Il Messaggero, 5 settembre 2025
Per Forbes il suo impero vale più di 12 miliardi Opzione Borsa dal 2030
Partito come vetrinista della Rinascente, Giorgio Armani – «Re Giorgio», come da anni era conosciuto nel mondo della moda – ha messo in piedi un impero economico da 2,3 miliardi di euro di ricavi (secondo il bilancio 2024 depositato da poco): una cifra leggermente inferiore a quella registrata nel 2023 perché tutte le principali griffe hanno accusato la crisi. L’utile operativo è stato di 66 milioni, in calo rispetto ai 215 milioni del 2023 anche a causa dell’incremento delle rimanenze di magazzino. Il risultato netto di 51,5 milioni (contro i 163 milioni nel 2023). Ma, soprattutto, è rimasto l’icona del made in Italy senza un euro di debito. Armani era il penultimo dei big del made in Italy: ora, in vita, è rimasto solo Valentino (93 anni).
La Giorgio Armani spa è l’unica azienda rimasta di proprietà del fondatore che deteneva il 99,9% mentre l’omonima fondazione, creata nel 2017, possiede lo 0,1%. Ed è, soprattutto, un gruppo sano con 2,1 di patrimonio, di cui 2 miliardi di riserve distribuibile che ora gli eredi potrebbero dividersi.
Con la scomparsa dello stilista avvenuta ieri, a due mesi dal 91° compleanno (celebrato l’11 luglio), prende il via una fase caratterizzata da un nuovo statuto. Pochi giorni fa, in un’intervista al Financial times, Armani era tornato sul tema successione dopo aver sempre escluso l’ipotesi di fusione con altre grandi griffe internazionali, nonostante Louis Vuitton ci avesse provato anni fa. Al quotidiano economico-finanziario britannico, «Re Giorgio» aveva ha ribadito la fiducia nella famiglia e nel cerchio magico che lo affiancava da sempre: la sorella, i nipoti e il compagno Leo Dell’Orco, responsabile del design maschile del gruppo. Dell’Orco e i tre nipoti – Silvana e Roberta, figlie del fratello scomparso, Sergio, e Andrea Camerana, figlio di sua sorella Rosanna – siedono in cda. Sono loro sono gli eredi del suo impero.
L’anno scorso, parlando con Bloomberg, Armani aveva per la prima volta aperto a una svolta storica: «L’indipendenza dai grandi gruppi potrebbe essere ancora un valore, la quotazione è un’opzione». Oggi, quell’opzione potrebbe realizzarsi.
Nel 2016 «Re Giorgio» aveva creato la Fondazione Giorgio Armani allo scopo di preservare l’eredità del marchio e garantire la continuità dei valori e della sua visione anche dopo la sua scomparsa. Il suo inner circle è la famiglia, tutta presente negli organi del gruppo e della Fondazione: l’unico estraneo è Federico Marchetti, ex Yoox Net.
Nella storia di Armani ci sono alcuni punti fermi. Delle banche non ha mai avuto bisogno, nonostante gli istituti di credito l’abbiano di frequente avvicinato per proporre varie forme di supporto sempre respinte perché, riuscendo ad autofinanziarsi, è sempre andato avanti da solo.
Ma quanto vale il mondo di «Re Giorgio»? Secondo Forbes, Armani è il 176° uomo più ricco del mondo con un patrimonio stimato in 12 miliardi di dollari contabilizzando un avviamento enorme.
Ai fini della successione, in pochi ricordano due documenti – conservati da un notaio di Milano – frutto di un’assemblea straordinaria tenutasi nel settembre 2016. Uno definisce le linee guida del futuro, mentre l’altro dettaglia questioni come la salvaguardia dei posti di lavoro dell’azienda.
Il primo spiega come gli eredi dovrebbero affrontare una potenziale quotazione in borsa – anche se non prima di cinque anni dalla sua scomparsa (quindi nel 2030) – oltre a qualsiasi potenziale attività di M&A. Per quanto riguarda il look Armani, il documento impegna gli eredi a «ricercare uno stile essenziale, moderno, elegante e non ostentato con attenzione ai dettagli e alla visibilità». Il documento, come detto, è frutto di un’assemblea straordinaria che Armani convocò nel settembre 2016 per adottare un nuovo statuto del gruppo che sarebbe entrato in vigore dopo la sua scomparsa.
L’assemblea prese due delibere. La prima, di carattere più tecnico, riguardante l’eliminazione del valore nominale delle azioni e l’annullamento delle azioni proprie, che erano pari al 5% del capitale. In quell’occasione, lo stilista salì al 100% della società. Ma è la seconda delibera quella cruciale: in assemblea fu lo stesso Armani, in veste di presidente, a illustrare «la proposta di adottare, con effetto dalla data di apertura della successione del signor Giorgio Armani, un nuovo testo di statuto sociale». Previste sei categorie di nuove azioni dalla A alla F: i soci A avranno il 30%, quelli F il 10%, gli altri il 15% a testa. Ma ogni azione A darà diritto a 1,33 voti e ogni F a 3 voti. I soci A+F, pur con il 40%, avranno in assemblea oltre il 53%. Inoltre, su un board formato da otto componenti, i soci A avranno il diritto di nominare tre consiglieri tra cui il presidente, mentre i soci F due consiglieri tra cui l’ad. In queste due categorie di azioni si collocherà la Fondazione Armani, tanto più che i consiglieri A e F hanno poteri determinanti nelle decisioni strategiche.
Nel 2023 un’altra assemblea straordinaria ha poi introdotto due categorie di azioni senza diritti di voto, il cui valore non può essere superiore alla metà del capitale sociale.