il Fatto Quotidiano, 5 settembre 2025
Dopo le fabbriche, Fiat sposta gli operai
Dopo aver portato all’estero gli stabilimenti, ora l’ex Fiat è pronta a delocalizzare direttamente gli operai italiani. Stellantis, infatti, sta proponendo ai lavoratori di Pomigliano, in Campania – e in precedenza anche a quelli di Mirafiori (Torino) e Atessa, in Abruzzo – di trasferirsi per qualche mese in Serbia, nella fabbrica Panda di Kragujevac. In particolare, il gruppo, nato dalla fusione tra Fiat-Chrysler e la francese Psa, sta chiedendo il trasferimento temporaneo ai (tanti) dipendenti che in questo momento sono in cassa integrazione, quindi sono almeno in parte fermi e subiscono una riduzione dello stipendio.
I sindacati sono molto critici verso questa mossa perché appare chiaro l’intento di investire sugli stabilimenti serbi e non su quelli italiani. “Stellantis ha un problema di competenze nello stabilimento in Serbia – spiega Samuele Lodi, responsabile automotive della Fiom Cgil – hanno bisogno di maggiore esperienza e potrebbero avere in prospettiva un problema di richiesta del mercato superiore alle forze disponibili; ecco perché stanno anche valutando di fare un investimento in Marocco per portare anche lì la Grande Panda”.
Insomma, il sospetto è che la strategia sia questa: oggi tamponare il fabbisogno con gli operai italiani, necessari per la loro esperienza, per poi con il tempo svuotare le nostre fabbriche e investire sempre di più in quelle con un costo del lavoro molto più basso del nostro, a cui si aggiungono gli incentivi fiscali offerti dal governo serbo. I lavoratori italiani che decidono di spostarsi potranno farlo per cinque mesi, potranno quindi uscire dalla cassa integrazione e aggiungere allo stipendio pieno un’indennità di trasferta giornaliera.
Giusto qualche settimana fa, lo stabilimento di Kragujevac era già assurto agli onori delle cronache: gli stipendi troppo bassi scoraggiavano i lavoratori locali, denunciavano i sindacati serbi, e l’ex Fiat proponeva di trasferirsi nei Balcani agli operai del Marocco e del Nepal.
“La situazione negli stabilimenti italiani è drammatica – aggiunge Lodi – perché su circa 34 mila dipendenti complessivi, 20 mila sono coinvolti dalla cassa integrazione in maniera più o meno pesante. Negli stabilimenti di Cassino, Termoli e Melfi gli operai di produzione lavorano non più di 5-6 giorni”. Negli scorsi anni, tra l’altro, spesso i lavoratori sono stati mandati in trasferta, ma restando comunque in Italia, generalmente verso Pomigliano, che era l’unica fabbrica italiana rimasta con le linee produttive a pieno regime. Addirittura c’era chi si spostava da Melfi, in Basilicata, in giornata, facendo due ore di viaggio all’andata e altrettante al ritorno.
Secondo un report della Fim Cisl, nel primo semestre 2025 in Italia sono stati prodotti meno di 222 mila veicoli, con una contrazione del 26,9% rispetto al 2024. Sono soprattutto le automobili a perdere, registrando un calo del 33,6%, mentre i mezzi commerciali segnano -16,3%. Pomigliano rappresenta il 64% di tutta la produzione nazionale, eppure ha chiuso il primo semestre con meno di 79 mila vetture, in calo del 24% nel confronto con i primi sei mesi dell’anno precedente.