Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 05 Venerdì calendario

Il 12% degli studenti senza cittadinanza

La scuola è un percorso ad ostacoli per gli studenti con background migratorio. Quelli sprovvisti della cittadinanza, sono circa 865mila, in pratica uno su otto, e hanno una carriera scolastica più accidentata, con una maggiore incidenza di ritardi dispersione e abbandono. Le cause delle diseguaglianze sono molteplici: oltre alle condizioni socioeconomiche spicca la penalizzazione nell’orientamento (solo il 35% degli studenti di prima generazione sceglie il liceo, percentuale che sale al 42,9% per quelli di seconda) e forme di segregazione scolastica tra cui il cosiddetto white flight, la tendenza da parte delle famiglie italiane a ritirare i propri figli dalle scuole dove la percentuale di studenti stranieri è particolarmente elevata. Un divario che parte dalla primaria e si accentua negli anni basti pensare che gli studenti senza cittadinanza iscritti all’università sono appena il 3,9% (il dato più basso tra i Paesi Ocse). Sono alcuni dei dati presentati nel rapporto “Chiamami col mio nome. Un’indagine sugli studenti con background migratorio nelle scuole italiane”, diffuso ieri da Save the Children (e realizzato in collaborazione con il Movimento italiani senza cittadinanza, Fondazione Bruno Kessler e Think Tank Tortuga) in vista della riapertura delle scuole e dopo il fallimento del referendum. «Chiamare con il loro nome questi ragazzi significa valorizzarli nelle loro identità, contrastare la segregazione formativa e ogni forma di xenofobia e razzismo, dare libero corso alle loro capacità e aspirazioni», ha sottolineato Raffaella Milano, direttrice ricerca di Save the Children. Rispetto a 20 anni fa i numeri sono quadruplicati: i ragazzi senza cittadinanza erano poco meno del 3%, l’anno scorso il 12,2%. Secondo gli ultimi dati disponibili, più di 3 su 5 di loro (il 65,4%) sono nati nel nostro Paese. In termini assoluti, la Lombardia, con più di 231 mila alunni – un quarto del totale – è la regione che registra la maggiore presenza, seguita da Emilia-Romagna e Veneto.
Il rapporto evidenzia le difficoltà di questi studenti: hanno punteggi più bassi alle prove Invalsi di italiano e matematica, ma più alti in inglese. Per quelli di prima generazione la dispersione raggiunge il 22,5%, molto distante rispetto all’11,6% dei coetanei di origine italiana, ma si dimezza tra gli studenti di seconda generazione (10,4%). Uno studente su quattro però non arriva al diploma. Elevati anche i tassi di ritardo scolastico: con un 26,4% contro il 7,9% i loro coetanei di origine italiana. Tra quelli di prima generazione, più di 1 su 6 (17,8%) ha ripetuto l’anno scolastico. Il rapporto ha indagato direttamente le prospettive e le aspirazioni dei ragazzi con particolare attenzione ad alcuni territori del Nord (Brescia, Modena e Trento). Molti raccontano di essere stati “sconsigliati” dai professori ad intraprendere percorsi di studio liceali, di aver avuto difficoltà nello studio e di aver frequentato corsi di recupero tramite associazioni o insegnanti privati. Le amicizie sono uno dei pilastri dell’inclusione, il diploma un riconoscimento dei sacrifici familiari. «È importante per rendere fieri i miei genitori» ammette Darid. La cittadinanza viene visto come una condizione necessaria per sentirsi parte della comunità. Yasin raconta: «Se non l’avessi, non lo so, mi sentirei completamente straniero». Sarà anche un “pezzo di carta” ma è magico perché rende liberi di sognare.