cresciuti lontano dagli Usa. Tutt’e due vittime di aspre contrapposizioni politiche. Hanno perfino studiato nello stesso ateneo: la Columbia University di New York, che ai tempi di Hamilton si chiamava King’s College.
tra qualche anno Miranda (che in teatro interpreta Hamilton) non potrà più cantare come fa ora: «The ten-dollar Founding Father without a father/ Got a lot farther/ By working a lot harder/ By being a lot smarter/ By being a self-starter». Cioè: il padre fondatore senza padre che è sulla banconota da 10 dollari è andato molto lontano, lavorando duro, con furbizia e facendo tutto da solo.
a teatro Miranda si gode il successo bipartisan. Favorito anche dalla sua accortezza nel dipingere Hamilton come un centrista scomodo: uno che irrita la sinistra per la sua fiducia sconfinata nel capitalismo e nella finanza, mentre risulta indigesto alla destra quando si batte per una forte autorità centrale, con un governo che controlla e crea incentivi con un uso generoso dei fondi pubblici.
L’11 giugno 1804 i duellanti dissero all’unisono «Presente!» e alzarono le loro pistole. Dopo gli spari, Alexander Hamilton cadde a terra dicendo «Sono un uomo morto». Così, per mano del suo rivale a New York, l’allora vicepresidente Aaron Burr, si concluse la vita del padre fondatore della nazione di immigrati, nato nelle Indie Occidentali. Poche ore prima, Hamilton – che dopo essere stato l’aiutante di campo di George Washington, servì come primo segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ma anche come maggiore generale dell’Esercito – aveva scritto la sua ultima, breve lettera a Theodore Sedgwick. Non faceva menzione del duello, ma sottolineava una parola: democrazia. Hamilton la definiva «la nostra vera malattia». Egli rimase per tutta la vita un democratico scettico: mai idealista, mai prono a rappresentazioni arcadiche degli Stati Uniti (come la democrazia agraria di Jefferson, il suo più grande avversario). «Di tutti i fondatori, Hamilton era forse quello che aveva i maggiori dubbi sulla saggezza delle masse e voleva che i leader eletti le guidassero. Questo fu il grande paradosso della sua carriera: la sua visione ottimista del potenziale degli Stati Uniti coincideva con una visione essenzialmente pessimista della natura umana. La sua fede negli americani non ha mai raggiunto la sua fede nell’America» [35]. Hamilton aveva dedicato la sua vita a rendere l’America un forte Stato moderno, dotato di una Banca centrale, di una rete creditizia, di un sistema di tassazione. Collocò i nascenti Stati Uniti d’America nel futuro dell’economia, creando un’infrastruttura in grado di corrispondere ai principali cambiamenti della sua epoca (la rivoluzione industriale, l’ampliamento del commercio internazionale, la crescita dell’attività bancaria e dei mercati azionari), pur partendo da un governo federale che nel 1789 era in bancarotta. Nella formazione di Hamilton c’era una consapevolezza eminentemente politica delle finanze pubbliche. Durante la guerra di indipendenza, Hamilton sostenne che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto non vincendo qualche battaglia, ma riportando l’ordine nelle finanze degli Stati. Come da principale autore dei Federalist Papers si ispirava alla storia classica, così da segretario al Tesoro leggeva politicamente la storia recente: la rivoluzione francese e la ribellione di Shays insegnavano che «la stabilità e la sostenibilità del debito e delle finanze pubbliche erano cruciali per riconciliare la stabilità politica con lo sviluppo finanziario» [36]. Hamilton sapeva che «il vero segreto per rendere il credito pubblico immortale è che la creazione di debito deve essere sempre accompagnata con gli strumenti della sua estinzione» (A. Hamilton, First Report on Public Credit, 1790).
Hamilton, per migliorare le aspettative dei creditori, usò con determinazione l’unico strumento concreto di cui disponeva: la creazione di un’unione fiscale con un allineamento di istituzioni e di interessi in grado di aumentare la reale probabilità di pagamento da parte del governo federale. Negli Stati Uniti di Hamilton, il passaggio dell’unione fiscale giunse prima rispetto all’unione monetaria. Sia Sargent sia Gaspar sottolineano una differenza cruciale: il debito che Hamilton si trovava ad affrontare era principalmente debito federale accumulato durante la guerra di indipendenza; il debito europeo, invece, è principalmente debito degli Stati accumulato attraverso le loro politiche fiscali e finanziarie. Vi è quindi una naturale differenza sul senso di solidarietà di tale debito. Un’analogia tra la situazione americana e quella europea concerne invece la necessità di agire tempestivamente durante le crisi. Nel primo caso, ad agire tempestivamente fu il delegato della Confederazione di New York, scettico sulla democrazia e convinto che un’«aristocrazia del merito» debba utilizzare la fiducia pubblica per agire con coraggio nei processi di State building. Nel secondo caso, ad agire tempestivamente non è stato nessuno statista eletto.
Alexander Hamilton disse: “Una nazione che preferisce il disonore al pericolo è pronta per un padrone ed è ciò che si merita”.
Più di due secoli fa Alexander Hamilton mise in guardia gli americani contro l’illusione di mantenere la pace e la prosperità senza un unico governo. «Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l’esperienza accumulata dal tempo», scrisse lapidariamente nel Federalist.
Al contrario di Jefferson, Hamilton era fautore dell’espansione del raggio di azione del governo federale e di un destino di modernità economica, urbana e industriale degli Stati Uniti. Le motivazioni di partenza erano le stesse, vale a dire l’antitesi nei confronti dell’Europa, ma l’esito era opposto: solo un potere centrale forte e l’industrializzazione potevano garantire all’America di difendersi adeguatamente da eventuali tendenze aggressive del Vecchio continente. Anche se Jefferson resta probabilmente il più amato tra i Padri fondatori, Hamilton ha contribuito in misura decisiva a plasmare il futuro del Paese. Primo segretario al Tesoro con la presidenza di George Washington, non esitava a concepire i rapporti sociali in senso verticale e a ritenere che si dovesse consentire l’accumulazione di grandi ricchezze e conferire al potere centrale tutte le risorse necessario per garantire l’ordine politico e civile. Tutto era nuovo e inedito. Washington si trovava a presiedere delle cene in cui regnava il silenzio ed egli tamburellava nervosamente sul tavolo con la forchetta o il coltello. I delegati non sapevano neppure con quale appellativo si sarebbero dovuti rivolgere a lui (fu John Adams a proporre “His Excellency the President”), né Washington aveva, a sua volta, idee chiare su quali dovessero essere i loro effettivi compiti. Hamilton, invece, presentò un programma finanziario ben definito, che aveva come caposaldo la fondazione di una Banca nazionale, modellata sulla base del prototipo della Banca d’Inghilterra. Essa doveva servire a tutta una serie di scopi, tra cui fare da deposito dei fondi governativi, facilitare l’esazione delle tasse ed emettere banconote, riducendo la loro emissione da parte delle banche statali. Si trattava di una vera e propria rivoluzione sociale al cui centro vi era il dollaro. Esso, nelle intenzioni di Hamilton, doveva diventare un elemento unificante della giovane nazione, accanto al potere altrettanto unificante e indivisibile del governo centrale. Il progetto hamiltoniano di fondazione della Banca degli Stati Uniti giunse al Congresso, ma non poté che incontrare forti contestazioni. Furono vibranti quelle di James Madison: a suo avviso la costituzione non conferiva un potere simile al Congresso. Washington si confrontò con Hamilton e con Jefferson, che era il segretario di Stato. Quest’ultimo diede ragione a Madison: la Costituzione doveva essere rispettata rigorosamente. Egli, peraltro, vedeva in Hamilton tutto il peggio, fino a considerarlo un monarchico e un anglofilo. Il loro contrasto divenne la più netta contrapposizione ideologica nel panorama politico americano: campagna contro città, diritti degli Stati contro federalismo, denaro “duro” contro cartamoneta. Quella parziale battaglia la vinse Hamilton: sia pure tra mille perplessità, Washington firmò la legge. La Banca degli Stati Uniti entrò in vigore nel dicembre 1791 con un mandato di venti anni. Il prevalere delle tesi di Hamilton inasprì le divisioni. Il rafforzamento del potere centrale consentì allo schieramento politico jeffersoniano, il partito dei “democratici-repubblicani”, di segnalare il pericolo di una tirannia che avrebbe distrutto, secondo loro, la libertà del popolo americano. Queste idee ebbero presa soprattutto negli Stati del sud, gelosi delle proprie tradizioni, incluso lo sfruttamento degli schiavi. Sul versante opposto il partito hamiltoniano, i cosiddetti “federalisti”, ebbe il proprio epicentro nel nordest ed espresse gli interessi delle élites finanziarie e dei ceti medi urbani. La nazione era, dunque, profondamente divisa. Una volta terminato il mandato ventennale della prima banca centrale, guidata da Nicholas Biddle, detto “zar Nicholas” per il suo potere, la seconda venne aperta a Filadelfia, il porto più trafficato e di fatto la capitale economica del Paese. Venne chiusa nel 1836 dal presidente Andrew Jackson: intendendo parlare a nome dell’uomo comune, affermava di avere “paura” delle banche e del loro immenso potere.
Le successive lettere di Reynolds tornavano sullo stesso piano, uno schema per guadagnare economicamente da una parte dalle mie passioni e dall’altra dalla mia paura di essere scoperto (…). Queste lettere, nel loro complesso, danno un’idea esauriente della natura delle mie transazioni con i Reynolds: un legame amoroso con la moglie scoperta, o fintamente scoperta dal marito, che mi ha costretto a una composizione pecuniaria con lui, lasciandomi inoltre nel timore di essere scoperto, cosa che era lo strumento per estorcermi di tanto in tanto dei “prestiti forzati”. [Hamilton racconta successivamente di come, nel dicembre 1792, si presentino nel suo ufficio tre membri del Congresso, F. A. Muhlenberg, J. Monroe e A. Venable, sostenendo di essere a conoscenza dei rapporti equivoci tra lui e i Reynolds.] Fu il signor Muhlenberg a parlare. Introdusse l’argomento dicendo che avevano scoperto un legame decisamente disdicevole tra me e un certo signor Reynolds. (…) Io risposi spiegando le circostanze della mia relazione con la signora Reynolds e le sue conseguenze, confermandole con documenti. (…) Il risultato fu una piena e inequivoca soddisfazione dei dubbi dei tre gentiluomini e la richiesta di perdono per il disagio e l’imbarazzo che mi avevano causato (…). Le cose rimasero ferme fino alla pubblicazione dei volumi V e VI della storia degli Stati Uniti per il 1796. (…) Ammetto che rimasi stupito quando lessi nel V volume questa frase equivoca dei tre membri del Congresso: “Lo lasciammo con l’impressione che i nostri sospetti fossero svaniti”, il che sembrava implicare che il nostro incontro era stato una messa in scena, e che l’impressione ricavatane non era stata reciproca. L’insinuazione del doppio gioco mi fece infuriare. [Hamilton spiega come lo scandalo sia stato “tenuto in caldo” dai suoi oppositori politici, e usato contro di lui ben quattro anni dopo con la pubblicazione dei documenti sui giornali] Se le dichiarazioni di uomini come Reynolds sono volte a condannarmi, la questione è chiusa. Non c’è bisogno di elaborate deduzioni di parte delle loro asserzioni per arrivare a capire cosa vogliono dire nel loro complesso. Se sono degne di credito sono colpevole. Se non lo sono, tutti i particolari scabrosi tratti dalle loro storie sono puro artificio e non hanno senso. Ma nessun uomo che non sia debosciato quanto loro gli crederà, indipendentemente dalla conferma che ne potrebbe derivare dai documenti scritti (…). Si è detto che il timore che la mia relazione amorosa diventasse pubblica non era una causa sufficiente per la mia mansuetudine nei confronti di Reynolds, e che non avevo niente da perdere se non la mia reputazione di castità di cui il mondo aveva in precedenza ampia conferma. Non entrerò sulla questione della fondatezza di questa opinione. È sufficiente dire che c’è una grossa differenza tra vaghe indiscrezioni e sospetti e l’evidenza dei fatti. Nessun uomo di dotato di qualche principio, visto lo stato dei costumi in questo paese, vorrebbe avere attaccata su di sé con certezza l’idea dell’infedeltà coniugale. Saprebbe che questo lo danneggerebbe ingiustamente davanti a una considerevole e rispettabile porzione della società. Soprattutto, nessun uomo felice per una moglie eccellente potrebbe sopportare senza grandissimo dolore il dispiacere che un disvelamento dei fatti, in particolare un disvelamento pubblico, potrebbe arrecarle. La verità è che temevo moltissimo di essere scoperto, e che per evitarlo ero disposto a fare grandi sacrifici. È vero che cercai con ogni mezzo di fare in modo che Reynolds mantenesse il segreto, ma come potevo immaginare che da un momento all’altro questi, a prezzo della mia disgrazia, sarebbe finito al soldo di un partito che ha come obiettivo principale quello di distruggere la mia persona! Il desiderio di spazzare via completamente queste calunnie mi hanno portato a un’esposizione estremamente particolareggiata delle stesse, ma sono sicuro che fosse necessario. La semplice lettura delle lettere di Reynolds e di sua moglie sono sufficienti per convincere anche il peggiore dei miei nemici che non c’è niente di male nella vicenda, se non un amore irregolare e corsaro. Per questo mi inchino alla censura che questo atto merita. Ma ho pagato molto severamente per questa follia, che non posso ricordare senza disgusto e commiserazione. Sembrerebbe affettazione aggiungere altro. (6. fine) “Uno scandalo sessuale a uso giacobino e l’autodifesa di Hamilton”. Tutte le puntate del “Reynolds pamphlet” con cui Alexander Hamilton si difese dalle accuse di politici e giornali americani sulla sua relazione con la ventitreenne Maria Reynolds sono disponibili su www.ilfoglio.it.
Dopo alcune controversie, Reynolds chiede a Hamilton mille dollari per “restaurare il suo onore ferito”]. Decisi di darglieli, e lo feci in due pagamenti, il 22 di dicembre e il 3 di gennaio. È un po’ singolare che il segretario del Tesoro in persona sia così a corto di soldi da dover soddisfare un impegno di questo tipo con due pagamenti separati! Poi il 17 gennaio ricevetti una nuova lettera in cui Reynolds mi invitava a riprendere le mie visite a sua moglie. (5. continua) Alexander Hamilton (tutte le puntate precedenti sono disponibili su www.ilfoglio.it)
Quando con la Costituzione federale americana si iniziò il processo per una moneta unica che sostituì i precedenti”continental dollars” degli Stati confederati, si diede vita a un processo lungo e tormentato che si concluse realmente e in modo compiuto, solo nel 1934, dopo 147 anni. E l’inizio fu rappresentato dall’articolo VI della Costituzione che stabiliva «tutti i debiti e gli impegni esistenti a carico degli Stati confederati prima dell’entrata in vigore della Costituzione saranno validi nei confronti degli Stati Uniti, nell’ambito della nuova Costituzione, come lo erano nell’ambito della precedente Confederazione». Il segretario del Tesoro, Alexander Hamilton, accettò il cambio alla pari, anche se le monete e i titoli assorbiti avevano, sul mercato valori molto inferiori (essendo le finanze pubbliche di molti degli Stati in pessime condizioni). Ma l’autonomia dei singoli Stati, per misure di protezionismo valutario, rimase tanto ampia che il Maryland introdusse all’inizio dell’Ottocento una tassa del 2% sui dollari emessi negli altri Stati immessi in circolazione nel Maryland. Fu la Corte suprema, nel 1819, con il famoso giudice Marshall a statuire che ciò era in contrasto con i principi di un’unione monetaria, così consolidando tale istituzione. Fu in quella occasione che la Corte affermò il principio che «il potere di tassare porta con sé anche il potere di distruggere». La Banca centrale federale, Federal Reserve, fu creata solo nel 1913, ma, come dicevo, il processo fu completato solamente nel 1934.
Quei due presidenti democratici, a loro volta, si erano ispirati a uno dei padri fondatori della Repubblica americana, ad Alexander Hamilton, in quanto credevano che lo stato dovesse aumentare il peso nella società al fine di proteggere l’individuo, il lavoratore e il ceto medio, senza per questo rinnegare i principi del capitalismo. Al contrario, l’obiettivo dello”statismo hamiltoniano” rivisto dai due grandi presidenti liberal era quello di mitigare le asprezze e gli eccessi di una società fondata sul business e sul libero mercato per prevenire le inevitabili rivolte popolari che avrebbero potuto aprire un pericoloso varco al socialismo e magari, in seguito, condotto alla perdità delle libertà economiche e individuali garantite dalla Costituzione federale.
La parola”dollaro” deriva dal sassone”daler”. Abbreviazione di”Joachimdaler”, ossia”moneta della Valle di San Joachim”, oggi Jàchimov, città della Repubblica Ceca. Veniva da lì il metallo con cui si realizzavano i talleri tedeschi e i dollari, monete diffuse in Spagna alla fine del diciottesimo secolo. Al momento di decidere che moneta utilizzare per gli Stati Uniti d’America, il Congresso scelse il dollaro, su proposta di Alexander Hamilton, l’8 agosto del 1786. Il valore del dollaro era quello dei metalli di cui si componeva: valeva 24,06 grammi di argento o 1,6 grammi d’oro. I vari stati federati mantennero comunque in uso le loro monete fino al National Banking Act del 1863, che fissava il dollaro come unica valuta corrente degli Stati Uniti d’America. Dal 1900 il valore dollaro fu fissato a 1,67 grammi d’oro.
Con la ratifica della Costituzione nel 1789, Washington divenne presidente e nominò Hamilton – ancora trentenne – alla direzione del Tesoro. Hamilton non apparteneva agli ambienti della finanza. Fu il Capo di gabinetto di Washington durante la Guerra d’indipendenza ed era un tipo che imparava in fretta: quando si trattò di documentarsi sulle tattiche da applicare sul campo di battaglia, lesse manuali militari, quando fu ora di diventare un leader nazionale con competenze finanziarie, passò ai libri di finanza. Non è tuttavia un caso che due militari abbiano avuto un ruolo chiave nella trasformazione degli Usa in una “nazione rispettabile”, in termini finanziari. Entrambi pensavano che soltanto un Paese fiscalmente forte potesse avere la capacità militare necessaria per difendersi dalle potenze europee, di cui si aspettavano il ritorno sul suolo americano. Ma trovare i dollari per ripagare il debito non fu cosa facile. Non c’erano privilegi da tagliare o fondi statali da destinare diversamente. Hamilton sapeva che le imposte del tipo sbagliato avrebbe indebolito l’economia già fragile. Concentrò la tassazione sulle importazioni e sui generi non di prima necessità, come il whisky. E Hamilton aveva bisogno che il Congresso approvasse l’assunzione dei debiti degli Stati da parte del Governo federale, che inizialmente sembrava improbabile. Alcuni Stati, come la Virginia, avevano già pagato gran parte del loro debito, e altri ritenevano che il loro debito fosse diventato un gioco finanziario per gli speculatori di New York. Di conseguenza, molti Stati temevano che, con l’assunzione federale, le loro tasse sarebbero servite a pagare gli speculatori del Nord o a estinguere gli obblighi dei grandi debitori, per esempio il Massachusetts. La Virginia e vari altri Stati del Sud che avevano pochi debiti o li avevano già ripagati votarono contro la prima legge di Hamilton sull’assunzione e la respinsero. C’era da aspettarsi che sarebbero stati inflessibili, un risultato che avrebbe potuto benissimo causare la fine del giovane Paese. Jefferson, Madison e i leader del Sud si opposero al piano di Hamilton per l’assunzione del debito, e Madison ebbe un ruolo critico nel bloccarlo al Congresso. Ma poi i tre uomini s’incontrarono a cena e trovarono un accordo. Jefferson e Madison non volevano che la capitale del Paese finisse al Nord, e Hamilton accettò con riluttanza di appoggiare il trasferimento in una zona appositamente ricavata in Virginia o nel Maryland. Gli altri, in cambio, si sarebbero procurati i voti affinché il Governo federale assumesse e ripagasse i debiti degli Stati inadempienti. Da quel brillante compromesso emerse uno Stato fiscale responsabile. Malgrado l’enorme costo – oltre la metà della spesa del Governo nascente fu destinata nei primi anni al servizio del debito – l’economia si scrollò dalla depressione del 1780 ed entrò in una fase di crescita sostenuta.
Hamilton trasformò il disastro finanziario dell’America degli anni precedenti in prosperità e coerenza politica nel decennio successivo. Per comprendere la straordinaria impresa di Hamilton dobbiamo capire la portata della crisi del debito dopo la Guerra d’indipendenza. Alcuni Stati mancavano delle risorse per pagare. Altri cercarono di pagare ma non prelevarono le imposte necessarie. Altri, come il Massachusetts, cercarono di prelevare le imposte, ma i cittadini si rifiutarono di pagarle. In molti Stati, gli agricoltori indebitati eliminarono fisicamente gli ingranaggi del sistema di riscossione; l’episodio più famoso è la cosiddetta Shay’s Rebellion in Massachusetts. Anche i meccanismi di pagamento dei debiti privati per via giudiziaria non funzionavano. James Madison, che sarebbe diventato il principale autore della Costituzione americana, non riuscì a ottenere un prestito per acquistare della terra nella selvaggia Virginia, perché gli erogatori non avevano fiducia nella capacità dei tribunali della Virginia d’imporre legalmente il pagamento. George Washington lamentò che l’America non era un “Paese rispettabile.” Considerò la Shay’s Rebellion così preoccupante che tornò al lavoro dal suo primo pensionamento per presiedere la convenzione del 1787.
L’obiettivo di Hamilton era politico: legare i creditori presenti e futuri al successo del nuovo stato centrale, depotenziando i poteri degli stati (ex colonie) per evitare il pericolo di secessioni. L’operazione ha raggiunto gli obiettivi, ma attraverso la correlativa supremazia del sistema fiscale federale su quello dei singoli stati.
Hamilton, favorevole a un forte potere centrale (Big State) e quella di Thomas Jefferson, favorevole a una larga autonomia dei singoli stati dell’Unione e quindi per un governo centrale limitato (Minimum State).
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